LOST IN SICILY

Ovvero: perdere una figlia in spiaggia, ritrovarla e rifletterci sopra.
di Mauro Mercatanti

“Dov’è Nina?”.
I peggiori incubi possono nascere da domande secche e improvvise come uno sparo.

Tipo questa, che innesca tutta una serie di sguardi panoramici gettati – prima pigramente e poi in un crescendo di scompostezza – tutto all’intorno, fino a certificare che in effetti Nina non è alle viste.
Prima c’era, ora non c’è più.

E’ andata così.
Io – il di lei padre – sono in mare, abbarbicato a un ciambellone, e galleggio pensando attentissimamente a niente.
Maia – la di lei sorella grande – è in mare anche lei, dove Nina, Maia e i loro amici Diego e Clelia sguazzano in pianta stabile dal giorno 1 che abbiamo messo piede in Sicilia.
Nina e Paola – la di lei madre – ritornano dal chioschetto, camminando lungo la battigia.
Le vedo, registro l’immagine e poi torno al mio vacuo galleggiamento.
Una manciata di minuti dopo vengo raggiunto dalla domanda di cui sopra.
Prima me la spara Maia, io la schivo e faccio il vago: “Boh”.
Guardo verso la spiaggia, dove ora c’è Paola sotto l’ombrellone, ma non Nina.

Mi giro verso il mare, dove ci sono Maia, Diego e Clelia, ma non Nina.

Poi, la stessa domanda me la spara Paola dalla spiaggia e mi centra in piena faccia. Lì smetto di fare il vago, mollo il fottuto ciambellone e mi appropinquo al bagnasciuga: “Ma non era con te dieci secondi fa?”.
“Sì, ma poi siamo arrivati all’ombrellone e pensavo fosse venuta in mare”.
Al che ci giriamo tutti automaticamente verso il mare, a cercare l’immagine che non vorresti mai vedere: una figurina che galleggia a faccia in giù. Pochi secondi in tutto, ma vi posso assicurare per niente belli.
Quindi, ricapitolando: Nina non è in mare e non è neanche sotto l’ombrellone. Tutto intorno a noi c’è una spiaggia immensa e affollata ma nessuna Nina nel campo visivo, né a sinistra né a destra.
Risultato: Paola sull’orlo di una crisi di panico, Maia completamente dentro una crisi di pianto, io in modalità “nonèsuccessoniente, nonèsuccessoniente, nonèsuccessoniente”, come tutte le volte che mi trovo nei pressi di qualcosa potenzialmente più grande di me.
Calma, un momento, ragioniamo.
Fabrizio (l’amico nostro) e Paola vanno a sinistra, da dove lei e Nina sono arrivate insieme pochi minuti prima: “Magari è tornata al chioschetto”.
Annalisa (l’amica nostra) va a destra: “Magari ha proseguito”.
Io vado verso l’interno: “Magari è tornata alla macchina” (sempre l’ipotesi più intelligente, io).

Maia gira su se stessa, piangendo.
Intorno, la gente. E qui mi voglio fermare un attimo. La gente.

In un primo momento nessuno dice niente, ma tutti ci guardano senza averne l’aria. Sono vigili, ma discreti. Vogliono saperne di più senza essere invadenti, danno per scontato che la desaparecida ricomparirà a breve e traccheggiano, ma si ha la netta sensazione che siano tutti pronti a fare quello che va fatto, qualunque cosa sia.
Passano i minuti: niente.
Qualcuno inizia ad avvicinarsi: “Descrivetecela”.
Qualcuno mi indica una ragazzina che esce dall’acqua: “E’ lei?”.
“No!”, dico io, catatonico. E penso, stupidamente stizzito: “Perché dovrebbe essere lei, non lo vedi che è grande?”
Paola ritorna, i nostri sguardi si incrociano per un’istante: “Mauri…” mi dice, e la lascia sospesa così, anche perché non c’è altro da dire.

Poi vedo Maia, sconvolta: “Papà… cos’è successo?”.

E io: “Niente”. Cos’altro può essere successo in fondo? Nonèsuccessoniente. Nonèsuccessoniente. Nonèsuccessoniente.
Invece, sforzandosi di essere lucidi, razionali e matematici, qualcosa deve essere successo per forza, diversamente Nina sarebbe con noi. E solo tre cose possono essere successe:
1. E’ in mare e non la vediamo, perché è andata a fondo > 0,0% di probabilità.
2. E’ stata presa da qualcuno che la sta portata via per sempre > 0.1% di probabilità.
3. Si è persa ed è stata trovata da qualcuno che ci sta cercando per riportarcela > 99,9% di probabilità.
Si rivela giusta la 3.
Annalisa mi chiama. Sta tornando con Nina in braccio.

Non si era accorta di essere arrivata all’ombrellone, aveva proseguito e alla fine non ci aveva capito più niente, povero bombolino.
Ce l’aveva una signora per mano, che ci stava cercando.
Nina è terrea, Paola la prende e la abbraccia forte, Maia piange, io faccio finta di non aver avuto paura neanche per un nanosecondo e penso subito a qualcosa di buffo da dire, così, per sottolineare che “nonèsuccessoniente”.

Più tardi penso a quante volte ho già assistito a questa scena. Una madre nel panico che gira per la spiaggia a cercare un figlio che non trova più: innumerevoli.

E a quante volte alla fine lo ritrova: sempre.

Eppure.

Eppure pensiamo sempre al peggio, all’irreparabile, alla cattiveria della gente, alla rapacità del mistero, all’incubo che si fa realtà, alla paura di perdere tutto, alla mostruosità di ciò che ci atterrisce. E invece – dati alla mano – 999.999 volte su un milione il bambino che si è perso è stato semplicemente preso per mano da qualche sconosciuto che ti sta cercando per riportartelo.

Sono stato anch’io quello sconosciuto, almeno una volta.
Siete stati sicuramente anche voi.
Abbiamo avuto paura e qualche sconosciuto ci ha protetto: lo stesso sconosciuto di cui abbiamo avuto paura.

Perché alla fine di questa breve ma intensa vicenda mi è rimasto addosso un senso di sicurezza che mi veniva da una e una sola cosa: la gente.
Gli altri. Gli sconosciuti che abbiamo intorno. Quelli che pensiamo sempre che ci minaccino e che invece, 999.999 volte su un milione, sono pronti a proteggerci almeno tanto quanto noi siamo pronti a proteggere loro.

Ecco, niente, tutto qui. A questo stavo pensando mentre – a vacanza finita – sfogliavo il giornale sull’aereo che ci riportava tutti sani e salvi a casa.
E in questa confortante sensazione mi stavo ancora crogiolando quando ho letto di Maelys, la bambina di 9 anni scomparsa in Francia, durante una festa di matrimonio.
Ad oggi non è ancora stata ritrovata.
La gente non è infallibile.