Incontro con due esponenti del Secular Movement, gruppo che si batte per la laicità dello Stato
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/08/IMG_4409.jpg[/author_image] [author_info]di Samuel Bregolin, dal Cairo. Diplomato come perito agrario, ha seguito letteratura contemporanea a Bologna. Si occupa di agricoltura biologica, reportage, poesia, giornalismo e viaggio. Ha viaggiato in Francia, Italia, Inghilterra, Spagna, Ex-Jugoslavia, Romania, Bulgaria, Turchia, Tunisia e Marocco. Ama raccogliere e raccontare storie dal basso e dalla strada. Ha collaborato con Il Reporter, Colonnarotta, Lindro e Turisti non a Caso. Collabora con Viaggiare i Balcani, OggiViaggi, Il circolo del Manifesto di Bologna, Articolo3, Il Reportage, Qcode Mag. [/author_info] [/author]
27 agosto 2013. L’Egitto, dopo un contestato referendum confermativo a dicembre dello scorso anno, pone la sharia, la legge islamica, come fonte principale della legislazione nazionale. Nel paese, per una parte della popolazione, in prevalenza giovani e studenti, è inaccettabile. Vorrebbe vedere la sharia fuori dall’ordinamento statale, per avere istituzioni democratiche e laiche, capaci di pensare al buon funzionamento dello Stato e al benessere dei cittadini senza l’influenza della religione.
A parlarcene sono Ahmed Samer, fondatore del Secular Movement e Rabab Kamal, portavoce dello stesso. Li incontriamo in un famoso bar del Cairo, dove si svolsero molte riunioni di intellettuali, nel caldo inverno di due anni fa. Il Secular Movement ha un’origine recente, nasce dalle stesse menti che hanno partecipato al movimento 6 aprile, uno di quelli che portò alla rivoluzione del 25 gennaio 2011 e che fece cedere il potere a Hosni Mubarak.
“Abbiamo fondato il movimento nel Dicembre 2012”, esordisce Rabab, “Al momento contiamo 40 attivisti e numerosi sostenitori, cerchiamo di conquistare sopratutto le aree rurali dell’Egitto, dove la mentalità conservatrice e tradizionalista, fortemente legata alla sharia, è più diffusa”.
Non è la prima volta che una minoranza progressista critica la religione di Stato e cerca il cambiamento, ma le problematiche si sono accentuate dalla caduta del regime di Hosni Mubarak, con i Fratelli Musulmani al potere.
“In Egitto la propria religione è un dato inserito nella carta di identità di ogni cittadino”, ci spiega Ahmed. “Così come la professione, la data di nascita e la residenza. Ad ogni controllo delle forze dell’ordine, in ogni momento in cui si esibisce il proprio documento negli uffici pubblici, questi possono conoscere la tua religione, e comportarsi di conseguenza”.
I problemi sono molteplici, e non sono legati solo a semplici controlli quotidiani. Nel luglio 2012 il direttore dell’emittente statale Shabab TV, politicamente schierata, è stato licenziato per la sola e semplice motivazione di non essere musulmano. Senza aggiungere le frequenti violenze notturne verso non musulmani compiute durante la notte da fanatici, con l’evidente complicità degli apparati statali.
“Il problema non è essere musulmani o no”, ci sottolinea Rabab. “Ma poter vivere serenamente e privatamente il proprio credo, senza l’intervento dello Stato. Qualche mese fa un ragazzo musulmano ha subito ottanta frustate, una punizione coranica che rientra nella sharia, per essere stato visto bere della birra pubblicamente”. Il problema quindi, non è solo di religione personale, ma di rispetto di regole e norme di comportamento che ogni cittadino musulmano dovrebbe essere tenuto a condividere.
Uno dei problemi principali nasce dalla stessa costituzione egiziana, modificata ad inizio 2011. Nei giorni convulsi della rivoluzione, però, si è pensato maggiormente ad una svolta democratica nella gestione del potere, senza andare troppo per il sottile. “Gli articoli 2 e 219 della costituzione egiziana si rifanno chiaramente alla sharia”, ci spiega Rabab. “Essi dicono che in ogni caso lo stato debba seguire le indicazioni e le regole della sharia. Ovviamente – continua Ahmed – I Fratelli Mussulmani al potere hanno eseguito questi articoli alla lettera”.
“Noi vogliamo libertà e uguaglianza per tutti i cittadini egiziani”, sintetizza Rabab. “Siano essi musulmani o ortodossi, uomini o donne. Vogliamo uno stato democratico e una costituzione laica. Dove ognuno possa esercitare il proprio credo e la propria religione, senza che questo influisca sulle scelte civiche”.
La prima campagna organizzata dal Secular Movement si è svolta nel corso del 2012, un evento chiamato: It’s not your businnes, che consisteva nel nascondere, cancellare o coprire la voce religione sulla propria carta d’identità. Come ci spiegano Rabab e Ahmed, mentre mostrano orgogliosamente la loro di carta d’identità. Con la religione rigorosamente cancellata da un grosso tratto di pennarello nero.
“Non è solo un problema burocratico, le ritorsioni contro le donne o i non musulmani sono quotidiane, la gente per strada ha paura. Paura di essere riconosciuta, di essere ricattata, che gli vengano chiesti favori personali o anche sessuali in alcuni casi”, continua Rabab alzando la voce; mentre Ahmed si guarda attorno, per assicurarsi di non attirare troppo l’attenzione degli avventori ai tavolini del bar dove siamo.
“Cancellare la voce religione dalla carta d’identità egiziana è solo il primo passo”, conclude Ahmed poco prima di salutarci. “Vogliamo uno stato laico e democratico, con una politica indipendente e diritti garantiti per ogni cittadino egiziano. Questo è il nostro vero obiettivo”.
Forse non sarà sufficiente all’Egitto aver fatto una seconda rivoluzione, forse non basterà il colpo di stato militare che ha recentemente deposto i Fratelli Musulmani per creare uno stato democratico e avanzato, che possa garantire un buon livello di vita ai suoi cittadini. Per un vero cambiamento, servono decenni.