Un passato ingombrante, con le foto dell’ultimo pontefice che visitò Cile e Perù incontrando un dittatore
di Mauro Morbello
Sono passati trenta anni dall’ultimo viaggio di un papa in Cile e in Perù. Nel 1987, quando papa Giovanni Paolo II visitò il Cile, fu ricevuto dal Generale Pinochet.
Anche se oggi Giovanni Paolo II è un santo, in molti, in Cile e nel resto dell’America Latina, non gli perdonano non solo di aver abbracciato il dittatore, ma anche il suo silenzio su numerosi casi di pedofilia nella Chiesa cattolica avvenuti in tutto il continente durante il suo pontificato, insieme a un sistematico rifiuto – in realtà una vera e propria soppressione – delle posizioni più progressiste della Chiesa, in particolare quelle legate alla teologia della liberazione.
L’attuale visita di Papa Francesco in Cile sarà senz´altro differente. Non abbraccerà nessun dittatore. L´obiettivo principale sarà quello di riunirsi con la parte della popolazione in situazione di maggiore esclusione sociale ed economica.
Principalmente con le popolazioni indigene, che in Cile sono rappresentate dal popolo Mapuche distribuito nelle regioni centro meridionali del paese e nel sud dell’Argentina.
I Mapuche sono stati gli unici indigeni sud americani che resistettero alla dominazione Inca e persino alla colonizzazione spagnola. Ancora oggi sono in lotta per la difesa del proprio territorio, non solo contro i governi cileno ed argentino, ma soprattutto contro le multinazionali che con diversi obiettivi cercano di espropriare le loro terre.
Ed è proprio sul tema della terra, quello delle popolazioni indigene che alla terra sono più legate e quindi sulla necessità di rispettare e proteggere l´ambiente, che si svilupperanno i contenuti del viaggio di Papa Francesco. Non solo in Cile, ma soprattutto in Perù.
Da quando è stato eletto, quasi cinque anni fa, Papa Francesco ha giocato un ruolo politico estremamente importante per contribuire ad assicurare la pace in America Latina.
Dopo oltre cinquanta anni di embargo, ha contribuito fortemente a riallacciare una relazione tra Cuba e gli Stati Uniti durante l’amministrazione Obama ed è stato un attore centrale per concretizzare l’accordo di pace tra le FARC e il governo colombiano, dopo 52 anni di conflitto armato, costato oltre 220mila morti e milioni di rifugiati.
Con l’enciclica Laudato sì del 2015 – una enciclica esclusivamente dedicata alla necessità di protezione e conservazione dell’ambiente – Papa Francesco ha assunto in prima persona la responsabilità di rilanciare un tema attuale e di centrale importanza: quello della difesa della natura come bene comune dell´umanità.
Una problematica universale, ma che ancora una volta trova una sua dimensione specifica proprio in America latina.
La regione dove da uno sfruttamento ormai fuori controllo è messo in pericolo uno dei principali “polmoni del pianeta colmi di biodiversità”, dove si genera il 20 percento dell’acqua e dell’ossigeno: l’Amazzonia.
E proprio da una zona dell’Amazzonia che per le sue bellezze naturali ha un nome evocativo, Madre de Dios, il prossimo 19 gennaio inizierà la visita di tre giorni del papa in Perú.
Madre de Dios si trova all’estremo sud-est del Perù, al confine con il Brasile e la Bolivia è una delle aree naturali con maggiore biodiversità al mondo. Oltre che di flora e fauna, Madre de Dios è però ricca anche di oro alluvionale. Ne vengono estratte venti tonnellate metriche annuali, corrispondenti a circa il 12 percento dell’oro del Perù, che è il sesto produttore al mondo. Proprio questo metallo è stato la maledizione di Madre de Dios, perché ha trasformato il paradiso in qualche cosa di molto simile all´inferno.
Trattandosi di un’area teoricamente protetta – purtroppo solo sulla carta – per essere almeno formalmente in gran parte una riserva naturale, la produzione dell´oro a Madre de Dios avviene in maniera informale e illegale, senza nessun controllo o regolamentazione.
Non esistendo limitazioni, il metodo utilizzato dai minatori per estrarre l´oro è devastante: radono al suolo la foresta, lasciando solo una distesa di terriccio e con motori a gasolio pompano il fango e la sabbia su superfici a “tappetto” per cercare di trattenere la maggior quantità possibile di materiale prezioso.
Senza nessun reale controllo, secondo dati ufficiali, tra il 2001 e il 2017 sarebbero scomparsi 170mila ettari di foresta, la maggioranza dei quali in aree vergini e formalmente protette.
Di questi, almeno 30mila ettari sono già stati dichiarati irrecuperabili per il livello di distruzione e i residui di materiale pesante, soprattutto mercurio, lasciati sul territorio dai processi di estrazione.
Purtroppo la situazione appare di anno in anno in progressivo peggioramento, considerando che la perdita annua di foresta nel 2017 ha superato i 20mila ettari (equivalenti a 28,500 campi di calcio) duplicando la deforestazione registrata nel 2008.
