Il 28 marzo scorso è stato condannato ad un anno e mezzo di carcere per aver scritto di arte sul quotidiano filo curdo Özgür Gündem, chiuso nel 2016 perché accusato di sostenere il Pkk. Giornalista, scrittore e regista curdo, parla di repressione, libertà di stampa, delle storie e dei diritti del suo popolo in Turchia e spiega il peso del referendum voluto lo scorso aprile dal presidente Erdogan.
Di Sara Lucaroni
”La guerra fa marcire i popoli. Sempre. Anche quella che si fa contro la guerra e l’oppressione. I curdi hanno un’utopia: tutte le culture e tutte le etnie vivano insieme. Vivere insieme è un’arte, quest’arte vogliamo coltivare”.
Ilham Bakir è ricurvo sul tavolo, gli occhi sono un guizzo davanti al tè che stringe con due mani. Fuori dal bar c’é Roma, che prima di entrare gli guardava con finta sicumera il fazzoletto a fiori rossi, verdi e gialli avvolto sulla testa. Uno dei suoi nuovi documentari sarà sulla storia di una donna di 75 anni il cui figlio è andato a combattere sulle montagne.
Un giorno gli invia vestiti e scarpe tramite alcuni giovani che vanno a lavorare lassù come pastori, ma questi vengono arrestati lungo la strada. Fanno il suo nome e anche lei viene arrestata. Il giudice le chiede perché ha inviato scarpe. “Non è un reato vestire mio figlio”, dice. “Ma tu hai inviato venti paia di scarpe”, risponde il giudice. “Se vesto mio figlio, come posso non vestire anche i suoi amici?”.
“Le donne curde sono così – sorride. E queste storie da noi si trovano ovunque. Non serve cercarle, ti vengono incontro ad ogni angolo, in ogni strada, sono in ogni casa”.
Bakir è nato a Bitlis nel 1968, drammaturgo, giornalista, scrittore e docente presso la Scuola d’Arte di Diyarbakir, dove vive, è autore di documentari e cortometraggi sulla cultura e il popolo curdo, proiettati nei festival di tutta Europa. Il 28 marzo scorso è stato condannato (con pena rinviata) ad un anno e mezzo di carcere per “propaganda ad un’organizzazione terroristica”legata alla sua collaborazione col quotidiano Özgür Gündem, accusato di sostenere il Pkk.
Dopo la chiusura del giornale e gli arresti, ha preso parte alla campagna a sostegno della testata. 50 le persone indagate e 38 i procedimenti penali aperti. Di anni ne avrebbe dovuti scontare 40, ma l’accusa principale è caduta. “Scrivevo di arte curda”- spiega Bakir.
Già la polvere non era riuscita a posarsi su girato, interviste e materiale raccolto per realizzare “Verses to the body- Beden ayetleri”, sui tatuaggi delle donne curde, perché durante un blitz a casa la polizia glielo ha sequestrato. “Sono stato trattenuto per 24 ore. Mi hanno messo la pistola in bocca. Con un’altra hanno sparato nel momento in cui premevano il grilletto di quella che avevo in gola. Mi sono preoccupato del proiettile. Non è uscito…dov’è, ho pensato. Non capivo se ero morto. Poi mi hanno rilasciato” – racconta, mentre estrae dalla tasca e appoggia sul tavolo il suo passaporto.
E’ riuscito a partire per essere ospite dell’appena concluso MYArt Film Festival di Cosenza che ha dedicato un evento al cinema curdo con la proiezione del suo corto “Without Tree and Shadow”. Insieme a lui c’era anche Hevi Dilara, rifugiata politica, regista e direttrice del Festival di Cinema Curdo di Roma con “La vita per lei”.
L’arte come forma di resistenza è una forma d’arte: “I curdi sono in lotta da 40 anni – dice. La lotta non avviene rubando la terra degli altri, la cultura degli altri, la lingua degli altri. La lotta che portano avanti è di autodifesa, di resistenza. Lo fanno anche diffondendo la loro arte. L’arte della resistenza”. Spunti che la Turchia che vorrebbe il presidente Recep Tayyip Erdogan conosce e colpisce.
Oltre 160 giornalisti in carcere. Sono 28 invece, con Bakir, gli scrittori sotto accusa, imprigionati o minacciati di morte, molti legati alle stesse vicende dell’ Özgür Gündem: Ahmet Abakay, Arzu Demir, Ayşe Nazlı Ilıcak, Pınar Selek, Necmiye Alpay, Ahmet Altan, Aslı Erdoğan, Turhan Günay, Mehmet Altan, Sevan Nişanyan, Sara Aktaş, Ahmet Şık, Nail Demir, Hasan Cemal, İlhan Sami Çomak, Nurcan Baysal, Cengiz Baysoy, Yılmaz Odabaşı, Ayşe Düzkan, Murat Uyurkulak, Kadri Gürsel, Deniz Yücel, Ragıp Duran, Eşber Yağmurdereli, Yıldırım Türker, Nadire Mater, Ahmet Nesin.
“Anche in questo referendum, nonostante le oppressioni, gli arresti, la paura, abbiamo detto no – spiega. Il presidente ha vinto rubando e se anche si dimostrasse che non è così, impone un regime che reprime il popolo e la gente lo valuta per quel che fa. Con queste elezioni ha dimostrato di aver perso ormai legittimità sia di fronte ai turchi che di fronte all’Europa e al resto del mondo. Ma soprattutto verso il suo popolo”.
Tra le nuove opere che sta realizzando c’è un documentario sulle vicissitudini di tre ragazze i cui mariti sono stati uccisi in Turchia dagli Hezbollah curdi. Anche questo lavoro verrà presentato a breve. “La differenza tra Oriente e Occidente, è la Turchia” spiega lo scrittore turco Hakan Günday nel suo ultimo romanzo, “Ancóra”.
Lì il paese è “quell’immenso ponte sul Bosforo” che fa da sfondo alla disperazione dei migranti che lo attraversano per raggiungere l’Egeo e all’assenza di futuro degli oltre tre milioni di rifugiati bloccati nei campi profughi.
Il male assoluto della tratta, la sopravvivenza che uccide il prossimo, ma soprattutto la deriva liberticida che vive la nazione, Bakir la declina nelle sorti delle minoranze, dei curdi, e la necessità, la risolutezza, la convinzione di raccontare con ogni mezzo l’umanità e le sue identità. Come la storia della madre arrestata per aver inviato le scarpe al figlio: “Quando le persone subiscono violenza e repressione, cercano di rispondere con la stessa arma e con lo stesso metodo. Invece conta non perdere la propria umanità. E’ lei che deve sopravvivere. Si sopravvive solo schierandosi dalla sua parte”.