Un laboratorio musicale tenuto dal jazzista Sandro Sciarratta si rivolge a minori stranieri non accompagnati per lavorare sui ritmi delle loro terre d’origine
di Tano Siracusa
L’obiettivo è la formazione di un gruppo di percussionisti, con un paio di strumenti a fiato per l’elaborazione melodica e uno che danza: un piccolo concerto, uno spettacolo con loro e per loro.
Sandro Sciarratta ha sempre amato la sperimentazione. Nel suo privato laboratorio musicale, oltre a diversi computer e sofisticate apparecchiature elettroniche, si può osservare una collezione di strumenti prevalentemente a corda, alcuni esotici, altri costruiti da lui stesso. Il pezzo forte è un imponente contrabbasso che ha modificato con l’aggiunta di molle, sonagli, e varie appendici sonore.
Ogni giovedì pomeriggio Sandro si reca dalla periferia nord di Agrigento in una delle tante vaghe periferie sud della città, un piccolo viaggio, presso il centro Vita Nuova 3000 che ospita una cinquantina di minori in fuga dal Bangladesh e dal paesi dell’Africa centrale.
In macchina ha un borsone con alcuni di questi strumenti, per lo più percussioni. Gli altri strumenti sono tubi di plastica, legni, barattoli, secchi, materiali raccolti in un vicino cantiere edile.
Da un mese Sandro Sciarratta, affermato jazzista siciliano, conduce negli spazi del centro un vero e proprio corso di musica. Non ci sono sponsor, non ci sono soldi, non se ne parla neanche. I problemi invece non mancano.
Con il gruppo che si è spontaneamente selezionato, una decina di ragazzi, tutti africani, Sandro intende attraversare non soltanto il confine fra il rumore e la musica, ma anche quello fra la musica folk di consumo, commerciale, e quella autenticamente popolare. Naturalmente in questa fase iniziale lavora sul ritmo; anche un flauto e due mbira vengono utilizzati ritmicamente.
Ma i problemi non sono soltanto tecnici. Hanno a che fare con le storie di questi ragazzi, con il loro sradicamento culturale.
Durante il terzo incontro Sandro ha interrotto bruscamente una prova e si è prima sfogato con Silvia, una delle responsabili del centro, poi ha cercato di spiegare ai ragazzi.
Non è vero, ribadisce adesso nel suo studio privato, che gli africani in quanto tali avrebbero il ritmo nel sangue, come pretende un luogo comune. Avevo chiesto di eseguire della musica loro, dei loro paesi, e hanno suonato un pezzo di Shakira. Si sono corrotti anche loro, hanno perso le radici culturali. Ma Sciarratta sembra abituato a muoversi in direzione ostinata e contraria.
I ragazzi hanno capito. Nel successivo incontro hanno suonato e cantato tre musiche loro, tradizionali. A dettare i tempi sembrava quello che danzava.
Un passo avanti importante per Sandro, che ha scritto i titoli dei tre pezzi, ma non basta. Riproveranno i tre brani nel prossimo incontro però con strumenti costruiti da loro, non con i tamburi.
Confrontando la registrazione dell’esecuzione con i tamburi con una precedente esecuzione effettuata con materiali improvvisati sembra in effetti evidente la superiorità di quest’ultima. Il suono è più omogeneo.
Per la parte melodica il jazzista agrigentino intende coinvolgere altri musicisti, in particolare un sassofonista con il quale ha collaborato a diversi progetti, fra i tanti l’ esecuzione dal vivo di una colonna sonora per Metropolis, il film muto di Fritz Lang, su invito del Goethe Institut di Palermo. Ma è convinto che sia ancora troppo presto, che debbano ancora lavorare sulla base ritmica.
E il tempo, la mancanza di tempo, sembra il problema più grande: ci vorrebbero molti mesi di prove e i ragazzi, per loro fortuna, non dovrebbero rimanere più a lungo di poche settimane in questo centro che pure funziona, che si è aperto al laboratorio musicale e ad altre sperimentazioni artistiche e culturali.
Si tratta di ragazzi che hanno vissuto nelle loro brevi esistenze avventure orribili, traumi violenti.
Il ragazzo che danzava durante l’ultimo incontro, che dettava il tempo delle percussioni, il giorno precedente aveva raccontato la sua storia allo psicologo ed era scoppiato a piangere. Una bruttissima storia.
Forse il concerto si farà, forse no. Ma di sicuro questi ragazzi non dimenticheranno facilmente nella loro vita lo strano signore che ogni settimana veniva con i suoi strumenti musicali e li persuadeva a suonare e a danzare i ritmi antichi delle loro terre, dei loro villaggi, dei loro antenati. Loro che ascoltavano e preferivano la cantante pop alla musica tradizionale.
E neppure il maestro, cui il jazz sta forse sta stretto o che vuole ripercorrerne con questi ragazzi il processo di formazione, dimenticherà presto questi incontri. Dove, come in tutti gli incontri autentici, anche chi insegna impara qualcosa.