[note color=”000000″] Io arrampico. E trovo che lʼarrampicata sia una stupenda metafora di vita. Ma la vita, lʼaltra montagna, è piena di metafore. Perché ogni gesto, anche il più piccolo, è solo una parabola di qualcosa di molto, molto più universale. [/note]
di Alice Bellini
La settimana scorsa, o giù di lì, ha cominciato a fare il giro del web questo spot pubblicitario belga:
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La mia domanda è: perché si stupiscono tanto?
Procediamo per paradossi. Mi pare abbastanza ovvio.
La privacy è molto importante e siamo tutti d’accordo. D’altro canto, non facciamo che ripetercelo tutti i giorni durante le nostre chiacchierate in piazza con gli amici. O le lettere che ci spediamo per posta, scritte a penna su fogli di carta. Ne parliamo con i tamtam. I passaparola. Il gioco del telefono. I bicchieri comunicanti. Il gioco del mimo. I messaggeri e i piccioni viaggiatori. No? Non facciamo altro che ricordarci a vicenda che i principali nemici della privacy, oltre ai servizi segreti americani (e non solo), sono i social network, questi famigerati, che cerchiamo di evitare in tutti i modi, come la peste. No?
Sono anni che io e mio padre portiamo avanti un dibattito in merito a facebook. Le fazioni sono, ovviamente, “avere facebook” contro il “non averlo”. Entrambi abbiamo, al contempo, torto e ragione. Come lui giustamente sostiene, facebook è un pacco regalo pieno di informazioni personali concesso a chiunque voglia accedervi. Poco importa che il profilo possa essere chiuso e ultraprivato: non sono gli sconosciuti che lo spaventano, quanto la possibilità che un datore di lavoro o un agente governativo abbiano accesso alla nostra vita con un semplice click. D’altro canto, però, è grazie a facebook (quello di mia madre) se, durante i 4 anni che io ho passato all’estero, ha potuto avere la sensazione che io fossi più vicina e raggiungibile. Sempre grazie a facebook, viene informato di una serie di eventi, iniziative e articoli di vario genere che altrimenti sarebbero più difficili da reperire (specialmente tutti in un colpo solo) e, paradossalmente, anche lui può clickare la sua approvazione ad un video o a un pezzo scritto tramite il tasto like che ormai tutte le testate online piazzano sopra e sotto i loro articoli.
Insomma, intestardito a non voler – giustamente – dare in pasto i suoi dati a chi potrebbe un giorno ritorcerglieli contro (perché, alla fin fine, di questo si parla, per quanto catastrofico possa apparire, il rischio c’è ed è vivo tra noi), comunque non può neanche farne totalmente a meno.
Fin qui, nulla di nuovo sotto il sole. Di gente che rifiuta facebook se ne sente tutti i giorni. Quello che è incredibile è che il rifiuto è solamente per facebook. I vari Twitter, Google+, Linkdin, Tumblr e anche, a modo suo, Skype, sono altrettanto classificabili come social network, eppure non ci spaventano tanto, anzi. Troppe persone rifiutano facebook, ma poi si fanno un account Twitter e compagnia bella. E la mia non è una critica, ognuno è ovviamente libero di fare ciò che vuole e postare le sue parole dove gli pare, fornendo i suoi dati alla maniera che vuole. La mia è solo una riflessione sul paradosso di cui siamo vittime e, al contempo, fautori.
Il social network non è più qualcosa di evitabile ed è folle pensare il contrario. Come tanto spesso è già accaduto nella storia della nostra umanità, abbiamo creato cose che nessuno ormai può rifiutare. Il telefono, poi il telefono cellulare, poi lo smartphone. E internet. E l’e-mail. E così via. Rifiutare facebook, padre di tutti i social network e per questo così odiato, è l’ultimo slancio nobile, ma anacronistico a uno stato delle cose che, ormai, è immutabile. Come quelli che decidono di boicottare UNA grande marca e poi però si riempiono anima, corpo e vita di tutte le altre. O è tutto, o è niente. Obiettivamente, a cosa serve boicottare una sola azienda multinazionale? A far finta di avere una coscienza sociale? A dare una parvenza di coerenza tra quello che si pensa e quello che si fa?
