Dieci anni di storie dal Kosovo

Il Kosovo festeggia dieci anni di indipendenza. Anni segnati da successi simbolici, ma senza vere risposte a questioni come disoccupazione, convivenza, corruzione e mancanza di una strategia di sviluppo

di Vetan Kasapolli, tratto da Osservatorio Balcani Caucaso

Il decimo anniversario della dichiarazione di indipendenza del Kosovo coincide con il primo schieramento di una squadra nazionale alle Olimpiadi invernali a Pyongchang, in Corea del Sud.

L’unico membro della squadra, lo sciatore Albin Tahiri, ha però ben poche possibilità di vincere una medaglia.

La prima pagina della storia olimpica del Kosovo è stata scritta solo due anni fa, a Rio de Janeiro. Lì, grazie alla campionessa di judo Majlinda Kelmendi, il Kosovo ha vinto la sua prima medaglia d’oro: il suo più grande successo nello sport globale.

Questi momenti olimpici non sarebbero stati possibili senza la cruciale decisione del CIO di ammettere il Kosovo tra i suoi membri nel 2014. I politici del Kosovo esaltano come storici questi risultati ed esortano tutti i kosovari a cercare il successo e il riconoscimento internazionale individuale attraverso il duro lavoro, nello sport come in altri campi.

Sfortunatamente, un percorso così ambizioso è alla portata di pochissimi giovani. Albin Tahiri ha potuto permettersi allenamenti sulle piste da sci in vari paesi dell’UE facendo affidamento a risorse economiche personali, mentre in patria la squadra di Majlinda Kelmendi continua ad allenarsi in sale non riscaldate a causa dei continui tagli all’elettricità. Anche la nazionale di calcio, recentemente ammessa dalla FIFA, continua a giocare le partite casalinghe in Albania, in assenza di uno stadio con gli standard richiesti.

Agli altri non restano che strade più tortuose per raggiungere l’altro lato dei confini del Kosovo. Il più giovane paese in Europa è anche il più isolato del Vecchio continente: i suoi cittadini sono gli ultimi dei Balcani occidentali a non poter viaggiare senza visto nell’area Schengen.

Questo non ha impedito a quasi il 10% degli 1,8 milioni di abitanti di entrare irregolarmente nell’UE da quando il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza, il 17 febbraio 2008.

Molti hanno addirittura rischiato la vita sulle montagne in inverno o nascondendosi in condizioni disumane all’interno dei camion. Alcuni sono morti attraversando dei fiumi nel tentativo di raggiungere l’Ungheria.

Una fuga così sistematica dal Kosovo libero e indipendente non era prevista dieci anni fa.

All’epoca della dichiarazione di indipendenza, la società del Kosovo desiderava staccarsi da una debole amministrazione internazionale e autogestirsi, sognando di diventare presto un prospero nuovo paese nel mezzo dell’Europa.

Un’economia al palo

Nonostante una crescita costante del PIL del 3-4% l’anno dal 2008, tuttavia, l’economia non è mai decollata. Ciò ha portato i tassi ufficiali di disoccupazione al 27% (in realtà molto più alti, specialmente tra i giovani).

I laureati che escono ogni anno dalle università pubbliche e private appena fondate a Pristina e nelle altre principali città kosovare lottano per un numero estremamente limitato di posti di lavoro. Anche le opportunità di ottenere un impiego presso il più grande datore di lavoro – il settore pubblico – rimangono scoraggianti.

È proprio la mancanza di opportunità di lavoro che rimane oggi il più grande problema percepito dal cittadino kosovaro medio.

Mentre molti hanno cercato di emigrare, l’élite del Kosovo ha sviluppato un ambiente economico senza un chiaro modello di sviluppo: dieci anni di autogoverno si sono concretizzati in una serie di autostrade moderne, ma costose. Tale determinazione per investimenti pubblici ad effetto accomuna tutti i governi che si sono succeduti dall’indipendenza.

L’unica altra strategia di sviluppo messa in campo è stata la privatizzazione delle imprese pubbliche e di proprietà statale. Sfortunatamente sono stati creati ben pochi nuovi posti di lavoro nella produzione o nelle industrie: nel frattempo, però è esploso il settore della piccola e media distribuzione, dove però si vendono quasi esclusivamente merci importate.

La sproporzione fra importazioni ed esportazioni (nove a uno in favore delle prime) riassume il dato più caratteristico della società consumistica del Kosovo indipendente.

