La Borgogna respira con il vino e la campagna. Ogni autunno si ripete da secoli la festa delle vendemmie
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/08/IMG_4409.jpg[/author_image] [author_info]di Samuel Bregolin. Diplomato come perito agrario, ha seguito letteratura contemporanea a Bologna. Si occupa di agricoltura biologica, reportage, poesia, giornalismo e viaggio. Ha viaggiato in Francia, Italia, Inghilterra, Spagna, Ex-Jugoslavia, Romania, Bulgaria, Turchia, Tunisia e Marocco. Ama raccogliere e raccontare storie dal basso e dalla strada. Ha collaborato con Il Reporter, Colonnarotta, Lindro e Turisti non a Caso. Collabora con Viaggiare i Balcani, OggiViaggi, Il circolo del Manifesto di Bologna, Articolo3, Il Reportage, Qcode Mag. [/author_info] [/author]
In Borgogna l’appuntamento si ripete ogni anno. Quando i rossi grappoli d’uva maturano sulle piccole vigne che si stendono un po’ ovunque nella regione, ecco che centinaia di studenti, ragazzi, giovani e non, disoccupati, stranieri e appassionati si ritrovano qui per le vendemmie. I piccoli villaggi vitivinicoli si risvegliano dal torpore che li caratterizza quasi tutto l’anno e le serate si animano di allegria e brindisi in compagnia.
Partendo da Beaune, dove ha sede una delle scuole di viticoltura ed enologia più rinomate di Francia, e salendo verso il capoluogo di regione, Dijon, si attraversa la regione vinicola dei Grands Cru. Sono gli appezzamenti più pregiati, le uve migliori, i terreni calcarei su cui si coltivano vini che finiranno sulle tavole di intenditori e ristoranti in Francia e nel mondo. Il paesaggio della Borgogna è caratterizzato dai lunghi filati di vigne, alte poco più di un metro e con i grappoli che sfiorano il suolo. Perfettamente allineate, che si arrampicano sui dolci pendii delle colline calcaree sfiorando i boschi di querce, circondando i piccoli villaggi in pietra bianca. Cingendo le principali arterie stradali e la ferrovia.
La campagna qui è perfettamente curata e lavorata, ogni centimetro di terra è dedicato alla vigna. Nel corso dell’anno, alcune associazioni di volontari si adoperano per restaurare i muretti e le casupole in pietra anticamente utilizzati come confine delle proprietà e ricovero attrezzi: l’obiettivo è l’inserimento della Borgogna tra i patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
Mentre il paesaggio e le tecniche colturali, le vigne e i villaggi, non hanno vissuto grandi cambiamenti nel corso dell’ultimo secolo, l’economia del vino ha cambiato la concezione della viticoltura locale. Oggi i vini di Borgogna si vendono a prezzi elevati agli intenditori di tutto il mondo. Da un normale rivenditore di vini, una bottiglia di Grand Cru non si trova per meno di cinquanta euro, e con l’esportazione i prezzi aumentano. Le destinazioni più comuni per questi vini sono ristoranti e tavole di appassionati a Los Angeles, New York, Tokyo e i lussuosi ristoranti gastronomici dei più famosi chef parigini.
I villaggi che si trovano sulla via dei vini vivono quasi esclusivamente di quest’attività: attraversando uno qualsiasi di questi piccoli borghi si trovano decine di insegne di proprietà vitivinicole, cantine, spacci, produttori diretti e rivendite specializzate.
Anche l’umore degli abitanti e l’atmosfera del borgo ruota attorno alla maturazione dell’uva e alle stagioni. Nervoso e irascibile in primavera, quando i lavori da fare in campagna sono molti e occorre anticipare il meteo estivo e scegliere quali tecniche colturali effettuare, rischiando di sbagliare e gettare al vento tutta l’annata. Placido e addormentato durante l’inverno, quando le vigne riposano e la neve soffice ricopre la campagna e i tetti, e i villaggi sembrano addormentati. Silenzioso d’estate, quando tutto il possibile per accompagnare l’uva a maturazione è stato fatto, e si attende solo la vendemmia, scrutando pensierosi il cielo e tenendo sotto controllo il meteo.
Dopo un anno passato a seguire il respiro delle vigne e dell’uva, la vendemmia è il momento in cui tutto il lavoro viene capitalizzato, raccolto, spremuto, fermentato e messo a riposare. La vendemmia qui è la festa più importante. L’ultimo giorno di lavoro i camion e i trattori vengono addobbati con foglie e fiori, attraversano il centro cittadino strombazzando e clacsonando, i giovani lavoratori ridono e scherzano, preparandosi alla poële, la tipica cena di fine vendemmia, dove di solito il proprietario terriero è generoso, apre decine di bottiglie di vino e offre ai suoi invitati un pasto tradizionale.
Questi giovani lavoratori sono per la maggior parte francesi: studenti o disoccupati, ragazzi di origine araba e magrebina cresciuti in Francia. Ma arrivano qui ogni anno anche molti stranieri: inglesi, spagnoli, portoghesi, tedeschi o italiani. Che attraversano l’Europa fino in Borgogna chi per il clima festoso, chi per la crisi economica che li attanaglia.
I camion e i furgoni partono a decine ogni mattina presto, tra le vigne si scherza e si discute, si fa colazione più con vino bianco e pane e salame che con caffè e croissant. Si condividono esperienze e storie diverse, percorsi personali, aneddoti di vita, si ride, ci si lancia qualche grappolo d’uva di nascosto quando il responsabile del gruppo è distratto, e alla sera si torna a casa tutti assieme, con gli stivali e i pantaloni coperti di fango, le mani appiccicose di zucchero d’uva e qualche foglia tra i capelli.