Il giro d’affari dello sfruttamento illegale dell´oro, anche se gestito in sordina, é davvero enorme.
E’ stato calcolato che l’attività genera margini di profitto superiori al commercio della cocaina arrivando secondo dati di Insight Crime a produrre un volume di circa 3mila milioni di dollari annuali, di cui circa mille nella sola regione di Madre de Dios.
Il paradosso, che é difficile considerare non voluto, é che pur trattandosi di una attività socialmente e ecologicamente distruttiva, al pari della droga appunto, la produzione e commercio illegale dell’oro non é contrastato con lo stesso impegno da parte delle autorità.
Nella regione amazzonica come nelle altre aree del pianeta sottoposte alla depredazione delle risorse naturali le popolazioni più vulnerabili sono quelle che soffrono le maggiori conseguenze, anche perché sono coloro in prima linea – spesso soli – nella difesa dell´ambiente.
Mettendo a rischio spesso, troppo spesso, la loro vita. Durante il 2016 sono stati ben duecento gli ecologisti uccisi per difendere l’ambiente. Di questi il 61 percento erano latino americani, assassinati in condizioni di generalizzata impunità per la frequente non identificazione dei colpevoli.
Di fatto è proprio sul tema dell´ambiente che si gioca la definizione della nuova frontiera per la difesa dei diritti umani.
Con frequenza la difesa dei diritti dei più deboli, che in America Latina sono proprio le popolazioni indigene. Complessivamente meno del 6 percento della popolazione mondiale, vivono su circa il 20 percento del territorio del pianeta, ma sono state indigene il 40 percento delle vittime di assassinato di ecologisti nel 2016.
La ragione è che i loro territori sono generalmente intatti e fanno particolarmente gola a coloro che hanno come obbiettivo di depredare risorse naturali senza remore rispetto al livello di violenza da utilizzare per ottenerle.
Per questo Papa Francesco ha messo al centro della sua visita a Madre de Dios più incontri con le popolazioni indigene, non solo del Perù ma anche del vicino Brasile e della Bolivia. Gli incontri serviranno a preparare anche il sinodo Pan Amazzonico previsto per il 2019, che coinvolgerà i 9 paesi che integrano la regione.
Le popolazioni indigene e dei movimenti ambientalisti si augurano che grazie alla visita e alla sensibilità di Papa Francesco su queste tematiche si metta al centro degli impegni politici dei governi della regione la protezione della natura e il rispetto delle regole per uno sfruttamento razionale delle risorse.
In primo luogo un impegno serio del governo peruviano nel promuovere un contrasto allo sfruttamento minerario selvaggio. Quello illegale soprattutto, ma non solo.
Purtroppo i precedenti e la storia del continente latino americano non fanno ben sperare. Da un lato in America Latina si concentrano enormi ricchezze naturali che stimolano il forte interesse di imprese che hanno come fine lo sfruttamento delle risorse.
A questo si somma il fatto che i paesi della regione non sono mai purtroppo riusciti ad uscire da un modello di sviluppo economico basato quasi esclusivamente sull´esportazione primaria delle materie prime.
Tale situazione, sin dal periodo della colonia spagnola, ha implicato la promozione di particolari agevolazioni in favore di investimenti esteri volti a favorire soprattutto imprese estrattive.
Negli ultimi 40 anni tali condizioni hanno ricevuto una ulteriore accelerazione grazie alla diffusione di logiche neo liberiste volte a promuovere l’assoluta libertà del mercato favorendo ulteriormente una dinamica estrattiva di tipo depredatorio.
A tutto questo si somma la persistente esistenza in America latina di un modello discriminatorio tra classi sociali e gruppi etnici, che vede gli indigeni in una situazione di oggettiva esclusione sociale, culturale, economica e politica.
Come si indica nella stessa enciclica Laudato sì, deve essere la popolazione in generale, non solo la popolazione indigena, ad assumere un ruolo attivo, di stimolo, incitamento e sprono nei confronti dei rappresentati politici ed istituzionali per far loro assumere le responsabilità richieste per la difesa dell’ambiente.
Mi auguro di tutto cuore che il viaggio di Papa Francesco serva a ridare a tutti noi una speranza perché ciò succeda.
Che davvero si possa assistere nel prossimo futuro ad una meggiore presa di coscienza collettiva della popolazione latino americana e in particolare di quella peruviana, rispetto all´esigenza di proteggere l’ambiente, soprattutto nelle aree di maggiore biodiversitá come é Madre de Dios.
Purtroppo, ad oggi, in Perú e in molti paesi latino americani la situazione è molto diversa. Gli indigeni sono lasciati soli, spesso a morire, per difendere i loro territori.
Grazie ad una martellante campagna che promuove il sistema estrattivo che domina il potere economico di molti paesi del continente, la maggioranza della popolazione é purtroppo convinta che sfruttare anche irrazionalmente le risorse sia un modello di sviluppo adeguato.
E il costo legato alla distruzione dell´ambiente un effetto collaterale da assumere.