Handia

di Alessandro Ruta
Il film dell’anno nei Paesi Baschi, e forse in tutta la Spagna, è una storia triste, ma ispirata a fatti reali. Ci riporta indietro di un secolo e mezzo, ci fa respirare l’odore delle guerre carliste e delle famiglie arcaiche (uno dei pilastri di Euskal Herria) e ci fa conoscere un personaggio leggendario, anche se realmente esistito: Joaquin Eleizegui, “il gigante di Altzo”. Tutto ciò che gli ruota attorno, le vicende intercorse tra lui e il fratello Martin, fanno parte di “Handia”, una pellicola che al recente Festival del Cinema di San Sebastian è stata la rivelazione assoluta.

Baserri
Handia in basco significa “grande”, nel senso di “alto”. Ed effettivamente il vero gigante di Altzo era un uomo alto circa due metri e quaranta, vissuto tra il 1818 e il 1861 in questo borgo della Gipuzkoa, la provincia di San Sebastian, situato nell’interno, tra le montagne, a dieci minuti da Tolosa. Un luogo basco che più basco non si può: pieno di “baserri”, le case rurali a conduzione familiare spina dorsale di Euskal Herria. E dove nel 2015 Bildu, per dire, il Partito Indipendentista, ha fatto il pieno di voti: 85% su circa 500 abitanti, robe bulgare.
In uno di questi nasce, appunto, Joaquin. Che fino all’adolescenza non sembra destinato nè a diventare una celebrità, suo malgrado, nè tantomeno un gigante. Ha un fratello maggiore, Martin, lui sì con la strada tracciata per prendere l’eredità del padre nel baserri. Fino a quando non arrivano le guerre carliste: è un momento terribile per i Paesi Baschi, che si troveranno dalla parte sbagliata della storia, scritta dai vincitori.
Gli Eleizegui contribuiscono alla leva con Martin, che riesce a convincere i superiori dell’esercito, quando vengono a prenderlo in casa, a lasciar perdere Joaquin: lui, il più giovane, può rimanere a casa, mentre il maggiore finisce sconfitto, ferito e invalido, non può più muovere un braccio.
Da quella notte oscura, illuminata solo dalle torce e dai fuochi dei soldati, cambierà tutto per la famiglia Eleizegui.
Nel momento in cui torna ad Altzo, segnato dagli eventi, Martin scopre che in paese c’è una nuova celebrità, nelle strade non si parla d’altro. Se ne accorge entrando in chiesa, quando nota una persona altissima tra i banconi: è suo fratello, che in quei tre anni ha avuto una malattia che prima l’ha costretto a letto e poi l’ha fatto crescere in maniera esagerata.
E’ un gigante, “Il gigante di Altzo”: e adesso che si fa? I lavori nel baserri sono diventati improponibili per entrambi, e allora occorre trovare un’alternativa per tirare avanti.
Fratelli
Il film inizia dalla fine, con un flashback: Martin un giorno scopre che dalla fossa dove era stato sepolto suo fratello sono scomparse le ossa. Chi se le è portate via? Perché è chiaro che qualcuno le ha rubate, forse un collezionista o forse un medico. Da lì ripercorre tutti i momenti in cui Joaquin, da anonimo giovane pastore basco mai uscito dal circondario di Altzo, era diventato un’attrazione internazionale, sempre accompagnato da Martin.
Ma attenzione, mai col sorriso: più con costrizione, alla “Elephant Man”. Fenomeno da baraccone non così obbrobrioso, eppure diverso da chiunque altro in un’Europa che non è collegata come oggi e che si meraviglia davanti a un ragazzo che non smette mai di crescere e che se non fosse morto a 43 anni sarebbe diventato ancora più “handia”.
Tuttavia da Bilbao a Londra, da Parigi a Madrid (memorabile la scena in cui la regina Isabella gli chiede se abbia di grosso tutto il corpo, compreso il pene, e gli intima di spogliarsi davanti a lei) fino ai monumenti di Stonehenge, il gigante è un ragazzo che si vede obbligato a uscire dal suo mondo per salire su un palcoscenico scomodo, ma al contempo redditizio. E in cui anche l’amore verso l’altro sesso gli è precluso per sempre.
I soldi che entrano sono tanti: denari con cui il baserri, vero fulcro del racconto anche a distanza, rimane alla famiglia, comprato (prima era in affitto) con gli incassi degli spettacoli di Joaquin in giro per l’Europa. Un baserri ripreso con immagini mozzafiato, in cima a una collina, circondata dal verde.
Sullo sfondo sempre il rapporto amore-odio tra fratelli, l’aspetto più toccante del film, il più crudo e commovente: uno rimprovera all’altro di averlo abbandonato per andare in guerra, l’altro lo accusa di ingenuità e di falsità per avergli mentito sull’aver inviato i (tantissimi) soldi a casa, quando invece sono in una diligenza attaccata da dei malfattori che portano via tutto.
In compenso uno non può fare a meno dell’altro, fin da quando in quella sorta di “sliding door”, uno era finito a combattere e l’altro a casa, dove si era ammalato irrimediabilmente.
La conclusione è uno sfondo bianco, come la neve che avvolge la carrozza in cui viaggiano i due fratelli e che si perde, chissà dove: Martin va a cercare aiuto in una locanda promettendo, già che è lì, di mostrare ai clienti un uomo alto due metri e quaranta, mentre Joaquin, impaurito, si avventura nel nulla finendo faccia a faccia con un lupo.
Solo allora, forse, i due fratelli, cercandosi nell’emergenza e nella disperazione, si ritroveranno.
“Handia”, uscito a ottobre, è il film in lingua basca (si può vedere anche con i sottotitoli nei cinema) che ha incassato di più. Jon Garano e Aitor Arregi sono i due registi dell’opera, che al festival di San Sebastian, lo scorso settembre, ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria presieduta da John Malkovich. Ha fatto il pieno di nomination ai premi Goya (13).
Pochi giorni fa ha conquistato anche il Noir In Festival, in Italia. Insomma, merita davvero.