Marsiglia Città Multietnica e Multiculturale – 1

Testo di Bruno Giorgini, Foto di Ellis Boscarol – tratto da Radio Popolare – prima parte

Lo tsunami delle migrazioni, nel contesto di una crisi economica che perdura e di diseguaglianze che s’aggravano, mentre spirano venti di guerra con terrorismo un po’ dappertutto, mette l’Europa di fronte a una biforcazione drammatica.

Da una parte scegliere la via di Schengen e della cooperazione cercando di costruire un territorio dove nessuno è straniero, dall’altra il ritorno alle frontiere e agli stati nazionali, l’un contro l’altro armati. Su questo versante si attrezzano i nazionalisti, spesso anche razzisti e similfascisti, nonché gli stati di polizia, (anche la polizia del pensiero come già è in Ungheria e Polonia), stato di polizia che in Francia vorrebbe il primo ministro socialista Valls, in modo permanente ben oltre lo stato d’emergenza provvisorio oggi in vigore. Inoltre la via dei nazionalismi autoritari apre ampi spazi al rischio di guerra, inter europea intendo,  come insegna la vicenda delle guerre balcaniche scoppiate quando la Jugoslavia implose (o esplose, scegliete voi).

Guerre ferocissime, le cui nervature corsero tra pulizia etnica e etnici stupri, stragi collettive – Srebrenica non è così lontana – per migliaia di civili, e tutti gli altri crimini contro l’umanità che furono compiuti. Se questa soluzione che può precipitare nel nero fascismo non ci piace, se vogliamo contrastarla, dobbiamo sapere che non bastano le giaculatorie, né la propaganda “antifascista” e a favore della democrazia.

Si tratta invece di imboccare la via di Schengen con la totale libertà di circolazione all’interno dei confini europei, e una larga accoglienza dei migranti garantita alle frontiere esterne.

Ma scegliere la strada di Schengen significa avere idee e progetti politico sociali in grado di proporre e costruire una autentica società della convivenza civile tra popoli diversi, ma  uniti in quanto cittadini che fanno riferimento allo stesso corpus di libertà nonché diritti individuali e collettivi, il che rimanda alla necessità inderogabile di scrivere una comune Costituzione europea, un patto costituente una comune cittadinanza europea, nel mentre pensando e costruendo una società multietnica e multiculturale, che sarà impresa ardua.

Oggi nel 2016, tra gli attentati  jihadisti di Parigi e le violenze sessiste contro le donne di Colonia, tra un Front National trionfante in Francia e Pegida scatenata contro i profughi in Germania, tra un filo spinato in Ungheria e una legge liberticida in Polonia, tra muri che ormai si alzano a ogni piè sospinto e frontiere sempre più chiuse, proprio non paiono tempi per una società multietnica e multiculturale. Al massimo si può invocare la tolleranza e l’umana pietà per i sofferenti in fuga dalla guerra e i bambini annegati a decine se non centinaia, che però se non fossero mussulmani e/o arabi, turchi, kurdi , pakistani, afghani, libici, nigeriani e quant’altro, sarebbe meglio.

Eppure esiste una grande città europea, Marsiglia, la più araba  (un po’ più di una persona su tre) d’Europa, la più povera di Francia, dove si può affermare che la convivenza civile tra diversi, l’arte e la pratica del vivre ensemble al di là dell’etnia e della religione, sono in campo. Il che non vuol dire: acquisite una volta per tutte, ma piuttosto,  per molti cittadini, come qualità costituenti la cittadinanza, l’essere marsigliesi.  Per questo adesso raccontiamo qualcosa della città foceana, cominciando dall’incontro tra bikini e chador su una delle sue spiagge.

 

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Questa foto è stata scattata da Ellis Boscarol, che mi accompagnava, su una delle 21 spiagge marsigliesi nell’estate del 2012, quando dall’ autunno 2011, e per tutto il 2012, a Marsiglia ho vissuto e lavorato. L’immagine racconta di alcune amiche che giocano insieme nell’acqua con un bambino. Il loro abbigliamento è fortemente differente, dal bikini che lascia scoperto quasi tutto il corpo all’abaya saudi, o forse un chador oppure un khimar, non sono un esperto, che invece lo ricopre interamente, lasciando scoperto solo il volto.

Il loro spirito è fraterno, o di sorellanza se preferite, e giocoso. In una comune civiltà delle differenze, proprio quella che molti vorrebbero cancellare.

Nello stesso periodo a Belsunce, il quartiere arabo per eccellenza che sta ai bordi del Vieux Port nel cuore di Marsiglia, alcune associazioni di cittadini/e, tra cui l’associazione dei commercianti arabi, inaugurava Place Louise Michel, una donna eroina della Comune di Parigi, così cambiando la mappa della città con una piazza comunarda e femminista nel quartiere più arabo tra gli arabi, col plauso e la collaborazione attiva degli abitanti. Un atto politico in senso proprio, cioè attinente la polis, un sistema di differenze come scrive Aristotele, assai significativo  e completamente autogestito.

