Un’analisi del voto e delle prospettive del paese
di Silvia Boccardi, illustrazioni di Martina Antoniotti, tratto da KaleData
Le elezioni di domenica 15 ottobre hanno confermato che Maduro non vince, stravince, anche se non è chiaro come.
Giusto poche ore prima della conferenza stampa in cui ha annunciato di aver conquistato 17 su 23 Stati del Paese, i leader dell’opposizione segnalavano già brogli e il rischio di risultati manipolati.
Il sorprendente esito di due settimane fa ha creato la prospettiva di ulteriori disordini in Venezuela, dopo che sei mesi di proteste all’inizio di quest’anno hanno portato a 125 morti, migliaia di arresti e la distruzione di innumerevoli proprietà.
Ma come si è arrivati a questo punto?
LE ELEZIONI
Il 30 luglio scorso, Nicolás Maduro ha chiamato il Paese a votare per eleggere un’assemblea costituente che potesse modificare la costitizione – una mossa che i suoi molti avversari hanno definito una presa di potere. 364 membri dell’assemblea sono stati eletti attraverso libere elezioni locali mentre altri 181 membri sono stati eletti da membri di sette gruppi sociali, tra cui pensionati, gruppi indigeni, imprenditori, contadini e studenti.
Al nuovo organo legislativo è affidato di riscrivere la costituzione, indipendentemente dalle posizioni di altri rami del governo – incluso il Congresso, al momento dominato dall’opposizione.
L’opposizione, che aveva invitato a boicottare, ha denunciato una forte astensione e sostiene che abbia votato solo il 12% dei cittadini. Secondo la commissione elettorale, invece, l’affluenza è stata al 41,5 %. Ma la stessa impresa che aveva fornito la tecnologia per le elezioni ha messo in dubbio l’esito dei sondaggi, dicendo che i numeri dell’affluenza erano stati manipolati.
Tra pressioni crescenti, Maduro ha promesso che indirà un voto popolare al termine del processo di approvazione (o rifiuto) della nuova costituzione. Ma né Maduro né il Consiglio elettorale venezuelano hanno specificato che cosa accadrà con il nuovo potere legislativo.
I critici temono che la creazione dell’assemblea costituente sia un tentativo di superare il parlamento esistente, istituendo un congresso che servirebbe a rafforzare le istanze dell’esecutivo. La coalizione delle forze d’opposizione, la Tavola Rotonda per l’Unità Democratica (nota dalle sue iniziali spagnole, MUD), ha respinto questa richiesta fin dall’inizio, insieme ad alcuni fuoriusciti dai ranghi chavisti.
E anche se la proposta di Maduro di consentire la partecipazione all’assemblea a quei politici che avevano boicottato il voto di fine luglio poteva sembrare un’apertura all’opposizione, alla fine sono stati accolti solo i membri che erano disposti a prestare giuramento davanti al nuovo organo costituito.
LE PROTESTE
La costituzione del Venezuela è stata scritta da un’assemblea costituita nel 1999 dal predecessore e padre politico di Maduro, Hugo Chávez. Mentre Chavez aveva in primo luogo indetto un referendum, assicurandosi così il sostegno popolare al cambiamento, Maduro invece ha istituito l’assemblea costituente con un decreto.
A fine marzo, a partire dal tentativo del governo di togliere al Congresso il diritto di legiferare, in Venezuela sono scoppiate violente proteste che sono continuate nonostante il governo abbia fatto retromarcia. Il primo maggio, nel pieno delle manifestazioni, il presidente ha annunciato la sua decisione di chiedere una nuova costituzione, affermando che fosse l’unica strada per ripristinare la pace nel Paese.
Ma la violenza e la repressione statale sono solo aumentate, con oltre 100 persone uccise e centinaia di persone arrestate.
Solo il giorno del voto hanno perso la vita almeno 10 venezuelani mentre partecipavano alle proteste. Tra queste anche un militare, un candidato all’assemblea e due adolescenti.
L’ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato che si stima che più di 5.000 persone siano state arrestate arbitrariamente dall’inizio delle proteste, il 1 aprile, fino al 31 luglio. Secondo associazioni di diritti umani, sono attualmente più di 100 i prigionieri politici dietro le sbarre; durante i tre mesi di proteste, più di 1.000 persone sono state arrestate e quasi 400 civili sono stati giudicati dal tribunale militare.
