di Federico Cassani e Carlotta Bonvicini – MIC | Mobility in Chain
Parlare di “mobilità sostenibile” oggi può sembrare molto facile, quasi banale. Il concetto di “sostenibilità” sembra lentamente essere arrivato a costituire la base di ogni forma di pianificazione e sviluppo un po’ in tutte le discipline. Nella realtà dei fatti il rischio di praticare green washing anziché esercitarsi in buone pratiche concrete è molto alto, forse perché si tende a focalizzare l’attenzione su dettagli fin troppo specifici di problematiche dalla portata molto vasta.
Prendiamo il problema delle emissioni delle automobili a livello globale: sicuramente analizzare il fenomeno dal punto di vista dell’inquinamento ci aiuta a inquadrarlo da un oggettivo punto di vista comune all’umanità intera. Non appena il livello di allerta su inquinamento (e costo della benzina) aumenta, le case automobilistiche sfoderano nuovi modelli di automobili ibride ed elettriche che aiutano a tranquillizzare le coscienze di decine di migliaia di consumatori. Ma il problema sono davvero solo le emissioni? Una città in cui le auto fossero tutte elettriche sarebbe davvero più sostenibile? La coda in tangenziale il lunedì mattina sarebbe forse più a misura d’uomo?
L’idea stessa di mobilità sostenibile porta con sé una serie di tematiche collaterali imprescindibili che a un primo sguardo poco attento potrebbero apparire non strettamente legate all’ambiente, ma che creano invece i presupposti necessari allo sviluppo e al mantenimento di spazi vivibili, accoglienti e sani, scongiurando scenari nocivi per l’uomo e per l’ambiente.
E’ con questa mentalità che abbiamo affrontato la sfida Messicana di sviluppare un “Sustainable Mobility Masterplan”-“Masterplan della Mobilità Sostenibile” per due aree differenti della città di Monterrey, nel Nuevo Leon.
Arrivare da Europei in un paese con una storia dello sviluppo industriale molto più recente, che vede ancora fasi di crescita mentre l’Europa affronta la decrescita e con lei tutte le conseguenze che ne derivano, ci ha indubbiamente aiutato a guardare oltre il presente stato delle cose.
Monterrey è una città di oltre 4 milioni di abitanti nella sua intera superficie metropolitana, che ha vissuto una crescita vertiginosa a partire dagli anni ’90, caratterizzata da uno sviluppo prettamente suburbano a bassa densità, in un contesto di edificazione a macchia d’olio ai piedi del Cerro de La Silla, il caratteristico monte visibile da ogni angolo della città.
L’espansione urbana senza limiti di quegli anni è stata accompagnata da una forte infrastrutturazione del contesto, alla luce delle teorie genitrici dello sprawl americano (tutt’ora difficilmente sconsacrabili) secondo cui all’aumento di traffico si può porre rimedio solamente aumentando la capacità delle strade.
Il risultato sono tunnel, viadotti e autostrade a dieci corsie che attraversano e costellano la città soffocando il centro storico, il fiume e ogni tipo di contesto paesaggistico, in favore di un’accessibilità apparentemente immediata ai distretti periferici, scenario dei forti cambiamenti socio-economici della città.
Il primo incarico affidato a MIC riguardava il distretto Valle del Campestre, cuore economico e zona più ricca di Monterrey. Un’area dallo sviluppo recente, una volta zona rurale appartenente a poche famiglie abbienti, oggi caratterizzata da un contesto residenziale e dirigenziale di alto livello, in cui un recente sviluppo immobiliare ha messo in piedi migliaia di metri quadrati di nuovi uffici e funzioni miste in un unico lotto al centro del distretto, accanto a uno dei club di golf più esclusivi del Nuevo Leon, il Club Campestre.
Il secondo incarico invece ci ha portato a confrontarci con il distretto del Tecnologico di Monterrey, una delle università più prestigiose del Messico, caratterizzato dalla presenza dell’esclusivissimo Campus della stessa Università, un paradiso in terra dagli accessi altamente controllati, calato però in un contesto dalla qualità urbana decisamente bassa ben poco pedestrian friendly.
