OBSOLESCENZA URBANA E ARCHITETTONICA

I siti abbandonati: questione urbana, sociale e politica

Vacant sites as European urban, social and political issues

di Mathias Rollot

Nell’ottobre del 2014, l’ultimo forum dell’EUROPAN (un concorso biennale per giovani architetti under 40 dedicato alla progettazione di nuovi sistemi urbani per siti in tutta Europa) ha rappresentato per le commissioni tecniche e scientifiche un momento di confronto sulle future politiche urbane, sulle strategie e sulle questioni riguardanti l’Europa. Considerando le singolarità di ogni luoghi, città e culture, il team di lavoro ha evidenziato, tra le altre, una questione centrale: i siti abbandonati sono ovunque e rimangono una problematica importante per le città e per il mercato immobiliare.

In October 2014, the last forum of the urban competition « EUROPAN » (a biennial competition for young architects under 40 years of age to design innovative urban schemes for different sites across Europe) was a moment for both Technical and Scientific Committees of the competition to think about upcoming urban politics, strategies and issues in Europe. Crossing over the different singularities of places, cities and cultures, one main stake (among others) has been enlighted by the working team : vacant sites are everywhere and remains a difficult issue for cities and competitors.

 

Come giudicare questi spazi vuoti, e come integrarli nello sviluppo urbano?
How to consider those vacancies, and how to integrate it into urban development?

 

In quell’occasione ho scritto con Kristiaan Borret un breve abstract per verbalizzare questo problema diffuso, con l’obiettivo di sottoporlo al dibattito in corso: “I cambiamenti nell’economia, nella governance e nella società possono dar luogo a spazi vuoti che opprimono il paesaggio urbano: interi complessi di edifici in attesa di nuovi utenti, ex zone militari, aree verdi di risulta […] questi spazi non possono essere inclusi nel normale sviluppo organico urbano, poiché sono troppo estesi e hanno bisogno di essere interamente adeguati. Dove dobbiamo cercare, quindi, gli elementi per riempire questi vuoti e in quali casi ciò può essere considerato un valore? Come è possibile dare un senso al vuoto e integrarlo in nuovi modi di pensare la città?” (BORRET, Kristiaan, ROLLOT, Mathias, «How to integrate vacant sites in urban development », in Europan 13, The Adaptable City 2, Inter-Session Forum, Pavia). Ovviamente queste nuove situazioni di “vuoti urbani” sono vissute non solo dalle città in fase di spopolamento ma anche dalle grandi metropoli, che attualmente contengono edifici abbandonati, piazze, aree o addirittura interi quartieri disabitati.

At that time, we -with Kristiaan Borret, wrote a little abstract to put this common issue into words and submit it to discussions: “Changes in economy, governance or society can give rise to overwhelming vacant spaces in the urban landscape: entire building complexes waiting for new users, former military zones, leftover green areas […] these spaces cannot be taken up in normal/organic urban development as they are far too large and in need of full adaptation. Where should we therefore search for elements to fill the emptiness up and when can we consider it as a value? How can we give sense to vacancy and integrate it in new ways of making the city?” (BORRET, Kristiaan, ROLLOT, Mathias, «How to integrate vacant sites in urban development », in Europan 13, The Adaptable City 2, Inter-Session Forum, Pavia). Obviously not only shrinking cities are experiencing this new emptiness situation, and even big metropolis now contains lot of abandoned buildings, squares, areas or even district.

 

Chi non ha mai incrociato un binario in disuso nel bel mezzo del tessuto urbano? Chi non è mai passato di fronte a una vecchia industria mentre si stava recando al lavoro? Ci siamo tutti chiesti l’origine di questi luoghi.
Who never crossed by a leftover railway in the middle of an urban fabric? Who never passed in front of an old industry to go working? We all may wonder the origin of those vacancies.

 

L’abbiamo già detto in precedenza: i cambiamenti nell’economia, nella politica o nella società possono apparire come fattori importanti, parte di una metamorfosi sociale più ampia, e possono essere visti come responsabili del disuso di tali siti. Ma cosa significa più precisamente? E poi, perché quei luoghi restano vuoti e non rientrano nel tradizionale processo di mutazione urbana? In fondo, le città sono in perenne evoluzione, e non è un fatto sorprendente vederne i cambiamenti. Perché i siti abbandonati non possono essere semplicemente rigenerati con un restauro architettonico, una politica urbana aggiornata o un progetto mirato?

