Il lago: un’introduzione
di Matteo Spertini
Cronaca nera e qualche infelice uscita celodurista dei feudatari locali a parte, questa sponda del lago non raggiunge quasi mai i titoli dei Tg, le testate dei giornali nazionali. A far parlare di questo posto non più industrializzato e meta di un turismo intermittente – per questo è chiamata la Sponda Magra – qualche volta è gente come Enzo Iacchetti o Renato Pozzetto, che racconta ai giornali della malinconia che è in grado di abbracciare la loro (mia) terra d’origine, persino in piena estate, persino con il sole.
Tutte le provincie o quasi, vivono una penombra quotidiana in cui, che piaccia o no, divertimenti e cose interessanti, ce lo ha insegnato bene Luigi Ghirri, vanno cercate dove sembrano non esserci o quanto meno dove nessuno sembra vederli.
Si forma così, dentro, un’estetica individuale e soggettiva fatta di legami intimi con posti che si vede cambiare pochissimo nell’arco della vita. E con il tempo ho pensato che forse è anche perché provengo da un punto geografico decentrato rispetto all’epicentro degli eventi, la cui identità risulta spesso vaga persino a chi lo vive, se mi interesso di temi marginali e qualche volta emarginati. E penso che i luoghi da cui si proviene si possono adorare come delle amanti, odiare fino a maledirli. Partire e non tornare mai più. Ma rimangono, piaccia o no, dei genitori la cui impronta rimane incisa nel dna, impossibile da scegliere o sradicare.
Guardo mio padre, mio nonno, me stesso. Tre generazioni nate e cresciute a 150 metri dalla riva. Penso spesso che le somiglianze tra noi tre e il lago siano enormi. Taciturni, defilati dal centro dell’attenzione persino ai pranzi di famiglia. Calmi in superficie, attraversati da correnti irrefutabili in abissi profondi e stretti.
E così questa rubrica vuole essere un piccolo tributo a qualcosa cui il sottoscritto deve tutto. Anche la voglia di andarsene. Per questo è dedicata a un posto che compare pochissimo nei racconti. Perché non si occupa del lago, ma del punto di vista che esso ha formato dentro chi scrive. Questa rubrica vuole essere una raccolta di pagine di diario che è stato difficile tenere insieme, legare a un argomento comune che forse nemmeno esiste.
Appunti di viaggio di un lacustre, ecco tutto. Il titolo, un omaggio a una fra le più belle canzoni italiane mai scritte nonché al posto da cui provengo, che non compare però direttamente in questi racconti. Perché ancora prima dei suoi colori all’imbrunire in autunno, ancora prima di quelle passeggiate infinite sui sentieri abbandonati da chi preferisce le saune, le piste da sci, gli impianti balneari attrezzati o le infrastrutture culturali delle città d’arte, più di tutto quella terra provinciale mi ha insegnato l’importanza della lentezza, la profondità delle cose che sembrano non esserlo, il valore silenzioso celato nei tempi morti; questa è la traccia che ha lasciato nei racconti che condivido in questo spazio.
Metto su questo tavolo le mie esperienze, i miei viaggi, le storie di chi ho incontrato. Niente di eclatante, nessun evento straordinario. Mi premuro di raccontare qualcosa che riceve ancora meno attenzione delle province italiane: la purezza nei gesti degli sconosciuti, i passaggi e l’ospitalità ricevuti senza che mi sia stato chiesto qualcosa in cambio, nemmeno un like o una recensione. Gli aneddoti di chi – come me – prova a viaggiare lentamente e affidandosi agli altri, l’importanza di conservare una dimensione umana dell’esplorazione.
Senza smettere di osservare la mia ombra allungarsi nel web, mi chiedo spesso e con poco successo se non sia dovuta essa solo al sole basso di questo imbrunire culturale e se faccio parte di quella mediocrità dilagare senza freni che prende voce in capitolo a prescindere dalle proprie competenze. Penso però che se c’è una competenza che ho, oltre all’inglese più o meno scorrevole e alla conoscenza dei programmi grafici scritte sul cv, forse questa è proprio data dalla mia esperienza, dalle storie di chi ho incontrato, dalla volontà di condividerle, come per alzarmi e dire a tutti che là fuori, non tutto fa paura. Così vi offro questi episodi, vissuti dal sottoscritto in angoli diversi di questo mondo e raccontati con quel punto di vista lacustre e provinciale – qualsiasi cosa voglia dire – che mi sono accorto essere parte di me.
Con la forza di un ricatto
L’uomo diventò qualcuno
Resuscitò anche i morti
Spalancò prigioni
Bloccò sei treni
Con relativi vagoni
Innalzò per un attimo il povero
Ad un ruolo difficile da mantenere
Poi lo lasciò cadere
A piangere e a urlare
Solo in mezzo al mare
Com’è profondo il mare
(Com’è profondo il mare – Lucio Dalla)
***
Ogni nome – eccetto il mio – presente nei testi di questa rubrica è fittizio, al fine di proteggere l’identità dei soggetti, i quali invece, come i fatti, sono reali.
Parte dei contenuti di questa rubrica sono un’estensione testuale del mio lavoro di fotografia documentaria, che potete approfondire a www.matteospertini.com