Dire no a facebook, ma poi avere Twitter (o chi per lui) è la stessa cosa. È una questione d’apparenza, la sostanza è immutata. E il paradosso del social network continua a proliferare indisturbato.
Questo paradosso è stato comprovato da come sono andate le cose durante lo “scandalo” NSA. Durante tutto il polverone che si è alzato sono successe due cose fondamentali:
1) La maggior parte delle notizie in merito allo scandalo NSA sono state “postate” e “sherate” sui social network o via e-mail.
Non credo serva aggiungere altro.
2) In verità non si è alzato nessun polverone.
È inutile che facciamo gli sconvolti. Non lo siamo. Se fossimo stati davvero sconvolti, ci sarebbe stata una disiscrizione di massa dai vari social network e server e-mail, specialmente quelli di google e yahoo. Sconvolgersi, dopotutto, sarebbe da ipocriti: lo sappiamo dal momento stesso che ci segniamo ai vari social network e compagnia bella che qualcuno, da qualche parte, avrà accesso e probabilmente monitorerà i nostri dati. Ovviamente questo non legittima lo spionaggio, ma è qualcosa che fa parte dei giochi. A chi pensavamo che li stessimo mettendo in mano tutti i nostri dati? E finché si tratta di telefonate e indirizzi e-mail, ci posso pure stare. Ma quando si parla di social network, lamentarsi è un po’ da stronzi. Vuol dire che abbiamo la coda di paglia. Dopotutto, non sono loro che sono ingiusti ad accedere ai nostri dati, ma noi stupidi che quell’accesso glielo abbiamo dato.
La nostra società, ormai, è praticamente un social network umano. Parliamo, agiamo, comunichiamo e sappiamo in base anche ai social network, anche chi non li ha. Quello che stiamo vivendo è lo stesso tipo di rivoluzione che ci fu quando i telefoni divennero cellulari e le persone erano infastidite dal fatto di poter essere reperibili OVUNQUE. “Se mi serve, uso la cabina telefonica”, si illudevano all’ora, come oggi tanti dicono “se ti voglio sentire, ti mando un messaggio, o una mail”. Ma non prendiamoci in giro, lo sappiamo tutti che non è la stessa cosa e che arriverà un momento, nella storia dell’umanità, che il social network sarà inevitabile. E io non ci trovo nulla di male. Mi viene in mente una mia amica che, nel 2004, ancora non si era decisa a farsi il cellulare. “Non lo voglio, esistono i telefoni di casa e le lettere. Non voglio che la gente mi rompa le balle ovunque vado. Mi fa sentire pedinata”. E poi ogni due per tre mi chiedeva in prestito il mio per fare una telefonata, o mandare un messaggio.
Avere paura del social network significa considerarsi persone fondamentalmente stupide. Vuol dire considerarsi persone che non hanno il senso dell’equilibrio e che non sanno agire in maniera matura. Infatti, come ogni cosa sulla faccia della Terra, il problema, come direbbe Andrea di Santa Maradona, “non è leggere o meno Novella 2000. Il problema è leggere solo Novella 2000”. Il punto non è stare sui social network o non starci, il punto è come li si usa. Non sono costretta a dire/postare/twittare/spedire/condividere nulla che io non voglia dire/postare/twittare/spedire/condividere. Come non sono costretta a tenere acceso il mio telefono cellulare ventiquattro ore su ventiquattro. È sempre e soltanto una questione di scelte. Il concetto mi sembra abbastanza chiaro.
Quando conosco una persona per la prima volta, sta a me decidere quante informazioni di me dare e quante, invece, mantenere private. Non uscire di casa per paura di incontrare qualcuno che non conosco sarebbe da stupidi, no? Come anche lamentarsi che una persona che si conosce a malapena ha sfruttato indebitamente un’informazione incredibilmente privata che noi abbiamo deciso di fornirgli.
Il senso della misura è qualcosa di fondamentale, che però ci scordiamo sempre.
PS. Anche questo articolo verrà “postato” e “twittato”. Lo so io, lo sapete voi, lo sappiamo tutti. Se non avessi voluto che accadesse, l’avrei scritto su un volantino e ve lo sarei venuto a imbucare nelle vostre cassette della posta. Fisica, ovviamente, non mail.