Ci rechiamo a Marsannay-la-Côte, a pochi chilometri da Dijon, nel dominio vitivinicolo Coillot. Un’azienda agricola che viene tramandata di padre in figlio da generazioni. Sono le 17 in punto quando il bus con i vendageurs parcheggia a bordo strada vicino alle cantine. Qui i sindacati francesi tengono d’occhio anche i lavori stagionali, e sull’orario non si sgarra di un minuto. Decine di ragazzi scendono con secchio e forbici in mano, i jeans bagnati e sporchi di terra, si avviano verso la pompa dell’acqua per togliere il fango dagli stivali, poi dopo aver bevuto un bicchiere in compagnia si dirigono verso casa. Tra di loro anche due ragazzi siciliani: Vincenzo abita in Francia da qualche anno assieme alla moglie colombiana, Paolo invece è partito dalla Sicilia proprio per le vendemmie, spera di potersi pagare l’iscrizione universitaria con i soldi che guadagnerà qui.
Continuerà a lavorare ancora per ore invece la squadra della cantina. L’uva raccolta va selezionata, diraspata e messa nelle cisterne in acciaio o calcestruzzo a fermentare, e bisogna farlo prima di sera.
Christophe è il vigneron, il proprietario. Si siede a tavola con noi nella grange, la sala da pranzo rurale attigua alle cantine. Alle pareti, stemmi fioriti della Borgogna, teste di cinghiale e cervi impagliati, vecchi trofei di caccia del padre e un grande orologio a pendolo che riposa impolverato in un angolo. Christophe apre una bottiglia di vino rosso di sua produzione, appellazione “Charme aux pretes 2011”, leggiamo sull’etichetta senza saper troppo cosa significhi. Ne versa anche alla moglie Jennifer e al fratello Pascal, che lo aiutano in queste settimane di raccolta, e alla squadra di cantina che nel frattempo ha finito di lavorare e ci raggiunge a tavola.
Nell’atmosfera nostalgica e calorosa della grange, la discussione riporta subito indietro negli anni, quando Christophe e Pascal erano solo ragazzi, e il padre Bernard conduceva ancora l’azienda agricola. “Pestavamo il cappello del mosto con i piedi nudi, in equilibrio in cima alle cisterne. Ci tenevamo legati con una corda appesa al soffitto perché il cappello di vinacce è solido e occorre pestarlo con energia, a volte cede di colpo e c’è il rischio di ritrovarsi immersi con il mosto alla gola”. Pascal sorride, e continua: “Tutto questo verso le sei del mattino, poi una sciacquata ai piedi, una breve colazione e via in campagna a raccogliere l’uva”.
“Ricordo che all’epoca avevamo un vecchissimo trattore – ci racconta Christophe – era difficile da guidare, vibrava tutto e dovevo tenere il volante con forza mentre attraversavo i filari. Ogni tre metri colpivo con le ruote un paletto delle vigne, che poi bisognava ovviamente riparare. Gli ugelli per i trattamenti andavano puliti al primo mattino prima dell’utilizzo in campagna, per essere sicuri che non fossero ostruiti. L’acqua della pompa era gelida e una volta decisi di indossare la mia muta da sub per non morire congelato”.
Christophe continua il racconto, mentre Michel, uno degli operai più anziani e affezionati dell’azienda, apre una seconda bottiglia di vino: “Fu il periodo in cui ebbi grandi scontri con mio padre, era contrario a qualsiasi innovazione. All’epoca le etichette sulle bottiglie si mettevano a mano, una per una, con una perdita di tempo enorme. Allora decisi di vendere la mia moto e acquistare una macchina etichettatrice. Ebbi successo e da allora mio padre cominciò a rispettare di più il mio lavoro”. A continuare, tra le risa, è Pascal: “Per riempire le bottiglie facevamo passare il vino dalle cisterne al sottosuolo, dove con una canna le riempivamo a mano, poi una per una andavano tappate e le passavamo verso l’alto a nostro padre che da sopra le raccoglieva, a volte gliene scappava una dalle mani e ci cadeva in testa”.
“È stato quando cominciai a vendere il vino al nostro agente commerciale di Parigi”, ricorda Christophe. “A quell’epoca vendevamo il vino direttamente al consumatore, ma la certezza di riuscire a venderlo tutto non c’era. Allora quell’anno contattai un commerciale a Parigi e contrattai una vendita in stock. Mio padre era furioso, se l’affare fosse sfumato avremmo perso i vecchi clienti e ci saremmo trovati con migliaia di bottiglie invendute!”. “Controllavo la posta ogni giorno, e quando ci arrivò l’assegno tirammo un sospiro di sollievo: da allora non lavoriamo più come prima”.
“In quegli anni dormivo proprio qui, nella grange” – ci racconta Pascal – “durante la notte mi svegliavo per controllare le temperature del vino in fermentazione e di nascosto dalla cantina facevo entrare la mia ragazza. Nostro padre, fermamente conservatore, era contrario e una notte in cui lui scese per prendere una bottiglia d’acqua lei fu costretta a nascondersi sotto una coperta”, conclude ridendo al ricordo dell’evento.
L’ora dell’aperitivo è finita. Terminati pane, paté di campagna e patatine, la squadra della cantina saluta prima di andarsene, le luci vengono spente, le porte chiuse e tutti si affrettano per tornare a casa: domani mattina il lavoro ricomincia all’alba.