In entrambi i casi la scommessa era andare a intervenire sull’ambiente circostante le funzioni principali, per andare a ricostruire il tessuto urbano in cui esse sono immerse, ricucire le connessioni pedonali e ciclabili, migliorarne l’accessibilità mediante trasporto pubblico e, obiettivo non secondario, avviare un processo di sensibilizzazione della comunità coinvolta nel progetto, dai residenti ai lavoratori nel primo caso, dagli studenti al corpo docenti nel secondo.
Nonostante le premesse sulle notevoli differenze che si possono individuare fra una città centro Americana di quattro milioni di abitanti e un contesto Europeo, l’esperienza si è rivelata sorprendente soprattutto da un punto di vista sociale, e le problematiche riscontrate non così diverse da quelle che potremmo incontrare in una qualsiasi città italiana sviluppatasi industrialmente fra gli anni settanta e novanta.
Al centro di un progetto di questo tipo infatti potrebbero esserci molte tematiche, dalla qualità degli spazi pubblici urbani alla sicurezza, dal traffico alla sosta… ma il vero fulcro di ogni nostro ragionamento è stato l’approccio del singolo verso il proprio modo di spostarsi in città, nonché la dipendenza dall’automobile privata. Il progetto di Valle del Campestre in particolare, ha visto come soggetto protagonista una fascia di popolazione abbastanza elitaria (ricordiamo che il divario fra le diverse fasce sociali in Messico è tutt’ora notevole) come, oltre alle scuole e i lavoratori degli uffici del distretto, i proprietari terrieri e gli investitori facoltosi residenti nella zona, stessi clienti del progetto
In questo caso abbiamo iniziato con un piccolo sondaggio che ci permettesse di capire il contesto di utenza reale con cui dovevamo interagire, ed è stato subito chiaro che ci confrontavamo con un sistema di mobilità totalmente basato sull’automobile. Immaginiamo quindi una realtà in cui la crescita economica è un dato di fatto, una nuova parte di città è già stata costruita e il 90% della popolazione attiva su quel distretto si sposta in auto, talvolta con l’autista, per spostamenti anche minimi, da casa al ristorante distante poche centinaia di metri. Immaginiamo strade a quattro, sei corsie senza marciapiedi e attraversamenti pedonali discontinui alle intersezioni, fermate dell’autobus informali in cui vediamo attendere solo utenti che certamente non sono residenti in quella zona.
Immaginiamo allora che un giorno questi residenti, questi investitori si rendano conto di avere un problema di congestione di traffico e decidano di chiamare un gruppo di esperti che gli risolva le code all’ora di punta la mattina quando devono andare in ufficio.
Quando abbiamo iniziato a lavorare sul progetto tutti si aspettavano che costruissimo nuove infrastrutture, aggiungessimo corsie e creassimo nuovi sottopassi che ospitassero il numero crescente di veicoli in circolazione; dopo due mesi di lavoro invece noi disegnavamo nuovi marciapiedi e immaginavamo una piccola Boston al posto dell’attuale “mostro” infrastrutturale al centro del distretto (abbiamo infatti ipotizzato di poter pensare a una soluzione come The Big Dig di Boston (http://www.massdot.state.ma.us/highway/thebigdig.aspx), in cui la principale autostrada cittadina di Boston è stata riconvertita in un tunnel lungo 5,6 km, lasciando l’intera superficie a parco e piste ciclopedonali).
Il processo di coinvolgimento è stato graduale (in tutto è durato quasi un anno) ma incredibilmente emozionante. Parlare di spazi pubblici e di bene comune ci ha fatto confrontare con problemi di sicurezza e ordine pubblico che forse inizialmente avevamo sottovalutato. Abbiamo quindi cercato di capire il punto di vista di chi vive gli spazi ogni giorno e li abbiamo accompagnati verso una visione differente, fornendogli spunti e suggestioni, ascoltando le loro richieste ma anche stimolandoli a concepire un cambiamento nelle loro abitudini.
Abbiamo provato a immaginare con loro nuovi percorsi di quartiere attorno a quello che al momento è un torrente dimenticato sul retro delle case, nella zona residenziale di Valle del Campestre al centro dei nuovi sviluppi, trasformandolo in un vero e proprio parco. Abbiamo ridisegnato le principali vie di accesso al comparto e i collegamenti ciclopedonali attorno al Club del Golf, e immaginato una Tramvia di ultima generazione che passasse proprio accanto alle nuove funzioni connettendole così al centro storico.