We expressed it already: changes in economy, governance or society may appear as important factors, part of a larger societal metamorphose, and may be seen as responsible for those leftover sites. What does it means more precisely? And thus, why those vacancies stay empty and can’t enter the traditional process of urban mutation? After all, cities are ever-changing, and yet it is not surprising to see changes in it. Why so abandoned sites can’t be simply regenerated by an architectural restoration or an updated urban politic or design?

 

Mathias Rollot, “Ce qui clot et ce qui éclot”, Lomography Fisheye, Milano, Italy 2010

Mathias Rollot, “Ce qui clot et ce qui éclot”, Lomography Fisheye, Milano, Italy 2010

Cosa si intende per “obsolescenza”
What “Obsolescence” means

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo considerare l’adattamento di una funzione originaria alle esigenze della società. Chiariamo questa proposta. A volte le ferrovie non possono essere più utilizzate, perché in una data regione il treno non è più un mezzo di trasporto efficiente. A volte le industrie non possono essere avere una funzione produttiva, perché non risulta abbastanza redditizio mantenerle in un dato luogo. A volte le case rimangono disabitate perché non è più possibile pianificare una vita futura in un villaggio o in una particolare città. Per dirla in altre parole: a volte gli edifici vengono abbandonati perché le loro funzioni sono diventate obsolete rispetto al loro nuovo contesto. Ora possiamo capire con maggiore precisione cosa significhi “obsolescenza”. Il termine “obsolescenza” si fa riferimento, in primo luogo, a una funzione che non è cambiata al variare del contesto. In secondo luogo, in questa nuova situazione, la funzione originaria non può più essere utilizzata.

To answer this question, we need to consider the adaptation of function to their societies. Let’s clarify this proposal. Sometimes railways can’t be used anymore, because in this region, train is not an efficient way to transport anymore. Sometimes industries can’t be used anymore as industry because it is not productive enough to keep industry this precise countryside anymore. Sometimes houses remains abandoned because it is not possible anymore plan a future life in this village or town. Say in other words: sometimes architectures are abandoned because their functions are obsolete in their new context. We then may realise more precisely what obsolescence means. “Obsolescence” is, first a function that hasn’t changed while its context changed. And, second point, in this new situation, the antic function can’t be realised anymore.

 

Quindi “obsoleto” non è ciò che è stato distrutto, ma al contrario, è ciò che “si è conservato oltre la data di scadenza”.
Thus, the “obsolete” is not what has been destroyed, but at the opposite, what is “being conserved over the expiry date”.

 

Un castello medievale è ancora in piedi eppure è obsoleto, perché oggi ci appare ridicolo considerarlo ancora uno strumento di guerra in confronto agli aerei da combattimento, al rischio del terrorismo chimico e alla rete virtuale: è obsoleto perché c’è ancora mentre non dovrebbe esserci più.

A middle-age castle is still here, and is obsolete because it now looks ridiculous to still consider it as a war tool, now it is surrounded by fight planes, chemical terrorism risk and virtual network: it is obsolete because it is still here while it shouldn’t.

 

Mathias Rollot, “Ce qui est et ce qui n’est plus”, Lomography Diana, Florence, Italy 2010

Mathias Rollot, “Ce qui est et ce qui n’est plus”, Lomography Diana, Florence, Italy 2010

Obsolescenza programmata
Planned obsolescence

Noi indaghiamo il concetto di “obsolescenza” in un modo diverso rispetto a quello proposto dagli studiosi “dell’obsolescenza programmata”. Mentre, nel caso dell’obsolescenza programmata si fa riferimento all’auto-distruzione di un prodotto, al sabotaggio industriale della qualità dell’oggetto o a qualsiasi tipo di eliminazione fisica, nella nostra analisi l’obsolescenza è invece considerata un sinonimo di conservazione duratura, “oltre il limite”. Sebbene il termine obsolescenza in entrambi i casi assuma il significato di “qualcosa che ora è inutilizzabile“, nella nostra ottica questa caratteristica di inutilizzabilità è la conseguenza di una variazione del contesto, e non il risultato di un’auto-distruzione derivata dalla cattiva qualità costruttiva.

A cosa serve questa precisazione?

