Un libro che esplora la costruzione dell’italianità durante l’esperienza coloniale italiana in Libia, mostrandone le tante ombre per un doveroso esercizio di memoria
Di Marta Scaglioni
“Libia 1911-1912. Immaginari coloniali e italianità” esce in Italia nel mezzo del dibattito rovente sulla gestione dell’accoglienza ai profughi e ai migranti dal sud del mondo, che spesso devia in strumentalizzazioni elettorali, e che assume con frequenza i toni dell’emergenza e del conflitto sociale ed economico.
Inserendosi in un clima di forte tensione dialettica su questi temi, “Libia 1911-1912” non è solo un testo accademico, ma un tentativo di raggiungere un pubblico più vasto e di stimolare un esercizio di memoria che l’autore ritiene necessario prima di affrontare concettualmente i fenomeni migratori contemporanei: un memento del fatto che l’Italia è stata anch’essa una potenza coloniale, al pari di Francia, Inghilterra e Olanda.
La storia del colonialismo italiano è spesso ammantata da una sorta di indulgenza bonaria, una giustificazione morale in nome della minor scala, dell’“una faccia una razza”, che si serve di una retorica che quasi accomuna gli italiani ai popoli soggiogati e sfruttati.
Gabriele Proglio dimostra come questa percezione non sia frutto di una damnatio memoriae recente, ma abbia delle radici storiche ben ancorate al terreno. Il colonialismo di un paese “proletario” era già sulla bocca di Pascoli, che descriveva l’Italia come ultima tra le potenze e affannosamente alla ricerca di affermazione nel Mediterraneo, e che accarezzava il progetto di conquistare il proprio posto al sole. Nel giugno 1911, dunque, in un periodo in cui la figura di Giovanni Giolitti domina il panorama politico italiano, l’Italia dichiara guerra alla Libia senza attendere il beneplacito della Camera.
Inizia così l’esperienza coloniale italiana in Libia, che sarà l’anticamera di altre spedizioni e tentativi di conquista: il colonialismo fascista, la guerra in Etiopia e l’espansionismo verso i Balcani. Il tentativo di “Libia 1911-1912” è quello di descrivere come l’immaginario coloniale italiano si sia sviluppato prima dell’attacco militare (Capitolo 1 “Immaginari che portano in Libia”), e di come il progetto di conquista abbia gradualmente acquistato progettualità, confutando la classica tesi di Angelo Dal Boca secondo la quale la conquista della Libia sia stata un progetto pianificato e voluto per almeno trent’anni.
Il punto forte del testo consiste nell’utilizzo non convenzionale delle fonti, che spaziano da carteggi e discorsi ufficiali a testi scolastici, canzoni popolari e vignette di giornale.
Attraverso questa pletora di immaginari, Gabriele Proglio affronta i grandi snodi concettuali legati al colonialismo: la creazione della nazione (Capitolo 2 “Reinventare la nazione”), la sacralizzazione della stessa attraverso ritualità sia religiose che laiche (Capitolo 3 “Sacralizzare la patria”) e una disamina attenta degli immaginari coloniali trasmessi dal sistema educativo (Capitolo 4 “La realtà di una finzione: la guerra dei ‘nuovi italiani’) e dalla letteratura (Capitolo 5 “Letteratura e geografia di dominio”).
Il merito dell’opera, al di là dell’analisi della genesi dell’immaginario coloniale, è l’identificazione del “mediterraneismo”, un’area di scambio di immaginari di potenza attorno al Mediterraneo, che lega indissolubilmente le due sponde del mare e porta a riconciliare l’Italia con un’identità protesa verso il sud del mondo. Mai come nel colonialismo, però, lo scambio appare asimmetrico: “Libia 1911-1912” descrive la nascita del concetto prepotente di Mare Nostrum, destinato agli italiani per diritto della storia, e che mai può e deve diventare Mare Alienum.
Il corollario della costruzione coloniale dell’immaginario è l’accento sulla razza, prodromo di ciò che emergerà tristemente più avanti in tutta la sua forza.
La razza italica, però, declinata al tempo del colonialismo, appare interdipendente dalle fortune degli altri popoli mediterranei: “l’Italia prospera o decade seconda che prospera o decade il Mediterraneo”. Gli elementi di costruzione dell’italianità non riguardano solo l’esperienza coloniale, ma piantano nella storia semi di concetti e riflessioni che fioriscono ancora oggi.
“Libia 1911-1912” permette di identificare in nuce le origini dei dibattiti di cronaca contemporanea. Uno su tutti, oltre allo spinoso nodo delle migrazioni, all’arretratezza del Mezzogiorno e alla disoccupazione, è il dibattito sulla cittadinanza, che nasce in Parlamento già nel 1910. Nei dibattiti dei deputati sull’estensione del diritto di cittadinanza ai popoli colonizzati, ad esempio, il lettore attento troverà la base delle attuali resistenze alla riforma dello Ius Soli.
“Immaginari coloniali” è un ottimo esercizio di memoria per il pubblico italiano, che si trova ad affrontare questioni contemporanee che richiedono una conoscenza più approfondita della storia e società italiana, e che non possono prescindere dall’analisi del periodo coloniale. In un tempo di migrazioni transnazionali, barriere e frontiere, specchiarsi nel passato è un salutare percorso che aiuta la comprensione dei problemi rispetto ai quali ci troviamo a dover prendere una posizione oggigiorno. Il Mare Nostrum, lungi dall’essere una barriera geografica, ci connette alla storia di altri mondi e di altri popoli, come ci ricorda “Libia 1911-1912”.