Viaggiare: il concetto di viaggio gemma dal viatico, cioè da ciò che occorre per il viaggio stesso. L’idea del viaggiare è quindi in origine misurata da ciò che portiamo con noi per il viaggio. In questo tempo estivo la redazione di Q Code Mag proverà a raccontarvi i suoi viaggi, non per forza spostamenti, non solo metafore, in una narrazione collettiva che ci accompagni sotto sole e temporali, fra i palazzi cittadini e gli ombrelloni marini. Buona lettura.
Di Clara Capelli
Dio ha inventato prima il viaggio, poi il dubbio, poi la nostalgia (Lo Sguardo di Ulisse, Theo Angelopoulos, 1995)
Quante valigie servono per contenere anni di affetti e scoperte? Cosa ti porti via alla fine di un viaggio? E cosa metti nel bagaglio con cui cominci una nuova avventura?
anche se prendi sempre delle cose, anche se qualche cosa lasci in giro,
non sai se è come un seme che dà fiore o polvere che vola ad un respiro.
Ci sono oggetti e foto che mi seguono da anni, accumulandosi nello zaino viola che non abbandono da quel viaggio negli USA che feci adolescente, benché ormai abbia perso colore e forma.
Alcune cose tornano in Italia e rimangono lì per farmi versare qualche lacrima nostalgica quelle volte che trovo tempo e ispirazione per riordinare i cassetti. Altre vengono con me, perché per mille personali ragioni non riesco a separarmene: la scatola del tè presa dalla cucina della casa sul faro di Beirut; il minidizionario di arabo con il mio nome calligrafato col caffè di quando studiavo arabo a Tunisi, che sono anni che non apro perché non ci trovo mai quello che cerco; il ciondolo portafortuna regalatomi dalla persona che mi è più cara a Gerusalemme e da cui corro tutte le volte che ci ritorno.
E di nuovo cambio casa
di nuovo cambiano le cose
di nuovo cambio luna e quartiere
come cambia l’orizzonte, il tempo, il modo di vedere
Poi ci sono tutte le cose che devi lasciare, perché la quotidianità che ti costruisci in un posto non viene con te.
Le serate con le mie coinquiline a Pavia; i mille momenti condivisi con gli amici dell’università, specialmente i caffè al bar di Scienze Politiche con Mario a darmi sempre della matta “perché mi piacevano quei posti là”; le ore di lezione di arabo a ridere per idiozie con Leyla; la cena del lunedì con Paola; le chiacchierate interminabili con Aurelia sul nostro balcone o con Elisa e Simona negli angoli più improbabili di Beirut; persino le pause prese in Dipartimento durante il maledetto dottorato. Se penso alla vita a Tunisi cui ho appena messo un punto non oso nemmeno scegliere un esempio per non fare torto a nessuno.
Cambi casa, crei nuovi abitudini, tessi nuove affetti. Sempre in equilibrio tra il bisogno di mettere radici e la voglia di scoprire qualcosa di nuovo e più lontano che i rami che fai crescere non possono toccare. Tra l’arricchirti di nuove splendide esperienze e il sentirti costantemente assente e mancante nella vita di chi ti è caro.
E così me ne andai che ero un poco più saggio
con tre soldi di dubbio e due di coraggio
Nel bagaglio delle mie partenze ci sono sempre tante lacrime, in quello dei miei arrivi c’è sempre la determinazione di non dimenticare o far volar via nella polvere ciò che c’è stato prima.
Si dice spesso di viaggiare leggeri e non voltarsi indietro. Per me, invece, vale l’esatto contrario.
Perché non sia provvisorietà fine a se stessa né “un’equazione senza risultato” come dice Guccini, la costruzione del tuo bagaglio di viaggio è la collezione di sassolini che indicano il cammino percorso. Pesante di emozioni e ricordi, ma necessario.
E un cammello verde che ti accompagna da Tunisi a Gerusalemme passando per il Lago Maggiore serve quindi a incoraggiarti e dirti che sì, anche questa volta – specialmente questa volta – andrà tutto bene.