Molti paesi e organismi internazionali sono diventati estremamente critici del governo e sostengono l’opposizione.
L’Organizzazione degli Stati Americani ha provato ripetutamente a sanzionare per vie diplomatiche il Venezuela, ma Caracas ha usato la diplomazia petrolifera per assicurarsi che i piccoli Stati caraibici dipendenti dal petrolio votassero contro risoluzioni critiche.
Gli Stati Uniti hanno anche considerato seriamente un embargo al petrolio. Il Venezuela basa il 95% del suo reddito sulle esportazioni di petrolio, le entrate provenienti da queste esportazioni vengono utilizzate per importare prodotti alimentari e medicinali, per cui oltre a limitare il governo, queste sanzioni metterebbero ulteriormente a rischio la già critica situazione umanitaria. Ma c’è il rischio che un embargo possa ritorcersi contro l’economia statunitense. Più semplicemente, l’ambasciatore di Washington ha dichiarato alle Nazioni Unite che il Venezuela è a un passo dalla dittatura.
LA STORIA
Non è la prima volta che, negli ultimi anni, i venezuelani hanno dato il via a movimenti di protesta contro Maduro. Già nel 2014 e nel 2016, infatti, erano state organizzate una serie di manifestazioni che però scemarono dopo qualche settimana.
Secondo PROVEA, una ONG venezuelana che controlla i diritti umani, mai nella storia del Venezuela così tante persone avevano manifestato per le strade. Un’altra organizzazione che si occupa di conflitto sociale, l’Osservatorio dei Conflitti Sociali del Venezuela, ha affermato che dal 1 aprile al 30 luglio ci sono state 4.182 proteste in tutta la nazione.
Secondo i dati più recenti delle banche centrali, il Venezuela ha solo 10,5 miliardi di dollari di riserve estere. Nel 2011, il Venezuela aveva circa 30 miliardi di dollari in riserve estere; nel 2015, ne aveva 20 miliardi ed è difficile predire quando le finirà completamente. Per il resto dell’anno, intanto, il governo dovrebbe pagare circa $ 7,2 miliardi di debiti.
Le spese eccessive del governo, una valuta in perdita, la cattiva gestione delle infrastrutture del paese e la corruzione sono tutti fattori che hanno fatto esplodere l’inflazione in Venezuela.
L’inflazione infatti dovrebbe aumentare del 1,660% quest’anno e del 2,880% nel 2018, secondo l’FMI. Le cause sono da ricercare nelle politiche inefficaci attuate dal governo socialista e nel prezzo relativamente basso del petrolio, pari a metà di quello che era nel 2014. Il Venezuela ha più riserve di petrolio rispetto a qualsiasi altra nazione al mondo e le spedizioni petrolifere costituiscono oltre il 90% delle esportazioni totali del Paese.
Maduro è stato molto vago circa gli obiettivi della nuova costituzione, facendo temere che questa sia semplicemente una presa di potere piuttosto che una mossa per risolvere i molti problemi del Paese, trend purtroppo non raro in alcuni Paesi del Sudamerica.
Le differenze col passato però non mancano.
I residenti poveri di aree che erano state le roccaforti del partito di governo hanno cominciato ad unirsi alle proteste. In passato, molti venezuelani di classe operaia hanno sostenuto il sistema messo in atto dall’ex presidente Hugo Chávez – e mantenuto da Maduro – perché beneficiavano di vantaggi come generi alimentari a basso costo, cure mediche e alloggio gratuiti. Ma ora molti “Chavistas” sono disillusi e il governo li teme.
I leader di diversi partiti si sono uniti alle marce. Stanno emergendo nuovi leader che assumono ruoli centrali, dando una ventata d’aria fresca ad un’opposizione i cui capi-partito sono stati in politica fin dai primi anni della presidenza di Chávez.
Ci sono segnali che il Venezuela sta vivendo un nuovo capitolo della sua storia.
‘La differenza questa volta’, secondo Nicmer Evans, membro di Marea Socialista, movimento chavista in opposizione a Maduro, ‘è che il popolo ha davvero ragione a protestare’.
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