Nel corso degli anni ci sono stati miglioramenti nel contesto degli investimenti, confermati dai World Bank Doing Business Reports, ma la realtà è che solo pochi vogliono investire il proprio capitale in un paese in difficoltà segnato dal conflitto. Il Kosovo continua a non convincere di avere un ambiente politico normale, un sistema giudiziario equo e indipendente e una fornitura stabile di energia elettrica, fondamentale per qualsiasi industria.

A proposito, recentemente lo stato ha annunciato di voler investire nell’utilizzo delle sue riserve di lignite, fra le più grandi in Europa.

Alla fine del 2017, il governo ha firmato un contratto con una società con sede negli Stati Uniti per sviluppare una nuova centrale a carbone lignite da 600 MW, ma le prime forniture non saranno disponibili prima del 2023. Fino ad allora, i livelli di importazione di energia elettrica continueranno a salire, come per tutto il resto.

Stato di diritto, i problemi restano

Per quanto riguarda lo stato di diritto, il Kosovo non ha mostrato segni significativi di miglioramento durante questo decennio.

Centinaia di migliaia di casi arretrati continuano a perseguitare i tribunali. Quando l’inefficienza si combina con l’incapacità di affrontare casi sensibili come la corruzione, il pubblico smette di credere nel sistema giudiziario stesso, e lo stesso vale per i partner del Kosovo, ovvero l’Unione europea e gli Stati Uniti.

La prima continua a finanziare EULEX, la sua più grande missione all’estero, dal 2008, per trattare casi che i tribunali kosovari non riescono a gestire per una ragione o per l’altra.

L’anno del decennale dovrebbe essere segnato anche dall’apertura della nuova Corte speciale per i supposti crimini di guerra commessi dal 1998 al 2000 da parte di membri dell’Esercito per la liberazione del Kosovo (UCK) che opererà dai Paesi Bassi.

L’esordio della Corte però appare estremamente problematico: prima ancora che l’istituzione abbia fatto partire i primi processi, che con tutta probabilità coinvolgeranno politici di primo piano, il parlamento di Pristina ha effettuato vari tentativi di bloccarne l’attività. Un comportamento che ha scatenato la dura reazione di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia.

Dopo le critiche internazionali, il Kosovo sembra aver fatto però marcia indietro e potrebbe diventare l’unica entità dell’ex Jugoslavia ad avere un tribunale ad hoc per gestire in modo indipendente il proprio recente passato, impegno che può essere utilizzato per ottenere più credibilità e sostegno internazionale.

Riconoscimenti internazionali

Finora il Kosovo ha ottenuto 116 riconoscimenti a livello globale : ancora troppo poco per aspirare ad entrare nelle Nazioni Unite e nelle sue organizzazioni. Allo stesso modo, non sono stati registrati progressi nel convincere ad un atteggiamento diverso i cinque paesi UE che non riconoscono la dichiarazione di indipendenza di dieci anni fa.

Nonostante le divisioni, l’UE ha dimostrato la volontà di impegnarsi nelle relazioni con il Kosovo, firmando l’accordo di stabilizzazione e associazione nel 2016 che prevede un chiaro programma di riforme negli anni a venire.

Tuttavia, la più recente Strategia per i Balcani occidentali conferma che il Kosovo può aspirare ad intraprendere il percorso di integrazione europea solo a passi molto piccoli.

Lento è anche il processo di riconciliazione tra la maggioranza albanese e le altre comunità del paesi. La minoranza serba continua a vivere una vita parallela gestendo i propri settori educativo, medico e culturale. Il paese non è affatto vicino a colmare questa divisione, soprattutto nelle municipalità del nord, scosso nelle ultime settimane dall’omicidio del leader politico Oliver Ivanović.

Ma le divisioni possono essere notate solo da chi le vive in prima persona, così come la corruzione, la disuguaglianza o la disoccupazione. Sulla carta, il Kosovo è un paese multietnico in cui l’albanese e il serbo sono lingue garantite dalla Costituzione. La sua legislazione è tra le più moderne, ma in pratica rimane largamente inattuata.

In teoria, l’ambiente per gli investimenti esteri ha registrato progressi sorprendenti, ma non vi sono ancora investitori reali disposti a scommettere sul paese. Al loro posto, centinaia di milioni di euro in rimesse affluiscono dalla diaspora per sfamare grandi famiglie disoccupate.

Fino a quando tutto questo non migliorerà, al kosovaro medio rimangono poche speranze di cambiamento ed opportunità: per non cadere nella tentazione di fuggire lontano, non resta che gioire delle storie di giovani talenti arrivati a successi incredibili, ma individuali, nello sport, nel cinema o nella musica.