By this entry, we can understand the notion of “obsolescence” in a different way than the one proposed by “planned obsolescence” critics. Where planned obsolescence means auto-destruction of the product, industrial sabotage of the quality of an object, or whatever kind of destruction, we’re considering “obsolescence” as a very strong conservation, “over the limit”. And finally although obsolescence is in both cases “something that is now unusable”, we see this unusable character as consequence from a change in context, and not as a result of auto-destruction of bad quality.

What stakes lie in this term precision?

 

È chiaro che considerare l’obsolescenza come iperconservazione e inadattabilità causata da mutamenti del contesto ci aiuta a comprendere meglio i cambiamenti che incidono sull’intera situazione urbana europea, soprattutto se consideriamo che i nuovi ritmi accelerati imposti dalla nostra “modernità liquida” (Zygmunt Bauman) richiedono dei tempi di metamorfosi differenti rispetto al passato: le nostre regole, abitudini e convinzioni rubane devono potersi adattare il più rapidamente possibile ai cambiamenti dei nuovi sistemi.
It is clear that considering obsolescence as hyperconservation and inadaptability due to changes in the context helps us to understand better the changes that affect the whole Europe urban situation. Especially by aiming at the fact that the new accelerated rhythms imposed by our liquid-modernity (Zygmunt Bauman) requires new rhythms of metamorphosis; our urban systems, urban habits and urban beliefs need to be as quickly adaptable than this new systems changes.

 

Questo ci permette di sottolineare che sono ora in corso alcune importanti modifiche strutturali, e che queste mutazioni della società sono troppo grandi, troppo complesse e eccessivamente fuori scala per essere risolte dalla città stessa. In altre parole: che cosa possono fare l’architettura, la scienza del paesaggio e l’urbanistica per far fronte alla grande crisi ecologica o per risolvere la recessione economica? A volte sembra che l’architettura e l’urbanistica, così come le abbiamo sempre considerate, possano solo seguire o in alcuni casi accompagnare cambiamenti, decisioni, metamorfosi più grandi in corso. Ma possiamo ancora credere che un intervento architettonico sia in grado di riportare l’industria nella campagna europea? Possiamo ancora credere che l’intervento di un urbanista riesca a riportare abitanti nelle città in fase di spopolamento? L’obsolescenza strutturale della società si presenta come un fenomeno troppo potente per gli urbanisti…

It allows us also to enlighten the fact that a few important structural changes are now engaged, and that these concerned societies’ mutations are too large, too complex and too much out-of-scale to be resolved by the city itself. In other words: what can architecture and urbanism do in front of the big ecological crisis, or to resolve the economical crisis? It sometimes looks like architecture, landscape and urbanism as we’ve ever considered it can only follow or sometimes maybe go with bigger changes, decisions, metamorphosis. But could we still believe an architectural intervention could bring industry back in our European countryside? Could we still believe an urban planner could bring back inhabitants into shrinking cities? Society’s structural obsolescence looks like a too strong phenomenon for city planners…

Le opportunità e il paradosso dell’obsolescenza
Obsolescence’s opportunities and paradox

Eppure resta ancora una possibilità. Così com’è diventato assurdo e inutile, un’immagine veramente impossibile, l’obsoleto ha bisogno di reinvenzione, di creazione, o anche di un dirottamento. L’upcycling (riuso) è ovviamente un buon esempio di come materiali obsoleti, di scarto o inutilizzati possano essere trasformati in nuovi oggetti alla moda, in strumenti molto pratici o in gadget eccellenti: in ogni caso, è un buon esempio di come l’obsolescenza rappresenti un’opportunità da sfruttare. Le città europee lo hanno capito perfettamente iscrivendosi al concorso EUROPAN per risolvere i loro problemi relativi ai luoghi abbandonati, esattamente come gli abusivi comprendono le grandi potenzialità di un edificio abbandonato.

But yet, in it still remains also an opportunity. As it became absurd and useless, a truly impossible figure, the obsolete needs reinvention, creation, or even hijacking. Upcycling is obviously one good example of how obsolete, waste, or unused materials can be transformed into new trendy object, a very practical tool or a beautiful gadget: in any case, a good example of how obsolescence is also an opportunity to take. Europeans cities perfectly understood it by entering EUROPAN competition to solve their vacant sites issues, as much as squatters also understood the full potentiality of an abandoned building.

