La rigenerazione delle aree dismesse in Lombardia
di Alessandra Puigserver, fotografie di Francesco Secchi
E’ arrivato il momento di dare uno nuovo sguardo, più consapevole e storicamente radicato, al fenomeno delle aree dismesse e ai processi di trasformazione che le hanno viste protagoniste nel corso di questi ultimi anni.
“Governare i territori della dismissione in Lombardia” (libro edito da Maggioli Editore per la collana Politecnica, risultato del lavoro di quattro autori, Andrea Arcidiacono, Antonella Bruzzese, Luca Gaeta e Laura Pogliani, con fotografie di Francesco Secchi) si prefigge questo obiettivo.
L’ideazione di nuovo metodo d’intervento territoriale per una rigenerazione consapevole passa necessariamente attraverso l’analisi storica dei diversi modi con cui ci si è relazionati al problema e dei diversi significati via via assunti dalle aree dismesse stesse.
L’approccio ai siti produttivi abbandonati, sia normativo che d’indagine, si è modificato completamente nel corso del tempo: se tra gli anni settanta e ottanta le aree dismesse venivano considerate delle “situazioni temporanee” nonostante il processo di delocalizzazione delle attività manifatturiere fosse già avviato, con i primi anni novanta, quando ormai la dismissione non poteva che essere definitiva, la fabbrica inutilizzata divenne un oggetto a sé, non più collegato al contesto, abbandonato e quindi da riscoprire in quanto denso di storia da raccontare.
E’ con la seconda metà degli anni novanta che inizia un nuovo corso: le aree dismesse vengono considerate finalmente dei luoghi da riqualificare. Ciò avviene attraverso interventi sporadici, spesso effettuati sotto l’influsso dell’entusiasmo di quegli anni per un mercato immobiliare in forte crescita, senza un quadro normativo specifico e soprattutto senza sfruttare appieno le possibili sinergie con il contesto nel quale erano inserite.
“Nell’accostarsi oggi al fenomeno del dismesso in Lombardia conviene adottare uno sguardo differente, a partire da due considerazioni che percorrono le pagine dell’interno volume. La prima considerazione è che occorre conoscere l’articolazione tipologica e funzionale del dismesso. La fabbrica è una soltanto tra le molteplici fattispecie di dismissioni del territorio lombardo […] La cessazione non riguarda sempre attività produttive, né si tratta esclusivamente di attività private. L’abbandono è l’effetto territoriale del riassetto continuo dei sistemi produttivi sotto la spinta globale che la crisi aggrava, così com’è l’effetto della ridotta capacità di investimento dei governi nazionali e regionali.
Il dismesso passa quindi dalla condizione di oggetto notevole a quella di oggetto ordinario, designando una qualità che può darsi ovunque in forme persino mimetiche.
Lo scarto dall’oggetto notevole e dallo sguardo analitico (e progettuale) ci conduce diretti alla seconda considerazione. La descrizione del dismesso deve darsi un metodo territoriale: cioè riconoscere pienamente e fondarsi sulla relazione tra il luogo abbandonato e il contesto ambientale, paesaggistico e antropico di cui è parte.” (pag 8-9)
Nel volume le aree dismesse (in Lombardia) vengono classificate in base alla tipologia funzionale e al contesto territoriale. La loro descrizione è supportata da cinque percorsi fotografici, che rappresentano le diverse categorie di appartenenza in relazione al territorio, cioè la relazione tra la collocazione fisica dell’area dismessa rispetto al tessuto adiacente. Ci sono quindi casi dove il comparto è intercluso tra la città storica e la periferia novecentesca, oppure è situato nella frangia urbana; all’opposto ci sono aree all’interno del territorio agricolo o adiacenti i corsi d’acqua; infine ci sono comparti posizionati lungo le reti infrastrutturali.
L’area Falck a Sesto San Giovanni diviene poi il caso studio esemplificativo: viene ricostruita nel dettaglio la vicenda, soprattutto in relazione al sistema territoriale milanese-monzese.
Nella parte finale, dopo una riflessione sul quadro normativo regionale, gli autori cercano di delineare una guida per proporre linee di riforma concrete per un nuovo metodo di rigenerazione urbana strettamente legato al territorio di appartenenza.
Il punto di partenza deve essere, in ogni caso, la conoscenza approfondita dei processi di trasformazione che sono in atto: non solo un’indagine descrittiva delle aree dismesse ma anche un’analisi delle problematiche urbane e territoriali più a grande scala che le vedono coinvolte. Il mettere “a sistema” il tema del dismesso con il territorio, necessita un rinnovo degli strumenti urbanistici a livello sovra- locale: in particolar modo viene posta molta importanza alla possibilità di attuare una “perequazione territoriale”, nell’ottica di gestire la principale risorsa delle aree dismesse (la volumetria) all’interno di una gestione regionale.
Per concludere “E’ necessario immaginare e promuovere forme di recupero e riuso innovative capaci in casi estremi di convivere con delle vere e proprie rovine che stanno diventando parti integranti del paesaggio e dei contesti descritti; così come è importante imparare a gestire trasformazioni dilazionate nel tempo che includono anche la temporaneità e la reversibilità come opzioni possibili, per attivare le risorse disponibili anche solo parti dei manufatti dismessi. […] La rigenerazione impone anche il rinnovamento del ruolo dei soggetti privati, degli operatori immobiliari e delle imprese edili. Sono soggetti chiamati ad una maggiore responsabilità non solo per ridurre le spinte speculative […] ma per rilanciare il settore, con l’innovazione del modello di produzione edilizio.” (pagg. 162-163)
credits: http://www.francescosecchi.it/governare-i-territori-della-dismissione-in-lombardia/