Grazie a tutte queste piccole visioni lentamente il cambiamento suggerito è diventato un loro stesso desiderio e bisogno, ed è stato molto interessante vedere come gli stessi residenti che in principio osteggiavano il nostro approccio, abbiano cambiato prospettiva.
“Mio figlio è entusiasta, ha preso l’autobus per andare a scuola per la prima volta nella sua vita, ha fatto persino un video con il cellulare e l’ha messo su facebook” è stato uno dei commenti di uno degli investitori. “Stavo pensando di comprare una bici elettrica per me e mia moglie per provare a lasciare a casa la macchina di tanto in tanto”.
Non tutte le nostre proposte sono state effettivamente portate avanti e tutt’ora si stanno mettendo assieme i mezzi per capire cosa sia davvero realizzabile, ma indubbiamente si è trattato di accendere la scintilla giusta che permettesse, a catena, di dare luce a tanti piccoli fuochi di consapevolezza. Attualmente la società che ci aveva ingaggiato sta collaborando con i negozianti e la associazione dei ciclisti di quartiere per trovare i finanziamenti per realizzare la rete ciclabile di distretto. Andare in bicicletta è diventato improvvisamente cool e tanti giovani lo vedono come il modo migliore per vivere la città e sentirsi finalmente parte di un contesto urbano strutturato.
Alcuni mesi dopo il nostro primo intervento sono stati i residenti e gli investitori stessi a chiederci di combattere e infine vincere assieme a loro una battaglia per scongiurare l’ennesimo sottopasso che era stato pianificato accanto al Golf Club. Sarebbe costato allo Stato milioni di dollari e avrebbe segregato ulteriormente le attività che circondano l’incrocio, impedendo attraversamenti pedonali e mettendo in pericolo gli stessi accessi alle scuole. Una piccola vittoria che ci ha dimostrato quanto fossimo effettivamente riusciti a sensibilizzare i nostri clienti, se non l’opinione pubblica locale, su temi che fino a pochi mesi prima non sarebbero mai stati presi in considerazione.
Un processo simile è avvenuto per il Tecnologico di Monterrey, dove il nostro cliente era l’Università stessa ed eravamo chiamati a ipotizzare soluzioni per tutta la maglia urbana circostante il Campus. Uno dei nostri primi obiettivi è stato sì creare un circuito ciclopedonale nel distretto, ma soprattutto lavorare sulla ripartizione modale degli spostamenti casa-università degli utenti del Campus che attualmente vede più dell’80% dei residenti fuori distretto spostarsi esclusivamente in automobile.
Anche in questo caso lo studio è stato assimilato ma siamo ancora in attesa di vedere se produrrà alcun frutto.
Lavorare su questi temi non è semplice e spesso sembra che la cosa più facile sarebbe rifare tutto da capo, cancellare l’esistente e disegnare città nuove.
Ma la sfida è anche questa, fare i conti con lo stato attuale delle cose, le lobby, le abitudini e la pigrizia degli abitanti. Tornare indietro, tornare a prima dell’invenzione dell’Asfalto, ricalibrare le priorità e gli incentivi, dimenticarsi dell’esistenza dell’automobile e ridimensionarne l’uso e la dipendenza è davvero uno dei compiti più difficili da portare avanti nel mondo contemporaneo. Eppure siamo giunti alla conclusione che sia l’unico approccio possibile alla mobilità, oggi, se vogliamo creare città sostenibili e renderle nuovamente vivibili e a misura d’uomo.
MIC | Mobility in Chain è una società fondata nel 2009 a Milano da Davide Boazzi, Federico Cassani e Federico Parolotto, creata con l’ambizione di migliorare la qualità delle città in cui viviamo grazie ad una profonda comprensione del fenomeno della mobilità, intesa come elemento chiave per la qualità degli spazi urbani. Collaborando con Enti Pubblici e Privati, MIC propone una visione innovativa della mobilità basata sulla comprensione delle necessità degli utenti, sull’analisi degli aspetti funzionali e qualitativi delle città, e fornisce consulenza su tutti gli aspetti relativi ai trasporti, dagli studi di traffico alla progettazione stradale. Attualmente MIC ha due sedi, una a Milano e una a Mosca, e ha progetti attivi un po’ in tutto il mondo.