 

Nonostante sia un paradosso che non possiamo evitare e verso il quale è opportuno essere cauti, può essere corretto considerare l’opportunità di mantenere un oggetto o un edificio obsoleto così com’è. Ancor più che una traccia del passato, l’obsoleto in quanto forma dell’assurdo ci fornisce un’analisi molto dettagliata della nostra situazione: con la sua diversità, estraneità e inutilità ci fa capire come siamo, mostrandoci il contrario.
It is a paradox we can’t avoid and should be cautious about – it may be good considering the opportunity of keeping the obsolete object or building as it is. Even more than a trace of the past, the obsolete as figure of the absurd gives us a very rich look on our own situation: by being so different, so external, so useless, it makes us understand how we are by illustrating the opposite.

 

Pertanto, un obiettivo da perseguire è considerare questa ricchezza come un patrimonio comune e culturale: può essere utile non trasformare ogni sito in disuso in qualcos’altro!

Thus considering this richness as a common and cultural heritage is also great stake to hold: it may be good not transforming every vacant sites into something else!

Tra le tracce del passato e la necessità di rigenerare, cosa si deve mantenere e cosa si deve trasformare, distruggere o ricostruire? Questa è una domanda che per tutta la vita Günther Anders (1902-1992) ha posto a se stesso e alla società attraverso i suoi scritti e le immagini dei luoghi che ha visitato durante i suoi viaggi. Camminando attraverso Auschwitz, Hiroshima o la “Breslau” della sua infanzia (distrutta dalla guerra e ricostruita con il nome di “Wroclaw” in Polonia), Anders si è domandato se la peggior distruzione non fosse altro che la distruzione della distruzione, e cioè la ricostruzione.

Between traces of the past and need to regenerate, which ruins to keep, and which one to transform, destroy or rebuild? This demand was one question Günther Anders (1902-1992) asked all his life, to itself and to the society though his writings and the places he met during his travels. Walking over Auschwitz, Hiroshima, or its childhood “Breslau” (destroyed by the war and rebuilt into the actual “Wroclaw” in Poland), Anders wondered if the worst destruction was not the destruction of the destruction – meaning: reconstruction itself.

 

Mathias Rollot, “Ce qui en reste et le reste”, Athens, Greece, 2014

Mathias Rollot, “Ce qui en reste et le reste”, Athens, Greece, 2014

Quando tutto va male, pensa all’obsolescenza!
When everything goes wrong, think about obsolescence!

A ogni modo, ogni volta che qualche situazione ha la tendenza a trasformarsi in qualcosa di peggiore, è opportuno riflettere sull’obsolescenza. Nel nostro modo di pensare la città, di progettarne le strade, gli edifici e persino chi ci abiterà, non ci sono forse dei meccanismi fortemente inadatti? Non c’è una sorta di obsolescenza celata nel nostro modo di considerare i sistemi urbani, i suoi flussi, le sue narrazioni condivise e ancora le difficili coesistenze? L’obsolescenza è lo specchio indispensabile per il fattore adattabilità, anche se comunque è molto strano che stiamo leggendo e parlando di uno e non dell’altro. Ci dovremmo adattare o la nostra inadeguatezza ci porterà a una resistenza contro i cambiamenti? Questa è l’unica domanda, intrinsecamente politica e impossibile da evitare, che dobbiamo porci. Tenere in considerazione questa richiesta nelle nostre professioni di filosofi della città e di pianificatori è una missione ormai comune a tutti.

Anyway, whenever some situation would turn badly, think about obsolescence! In fact : isn’t it, in our ways of thinking the city, designing its streets and buildings, and even inhabits it, some strongly unadapted mechanisms? Isn’t some hidden obsoleteness in our way of considering urban systems, its fluxes, its shared narrations and still difficult coexistences? Obsolescence is the must-have mirror of the adaptability factor – even if it is very strange we still read and talk about one and not the other. Should we adapt or should our inadaptation lead us to a resistance against the changes? : this is the one, very political but impossible-to-avoid question. Considering this demand in our own city-thinkers-and-planners professions is a nowadays common stake.

 

Devo dimenticare ciò che ho imparato ieri per adattarmi alle esigenze di oggi, oppure posso conservare parte di questo passato come una qualità che ha bisogno di essere difesa? Le decisioni in merito al patrimonio culturale non sono parte solo del nostro lavoro, ma anche della nostra vita.
Shall I forget what I learned yesterday to fit to today’s exigencies, or may I keep this yesterday’s part of me as a quality that needs to be defended? Heritage’s decisions aren’t just part of our job, it’s also part of our life.

