26 settembre 2013 – È il più classico dei rapporti di forza di si possa rappresentare nel Palazzo ammuffito della brutta politica. Non sarebbe nemmeno appassionante, se non fosse giocato sul confine di istituzioni che dovrebbero avere ancora una dignità formale e sostanziale, nonostante tutto quello che abbiamo visto negli ultimi anni.
di Angelo Miotto
Il 4 ottobre c’è il voto sulla decadenza da senatore per Silvio Berlusconi, dopo la sentenza passata in giudicato che lo condanna in via definitiva per i diritti televisivi Mediaset ed evasione fiscale. Ora che lo scontro finale si avvicina si fa particolarmente greve il pressing per così dire politico e così in casa del Cavaliere han deciso di giocare le dimissioni individuali di tutti i parlamentari Pdl e la parola ‘colpo di stato’.
Forse se fossero gli anni dello sdegno portato in piazza staremmo con un orecchio attaccato alle nostre radio o sui social a capire dove concentrarci per denunciare l’infame ricatto, in un Paese che svende, come ci ha ben ricordato Niccolò Mancini prima e Nicola Sessa poi, che non investe, che non sa più cosa sia la ricerca, che si fa un baffo dell’adeguamento delle infrastrutture di Rete, che non risolve il dramma esodati, che si trova fra i piedi un tasso di disoccupazione giovanile che non dovrebbe far chiudere occhio alle persone oneste, una sfida ambientale planetaria senza precedenti, crisi internazionali, i morti sul lavoro, e una lista lunga così.
[blockquote align=”none”]Ma qui siamo all’avanspettacolo e riesce davvero difficile sentire la gravità, oltre che la grevità, della situazione – almeno per chi scrive – guardando quelle facce atteggiate a momento assai grave, che nella nostra memoria ritornano immediatamente nelle foto gaudenti di risatone e battutacce, promesse inutili, campagne elettorali da televendita, corna, bandane, gente che ride di terremoti e disastri, barzellette blasfeme, bordelli in pompa magna, suggerimenti di lavorare in nero, bagaglino vario insomma, per di più scadente.[/blockquote]
Ma queste sono le ore della faccia seria e compita, dei ditini alzati, delle parole scomposte che hanno risvegliato addirittura il Presidente della Repubblica e, pare, convinto il presidente del consiglio Letta a parlamentarizzare la crisi con una verifica di maggioranza.
Verrebbe quasi da citare Sandra e Raimondo nel ‘che noia e che barba’ se non fosse che guardandosi attorno la tabula rasa dello Stato non si veda altro che un panorama desolante. Lo Stato siamo noi, direbbe qualcuno; eppure a queste condizioni saremmo in molti a non aderire più a un principio di solidarietà e partecipazione che oggi somiglia di più a complicità e concorso di colpa.
Napolitano dice che il passaggio di ieri, sulle dimissioni, è ‘inquietante’. E che, per litote: ‘Non occorre neppure rilevare la gravità e assurdità dell’evocare un ‘colpo di Stato’ o una ‘operazione eversiva’ in atto contro il leader del Pdl”.
Lo strappo di queste ore attiene ai gesti irresponsabili, quelli della, ma, per dio!, quanta pazienza riservano le alte cariche rispetto a chi bestemmia le più classiche regole del nostro ordinamento. Quelle che noi comuni cittadini dobbiamo osservare.
Non ha senso per nessuna forza democratica governare con chi sceglie questa deriva. La questione internazionale dei mercati è una spada di Damocle che ha un costo esagerato rispetto a tutta la credibilità, ormai esigua, della politica. Tutto si svuota, niente vale più, tutto è permesso, con il doveroso senso del limite ostaggio dei mercati internazionali.
Insieme a un Paese che accetta con divertimento o sdegno rassegnato l’ennesimo giochino ad personam. Farci subire tutto questo. Ecco cosa rientra nelle Colpe di Stato.