A SANTARCANGELO FESTIVAL LA STORIA DELLE DISCRIMINAZIONI
L’opera di Terike Haapoja e Laura Gustafsson immagina un mondo dove le discriminazioni non esistono più e restano solo nella testimonianza di un museo.
di Luca Rasponi
«Immaginiamo che la storia della discriminazione sia superata, e che sia necessario un museo per riflettere su di essa. Che tipo di istituzione potrebbe essere? E soprattutto, come sarebbe un mondo in cui questa istituzione possa esistere?».
Da questa riflessione utopica quanto stimolante è nato il Museum of Nonhumanity, realizzato dalle artiste finlandesi Terike Haapoja e Laura Gustafsson per l’edizione 2017 di Santarcangelo Festival internazionale del teatro in piazza, nell’ambito del progetto “History of Others”.
Il museo della non umanità è un percorso tortuoso nelle profondità più oscure della storia, in tutte quelle situazioni in cui gli esseri umani sono stati discriminati dopo aver ricevuto in dote l’etichetta di “animali” da una maggioranza intenta a “normalizzare” il mondo.
È così che i Tutsi diventano scarafaggi per gli Hutu e i Rossi sono equiparati ai lupi (temuti e disprezzati) dai Bianchi durante la guerra civile finlandese. È così che gli ebrei diventano cavie con cui sperimentare le nuove tecnologie naziste, oppure il re Leopoldo II del Belgio dispone della sua colonia africana – il Congo – come di un giardino privato degli orrori.
Raccogliendo citazioni, articoli di giornale, brani da testi letterari e fotografie, le artiste portano lo spettatore dentro gli ingranaggi di quel meccanismo perverso che è la discriminazione. Per emarginare, odiare, uccidere i propri simili – suggeriscono Haapoja e Gustafsson – l’uomo ha bisogno di posizionarli su un gradino inferiore dal punto di vista morale, intellettuale, esistenziale.
Così sono nate le peggiori atrocità della storia, e così si ripetono ancora oggi. Non è un caso che l’odio razziale nei confronti dell’eurodeputata Cécile Kyenge, presente all’inaugurazione, sia stato condensato ancora una volta nell’odioso epiteto di “scimmia” sui social network, anche a livello locale.
Il museo della non umanità per il momento resta un’utopia, perché purtroppo la non umanità è ancora tra noi, in una società che disprezza il migrante, guarda con diffidenza il senza tetto, vive nella paura costante di tutto ciò che non rientra negli schemi più consueti.
La cosa interessante è che il Museum of Nonhumanity non si limita a sognare un mondo libero dalla discriminazione dell’uomo contro l’uomo. Ma va oltre, costringendo lo spettatore a riflettere su quanto lo specismo – ovvero la supposta superiorità dell’uomo nei confronti delle altre specie animali – produca sofferenza ad altri esseri viventi e abusi nei confronti dell’ambiente, oltre a fornire di fatto il terreno concettuale per la disumanizzazione degli altri esseri umani.
«Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”».
In queste parole della Genesi si riflette la prospettiva che il Museum of Nonhumanity intende superare: quella della gerarchia tra uomo e altri animali, a sua volta utilizzata come leva per molte altre discriminazioni.
L’ambiente creato dall’installazione multischermo invita alla riflessione: lo spettatore può sedersi liberamente, spostarsi da un monitor all’altro, seguire le sue sensazioni e gli innumerevoli spunti offerti dalla selezione di parole e fotografie.
Spunti che rimandano inevitabilmente al dibattito politico contemporaneo e agli «elementi di deumanizzazione nella costruzione di un linguaggio dell’odio» che ne caratterizza ormai ogni ambito, dalle elezioni del presidente Usa all’accoglienza del museo da parte di alcune forze politiche locali.
Un racconto inquietante in cui vale la pena immergersi fino in fondo, sperando che il museo approdi in altre città dopo Helsinki, Santarcangelo e Moss (Norvegia). Portando a più persone possibile il sogno di un mondo senza discriminazioni.