Tunisia – Blocchi delle compagnie petrolifere, muore un manifestante e decine di feriti

A Tatouine, nel profondo e poverissimo sud della Tunisia, i manifestanti si scontrano con le forze dell’ordine per rivendicare lavoro e dignità

Di Lorenzo Fe, per Global Project

Da oltre un mese una nuova ondata di blocchi stradali ha preso piede in Tunisia. Questa volta l’obiettivo principale sono stati i siti d’estrazione di gas e soprattutto di petrolio, e l’epicentro del movimento si trova nella regione desertica e sottosviluppata di Tataouine.

I manifestanti chiedono che una parte dei profitti dell’estrazione siano utilizzati per la creazione di posti di lavoro, per lo sviluppo locale oltre la garanzia dell’accesso alle risorse di base. Di fronte alla circolazione della pratica del blocco degli snodi energetici ad altre regioni, come Kebili, Kasserine e Sfax, il Presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi aveva annunciato l’11 maggio in un discorso altamente mediatizzato l’utilizzo dell’esercito “per la difesa delle risorse del paese”.

L’esercito è stato in effetti dispiegato nelle località sensibili, ma non avrebbe per ora effettuato attacchi di rilievo contro il movimento.

Il presidio più solido si è rivelato essere quello di Al Kamour, nel deserto di Tataouine. Dopo essere stati costretti alla ritirata, nel corso dell’ultimo weekend i manifestanti hanno tentato a più riprese di riprendere il presidio di blocco dell’estrazione del petrolio. Il 22 maggio il Coordinamento dei presidi di Tataouine aveva dichiarato uno sciopero generale locale.

Nel mattino del 22 maggio la polizia e la guardia nazionale hanno attaccato i manifestanti con nutrite scariche di lacrimogeni, causando l’ospedalizzazione di decine di giovani e la paralisi dell’ospedale regionale. Nel corso degli scontri è morto il manifestante Mohamed Anouar Sokrafi. Secondo le notizie attualmente disponibili, tuttora incerte, il giovane sarebbe stato investito da un veicolo della guardia nazionale che faceva retromarcia. Un altro giovane sarebbe in pericolo di vita. In seguito al decesso, gruppi di manifestanti hanno incendiato le sedi della guardia nazionale e della polizia di Tataouine e dato fuoco a diversi veicoli istituzionali.

La guardia nazionale e la polizia si sono ritirate da Al Kamour con la protezione dell’esercito e il blocco ha ripreso. Il giorno stesso ci sono state manifestazioni di solidarietà, alcune con scontri, nelle città meridionali di Tataouine, Kebili e Medenine e nella capitale Tunisi.

Il sindacato UGTT e il partito islamista Ennahda hanno preso posizioni relativamente simili rispetto al movimento, sostenendone le rivendicazioni e le proteste pacifiche ma condannando i blocchi stradali e le pratiche violente. Il ministro dell’impiego Imed Hammami (Ennahda) ha liquidato le proteste tacciandole di “campagna elettorale anticipata”. Ma se è vero che alcuni piccoli partiti come Al Harak di Moncef Marzouki hanno dato un forte sostegno alle proteste, sembra piuttosto chiaro che anche in questo caso nessuna organizzazione formale detenga il controllo del movimento, che si basa sul l’assemblearismo e l‘elezione diretta di delegati.

Una vittoria sulle multinazionali energetiche potrebbe significare un miglioramento delle condizioni di vita di centinaia di migliaia di tunisini e un precedente pericoloso per i grandi interessi in gioco. Se a questo si aggiunge lo spassionato sostegno espresso da Trump all’autoritarismo arabo sotto l’egida delle monarchie del golfo, non sorprende il possente dispiegamento di forze repressive in corso.