Un viaggio in tre puntate. Tre nomi. Tre corpi. Tre punti cardinali. Tre deviazioni.
Di Gabriella Ballarini
Cobija, interno giorno.
“Puoi fotografare la mia vita?” Così si avvicina a me Efraim, quando si accorge che ho in mando una grossa macchina fotografica.
“Vieni qui vicino e guarda i miei piedi e le mani e tutto il resto.”
Adulti e adolescenti si incontrano in questi giorni qui a Cobija, cittadina sistemata sul confine brasiliano e chiamata la perla dell’Acre.
Efraim è professore in una piccola scuola cattolica, lui non aveva mai disegnato il suo corpo su un grande foglio, mettendoci dentro tutte le possibili gioie e dolori di una vita intera, di un’esistenza spezzata tra le Ande e l’Amazzonia, per far quadrare i conti, per darsi una possibilità, per tante ragioni che forse tutte non me le ha nemmeno raccontate e alcune me le ha disegnate.
La stanza è grande trenta metri quadrati e il gruppo degli insegnanti che hanno deciso di prendere parte a questo seminario dal titolo: “Il corpo e la sua narrazione” è di 15 persone.
La consegna è semplice, ci si divide a coppie e io disegno te e tu disegni me e poi ripassiamo il contorno e finalmente iniziamo a raccontare un pezzo alla volta quello che ci ha portato qui oggi, ognuno per conto suo. Con i pennarelli tracciamo le strade che si sono riempite di tempo quando le abbiamo percorse e quelle che ci hanno riempito di spazio quando le abbiamo attraversate.
Efraim ha preso i suoi colori e tutti i suoi anni di vita, si è seduto sul pavimento e ha seguito ogni passaggio.
E quindi la domanda.
Cosa succede quando trascriviamo la nostra vita dentro ai contorni del nostro corpo?
Il contorno diventa finalmente un limite che libera le parole. Un corpo-universo che non ha età, ma solo storia.
E la storia personale si intreccia magnificamente con la storia professionale e la storia di Efraim diventa la storia di tutti i suoi studenti e studentesse e il graffio delle incomprensioni con i colleghi e un sottosuolo di sogni che non hanno mai avuto il coraggio di esplodere dentro casa o dentro l’aula, ma oggi si, almeno un po’.
Efraim scrive la sua poesia.
Dopo la poesia usciamo in cortile e mettiamo insieme tutte le storie, ritagliando le ombre sulle pareti della chiesa. Si gioca. Si sperimenta, come se fossimo in quel tempo là, quello del giocare nei cortili, quando sperimentare sembrava ancora permesso.
“Puoi fotografare la mia vita?”
Efraim ha 40 anni, gli occhi piccoli e una carnagione scura a raccontare delle sue origine andine. Efraim ha guardato il suo corpo grande di carta, delle stesse misure di quello vestito e ha preso una penna nera per scrivere una poesia.
“Non pensavo, alla mia età, di rendermi conto di avere così tante storie da raccontare”
Pausa.
“Vuoi leggere la mia poesia? Non avevo mai scritto una poesia.”
Mi cuerpo y sus raices… – il mio corpo e le sue radici
Siento todavia ese abrazo fuerte – sento ancora questo abbraccio forte
Que me hace despertar – che mi risveglia
Para pensar nuevamente que camino andar – per pensare di nuovo quale strada percorrere
Un “Te Amo” y un “Adios” – Un “Ti amo” e un “Addio”
Me impulsò a tener un sueño feliz – mi ha spinto ad avere un sogno felice
Un sueño del que no quiero despertar – un sogno dal quale non voglio risvegliarmi
Para ver esa luz. – Par vedere questa luce.
Es dificil tomar un camino desconocido – è difficile percorrere una strada sconosciuta
Pero una satisfacciòn, – però è una soddisfazione
al saber el destino que llama. – conoscere la destinazione che sti sta chiamando.
Se que me falta saber todavia – So che devo conoscere ancora
Recorrer el camino que tomè. – Passare attraverso la strada che ho preso.
Sin pensar mucho donde llegar – Senza pensare molto a dove arriverò
Siento todos los dias, que estoy muy cerca – sento ogni giorno che sono molto vicino
Que mas puedo pedir? – Che cosa posso chiedere di più?
Si tengo los tesoros que buscaba – Se ho tutto quello che cercavo?
Y tengo donde cuidarlos. – E ho anche dove prendermene cura.
Solo pido a Dios, que me de tiempo y fuerza – Chiedo a Dio che mi dia tempo e forza
Para llegar a un destino final. – Per arrivare a destinazione.