 

Facciamo un esempio: pochi decenni fa, gli architetti si sono confrontati con l’avvento del personal computer, ed è un dato di fatto che il 99% di essi abbia scelto di accantonare le vecchie competenze (disegnare a mano, copiare documenti originali, piegarli, modellare con materiali “veri”…) per adattarsi al nuovo sistema. Questa è stata una scelta; una scelta molto forte, tanto personale quanto politica. Gli architetti hanno preso una posizione di fronte alla necessità di adattarsi o resistere ai cambiamenti. Noi, ovviamente, abbiamo ancora qualche corso nella scuola di architettura per imparare come veniva fatto un tempo questo mestiere: lavorando, disegnando, modellando. Eppure è chiaro che questa parte del lavoro è ormai il passato.

Let’s have an example: a few decades ago, architects were confronted to the computer must-to-have system, and it is a fact that 99% of the architects have chosen to throw away their old know-how competencies (drawing by hand, copying original papers, folding it, modelling with “real” materials…) to adapt to this new system. And that was a choice; a very strong, personal as much as political, choice. They took position, facing the need to adapt or resist to changes. We, of course, still have a few lessons in our architecture’s school to learn how did they, before, worked, drawn, modeled. But yet it is clear that this part of the job is now past.

A che tipo di nuovo sistema dovremo ora adattarci? Oggi qual è il nostro nuovo indispensabile terreno comune, e quale patrimonio tenta di cancellare, facendolo diventare un’antichità obsoleta? E infine, questi nuovi “bisogni di adattamento” sono visibili o invisibili? Consapevoli o inconsapevoli? Ci adatteremo, o la nostra inadeguatezza ci condurrà a una resistenza contro questi cambiamenti?

Which new system should we now adapt too? What is our nowadays must-to-have new common ground, and which heritage does it try to cancel, does it transform into obsolete antiquity? And, finally, are those new “adaptation needs” visible, or invisible? Conscious, or unconscious? Should we adapt, or should our inadaptation lead us to a resistance against those changes?

Rispettare l’obsolescenza significa assumere una posizione personale e politica. Un’osservazione di grande attualità: in questo momento nulla è mai stato così politico come le nostre città.

To consider obsolescence is to engage a personal and political posture. A very timely notice at that time anything has ever been so political than our cities.

 

Mathias Rollot, “Ce qui adapte et ce qui s’adapte”, Tel Aviv, Israel and Dead Sea, Palestine State, 2011

Mathias Rollot, “Ce qui adapte et ce qui s’adapte”, Tel Aviv, Israel and Dead Sea, Palestine State, 2011

 

NOTA: questo articolo è una sintesi parziale del lavoro di ricerca e scrittura affrontato per il saggio francese “L’obsolescence. Ouvrir l’impossible”, che verrà pubblicato Ottobre 2015 dai tipi di Metispresses. Le immagini sono protette da copyright dell’autore e sono parte della futura pubblicazione.

NOTE: this article is a partial synthesis of the research and writing work realized for the french essay L’obsolescence. Ouvrir l’impossible, about to be published by Metispresses in October 2015. All pictures are under copyright of the author and are also part of the upcoming publication.

 

MATHIAS ROLLOT Architetto, Membro del Comitato Tecnico dell’EUROPAN, Mathias Rollot insegna presso l’Ecole d’Architecture de Paris-LaVillette. Attualmente Dottorando in Architettura a Parigi, ha scritto come saggista alcuni libri sulla filosofia e la città – tra cui Saint-Dizier 2020. Projet de ville (Chatelet-Voltaire, 2014), e l’imminente L’obsolescenza. Ouvrir l’impossibile (Metispresses, 2015).

MATHIAS ROLLOT Architect, Member of EUROPAN’s Technical Committee, Mathias Rollot is teaching in the School of Architecture of Paris-la-Villette. Currently Ph.D. student in Architecture in Paris, wrote as essayist a few political and critical books about philosophy and the city in French – see for instance Saint-Dizier 2020. Projet de ville (Chatelet-Voltaire, 2014), and the upcoming L’obsolescence. Ouvrir l’impossible (Metispresses, 2015).

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