L’arbitro

Un film racconta l’anima del calcio, tra polvere e palazzi del potere

 di Christian Elia

3 ottobre 2013 – Questo blog non è un luogo dove si pratica la critica cinematografica, quindi nulla vi verrà scritto che – anche lontanamente – ricordi un giudizio sul film di Paolo Zucca, L’arbitro, con Stefano Accorsi, Geppi Cucciari, Francesco Pannofino e tanti altri.

Questo è un blog che parla di sport, quando è lo sport che parla al cuore e non solo al risultato. Ecco, in questo senso, il film è consigliato. Perché c’è un pezzo di ognuno di noi, nel senso di tutti coloro che una volta nella vita, che non ricordano più,  hanno visto un pallone rimbalzare e ne sono rimasti stregati per sempre.

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Così la Repubblica: “L’Atletico Pabarile, la squadra più scarsa della terza categoria sarda, viene umiliata come ogni anno dal Montecrastu, la squadra guidata da Brai, arrogante fazendero abituato a vessare i peones dell’Atletico in quanto padrone delle campagne. Il ritorno in paese del giovane emigrato Matzutzi rivoluziona gli equilibri del campionato e l’Atletico Pabarile comincia a vincere una partita dopo l’altra, grazie alle prodezze del suo novello fuoriclasse. Le vicende delle due squadre si alternano con l’ascesa professionale di Cruciani, ambizioso arbitro ai massimi livelli internazionali, nonché con la sottotrama di due cugini calciatori del Montecrastu, coinvolti in una faida legata ai codici arcaici della pastorizia. Mentre Matzutzi riesce a riconquistare Miranda (Geppi Cucciari), l’amore della sua infanzia, l’arbitro europeo Cruciani si lascia coinvolgere in una vicenda di corruzione che lo porterà in un attimo dalle stelle alle stalle: viene infatti colto in flagrante ed esiliato per punizione negli inferi della terza categoria sarda”.

Fin qui la trama, come si suol dire. Per tutto il resto, pescate nell’anima. Perché la polvere di quei campi di provincia dove si consuma la tenzone tra le due compagini sarde ti pare di respirarla ancora. E’ un contesto molto mediterraneo, messicano quasi, che tutti quelli nati sotto Roma conoscono bene. I tornei, le sfide, in campi arroventati dal sole, che se eri fortunato li bagnavi prima, “così non si alza la polvere”. E ti restava dentro, quella polvere, come un sogno di riscatto, mentre ti tatuava il tuo sud attorno a scarpe e calzettoni.

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In parallelo il calcio dei grandi, degli eroi, che spesso si rivelano un bluff. Magari corrotti, venduti, ma tu lo sai, eppure tornerai allo stadio o davanti alla tv ogni maledetta domenica. Perché quando la palla rimbalza, sulla polvere o su un prato profumato, non c’è passato, non c’è futuro, c’è solo un amore cieco e incodizionato. Una fascinazione che non conosce notte, solo qualche tramonto, ma molte più albe.

Il destino dell’arbitro protagonista, rimandato nella più rovente provincia del pallone, è come il viaggio di Dante all’inferno. Viene punito, perché corrotto, ma viene in realtà salvato, riportato dove il calcio e la passione si esplicano nel più puro dei movimenti: quello del cuore. Quello della polvere, della passione, dei fine settimana rubati a famiglia e lavoro. Un viaggio che tutti, al tempo del campionato spezzatino e delle televisione a pagamento, ci meriteremmo.



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