Una graphic novel racconta, attraverso la vicenda di un’organizzazione anticomunista, il tema universale del fanatismo
“… se fossi un balcanico, se fossi un balcone, il balcone balcano” cantava Elio ne “La canzone del I maggio”. Con la fine delle guerre che hanno portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia un nuovo spazio si è creato nella cartina europea: un buco nero, sgangherato, esotico, eccentrico, sanguigno e bizzarro. Dove la gente spara in aria con il kalashnikov per dimostrare la sua ilarità e brinda fino a frantumare i bicchieri. Così sono ri-nati i Balcani come un’idea di ferinità, caos e violenza liberatrice. Tutto quello che spaventa ma allo stesso tempo attrae le società europee riversato in un’area del mondo. Poi sono arrivati Goran Bregović ed Emir Kusturica e hanno venduto un brand da esportazione, che in Europa occidentale ha trovato particolari estimatori. In questo blog offriremo alcuni frammenti culturali dallo spazio jugoslavo e post-jugoslavo che hanno poco in comune, se non quello di riuscire sconosciuti a chi in quei luoghi va a cercare i Balcani.
di Francesca Rolandi
“Fatherland. Educazione di un terrorista” è un’opera di Nina Bunjevac, artista serbo-canadese, alla sua seconda prova nel mondo della graphic novel.
La storia che il libro racconta è quella dolorosa della famiglia dell’autrice stessa, una vicenda di estremismo all’interno dell’emigrazione anticomunista degli anni ’70, peraltro poco nota al di fuori del contesto jugoslavo.
In questa vicenda si intrecciano i destini dei genitori di Nina, entrambi serbi: il padre, un emigrante politico nazionalista, che si dedica anima e corpo a distruggere l’ordine costituito del paese dal quale era fuggito, la Jugoslavia; la madre, proveniente da una famiglia di tradizione partigiana, approdata giovanissima e ignara in Canada.
Sullo sfondo le lotte dell’emigrazione politica nazionalista antijugoslava in Occidente, serba e croata, che si serve di pamphlet ma anche di metodi terroristi, e la risposta sanguinosa dei servizi segreti jugoslavi. Una guerra che va avanti per quasi due decenni nelle città occidentali.
La graphic novel ricostruisce la parabola della famiglia di Nina che è poi in realtà quella della Jugoslavia, dove la grande storia e le vicende dei singoli si intrecciano. La famiglia del padre, in particolare, viene segnata da un ripetersi ciclico della violenza, di cui il nonno Ðuro è sia perpetratore, in famiglia, che vittima, catturato dagli ustaša ed eliminato nel campo di sterminio di Jasenovac.
Un legame con la violenza che segnerà anche la vita di Petar, figlio di Ðuro e padre di Nina, che lascia la Jugoslavia dopo essersi compromesso con il dissidente Ðilas e aderisce, dopo il suo arrivo in Canada, a un’organizzazione terroristica serba. Una violenza che infine porterà anche all’interno della sua nuova famiglia.
In un clima di regolamenti di conti, vendette e rappresaglie tra organizzazioni nazionaliste confliggenti e servizi segreti jugoslavi, a sgretolarsi è anche la famiglia, con la moglie Sally che fugge in Jugoslavia con le due figlie e Petar che la sottopone al ricatto di dover lasciare il figlio in Canada.
Dilaniato tra l’attaccamento morboso alla vita familiare che sta distruggendo e l’incapacità di trovare una via di uscita dall’attività terroristica, Petar è un personaggio tragico che tenterà il suicidio e infine morirà saltando in aria con l’esplosivo che sta preparando per un’azione terroristica.
Dalla graphic novel la terra del padre sembra essere quella per cui Petar combatte, collocata nel passato di una Serbia dai valori patriarcali e nazionalisti.
A questo si contrappone però la terra della nonna Momirka, la Jugoslavia del presente, per la quale Momirka ha combattuto da partigiana. Momirka odia di un odio viscerale il genero, che identifica con le forze reazionarie del passato che si pensava fossero state sconfitte.
Unico personaggio forte del racconto, Momirka cerca di proteggere la figlia e le nipoti, ma in modo autoritario e dogmatico, e le farà infine allontanare da lei. Questo intreccio tra archetipo maschile e archetipo femminile, tra sogni politici e visioni contrastanti dell’avvenire, si articola attraverso le diverse generazioni della famiglia coinvolte.
Nella figura di Momirka stessa qualcuno potrebbe vedere la Jugoslavia stessa, che, nel tentativo di mettere in atto l’emancipazione, priva della maturità politica i suoi cittadini.
Una scelta coraggiosa e meritoria, da parte di Rizzoli Lizard, quella di tradurre in italiano una graphic novel che racconta un contesto lontano e poco conosciuto nel nostro paese, ma che tratta di temi universali, come il fanatismo che sfocia nel terrorismo e l’impossibilità per chi ne è stato coinvolto di voltare pagina.
Peccato che nella quarta di copertina si trovi una frase infelice che spiega come l’opera riuscirebbe “dove hanno fallito tanti libri di storia: raccontare una terra dilaniata dal mito del sangue e della razza”.
Ma la vicenda raccontata da “Fatherland” è in realtà tutto il contrario: parla di visioni del futuro inconciliabili, passioni politiche irriducibili, sullo sfondo di un conflitto tra anticomunisti e regime jugoslavo, violenza politica e familiare, forza e debolezza. Tutti elementi che con i miti del sangue e della razza c’entrano poco.