A Belsunce la rete associativa che tesse il quartiere è costituita sia da uno strato di uomini d’esperienza, gli anziani, molto spesso con alle spalle una militanza nel FLN algerino, che di giovani sostanzialmente di cultura laica, seppure tutti partecipino al Ramadan. Belsunce è anche una delle capitali mondiali per il commercio dell’oro. Questo e altri commerci sono gestiti in larga misura da giovani, che si possono incontrare in uno scantinato mentre parlano da telefoni satellitari in varie lingue, cinese compreso, oppure seguono colonne di numeri sugli schermi di alcuni computer. Non hanno il look manageriale d’ordinanza, anzi per strada non li distingueresti da un qualunque immigrato e/o profugo, eppure attivano transazioni per milioni di euro, mentre la targa che dedica una piazza a Louise Michel li accoglie quando escono dall’ufficio/scantinato. Proprio così, è all’inaugurazione che li ho conosciuti facendomi poi invitare per vedere dove e come lavoravano.

 

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D’altra parte la “Marche pour l’égalité et contre le racisme”, indicata generalmente come marcia dei Beurs, i giovani figli degli immigrati in genere maghrebini, nati in Francia e con la cittadinanza della Republique, partì proprio da Marsiglia il 15 ottobre 1983, per la precisione dalla citè de la Cayolle, allora  e oggi tra le più “malfamate”, dove un tredicenne un po’ troppo bruno era stato fucilato dalla polizia. Partirono in diciassette (17) diventando trentadue (32) che decisero fosse il numero massimo, ma se i marciatori erano pochi, passo dopo passo, città dopo città, il numero di persone che li accoglieva aumentò arrivando il 3 dicembre a Parigi dove manifestarono in oltre centomila.

Dopo, nel 2005, avvennero le insurrezioni, specie nelle città e villaggi dell’hinterland parigino, la banlieue diventata sinonimo di tutti mali e di tutte le rivolte, mentre i giovani beurs marsigliesi rimasero marginali, qualche sasso tirato più per dovere che per passione.

Tra la marcia pacifica dell’ 83 e le barricate del 2005 c’è intero l’abisso della mancanza di ogni politica che almeno tentasse di dare piena e reale cittadinanza a quei milioni di giovani beurs, diventati francesi per carta d’identità, ma rimasti reietti e esclusi, anzi sempre più reclusi in veri e propri ghetti  materiali culturali e territoriali, le citè incistate nelle banlieue, quegli aggregati di casermoni in genere a perimetro chiuso che sembrano usciti dalle pagine di “Sorvegliare e punire”, famoso testo di Foucault sulle galere.

Però le citè marsigliesi, centocinquanta (150), non stanno fuori città, bensì sono dentro la città e non solo nei quartieri Nord, i più poveri e proletari, ma anche nel III arrondissement come la citè de Bellevue o come la Cayolle, una delle più dure già regno del padrino Tany Zampa, nel nono (IX), la zona dei calanchi a picco sul mare, con un paesaggio meraviglioso. Un mio amico, artist marcheur, artista marciatore, beur  da parte di padre arabo e tedesco da parte di madre, afferma che dai quartieri Nord, i più degradati, si vede il più meraviglioso paesaggio marino,  che poi non è un mare ma un ponte d’acqua verso il Maghreb, una speranza concreta di fraternità tra i popoli del Mediterraneo sulla sponda Sud e quella Nord, questa è la nostra nazione, questa è la nostra terra comune: il mare, dice convinto.

Seppure tu abiti in una citè, sei comunque un marsigliese, come gridano allo stadio tutti i tifosi in coro prima dell’inizio della partita quando gioca l’Olympic: né arabi né francesi, siamo tutti marsigliesi, o, a volte, né beurs né francesi ecc.. e non a caso tutti amano definire Marsiglia “la città foceana” e se stessi “foceani”, ricordandone le lontane origini dovute allo sbarco di un gruppo di esiliati greci provenienti dalla Focea, oggi Foça (che sta 60 km a nord-ovest di Smirne, in Turchia). I francesi de souche, di ceppo, sottinteso: gallico, a Marsiglia non ci sono, qualcuno dice: non ci furono mai. Così nel corso dei tempi la città più araba d’Europa e più povera di Francia si è costituita in comunità multietnica e multiculturale, certo disseminata di conflitti ma non orientata lungo un crinale di guerra civile larvale su base etnico religiosa.

CONTINUA

 

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