Cosmopolis: metropoli e sistemi urbani

La città globale come bene comune degli esseri umani

di Bruno Giorgini

 

Triste quella vita che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici (G.Leopardi)

 

La città è per eccellenza il luogo dove nasce e si sviluppa la civiltà umana.

La polis greca è  intimamente costituita da geometria e istituzioni politico-religiose, funzionali a renderla ethica, cioè abitabile. Attorno sta la periferia, in greco  circonferenza, il limite o confine tra città e campagna, tra chi sta dentro, godendo del diritto di cittadinanza, e chi sta fuori, escluso dallo stesso diritto.

Il secondo snodo, almeno in quell’area del mondo che conveniamo chiamare Occidente, è l’urbe romana, abitata e agita dalla civitas, la cittadinanza, crogiuolo collettivo di popolazioni differenti. Roma imperiale è una grande metropoli, letteralmente: la madre della città, cosmopolita multietnica multiculturale.

Infine la rivoluzione scientifica tecnologica e industriale (oggi quella postindustriale e informatica nonché della comunicazione e del lavoro cognitivo) ha fatto sì che al presente oltre il 50% dell’umanità abiti in città, a questo punto senza alcuna distinzione tra Occidente e resto del pianeta.

Si tratta di un fenomeno mondiale in espansione, dove in particolare si stempera la città mononucleare, la forma della circonferenza diventando meno cogente, in favore di una rete aperta, tendenzialmente infinita, meglio senza confini, sconfinata e globale che chiameremo Cosmopolis, dal titolo di un romanzo di Don DeLillo.

Guardando il futuro, le previsioni dicono che nel 2020 all’incirca  il numero dei cittadini crescerà fino al 60-70% della popolazione totale, e se allunghiamo il collo  per dare un’occhiata fino al 2040, la popolazione urbana passerà dagli attuali 3.5 miliardi di individui a circa 5-6 mld. Come è ovvio sono numeri affetti da una larga incertezza, trattandosi di stime statistiche fondate su modelli predittivi che tipicamente estrapolano in modo lineare il futuro dalle nostre conoscenze presenti, mentre in genere i processi sono caratterizzati da non linearità, con possibili biforcazioni e soluzioni catastrofiche. Però  l’andamento qualitativo è abbastanza ben definito, raccontandoci una inurbazione molto intensa e estesa in un intervallo temporale relativamente breve.

 

Matera, 2013

Matera, Vista dei Sassi, 2013

 

Nel 1950, New York e Tokyo erano le sole megalopoli. Nei venticinque anni seguenti nessuna altra città dei paesi al tempo detti “sviluppati” ha superato i dieci (10) milioni di abitanti, mentre due (2) città dei paesi “sottosviluppati”, Shangai e Mexico, sono diventate a loro volta megalopoli, salite quindi a quattro (4) nel 1975. In seguito il XX secolo ha visto la crescita di altre quattordici (14) megalopoli, di cui tre (3) nei paesi sviluppati e undici (11) in quelli “in via di sviluppo”. Complessivamente tredici (13) delle diciotto (18) megalopoli sono oggi localizzate nel mondo meno sviluppato.

La forza motrice dell’inurbazione è costituita dai poveri del mondo, che per la maggior parte popolano i cosidetti slums, agglomerati di baracche, tende, ripari di fortuna a corona delle città vere e proprie, e sono destinati a crescere. Ci raccontano i demografi che nel giro di pochi decenni saranno tra il miliardo e il miliardo e mezzo, e questa gigantesca migrazione dalle campagne alle città avverrà in larga misura nell’antico terzo mondo, Africa, Asia, America Latina.

Siamo di fronte a un fenomeno globale di urbanizzazione quale l’umanità non ha mai conosciuto per quantità e qualità, tanto che alcuni ricercatori parlano di un passaggio evolutivo dall’homo sapiens all’homo sapiens urbanis.

Homo sapiens urbanis che dovrà fare i conti con una miriade di appartenenze a popolazioni disparate, ciascuna con la sue culture, le sue religioni, i suoi pregiudizi, i suoi razzismi, nonchè con spaventose diseguaglianze sociali e altrettanto spaventose disparità sul piano dei diritti di cittadinanza. Questi agglomerati urbani quindi già sono, e sempre più saranno, traversati da conflitti molto acuti tali da mettere a rischio la convivenza civile. Con altro linguaggio, le dinamiche urbane sono già in molti casi, e saranno vieppù,  sull’orlo del caos e/o di guerre civili a alta o bassa intensità.

Ma quegli stessi conflitti potrebbero portare a soluzioni costituenti una autentica società dell’eguaglianza, insieme multietnica e multiculturale, con forme di cooperazione, in un processo probabilmente non indolore.

Questa urbanizzazione significa anche un enorme aumento delle superfici costruite con conseguente riduzione delle aree coltivabili e boschive, degli spazi aperti, e della biodiversità, nonchè l’estensione spropositata di fenomeni di edilizia speculativa e di rendita fondiaria. Nel contempo questo fenomeno di urbanizzazione abbisognerà di grandi quantità di energia, materie prime, e cibo, per di più funzionando, se tutto rimanesse più o meno tal quale, come una enorme pompa che immette calore e altri gas serra nell’atmosfera.

Atttualmente le varie attività urbane sono responsabili del 75% delle emissioni di CO2, che contribuiscono al cambiamento climatico globale i cui effetti già misuriamo. Ovvero oltre le possibili “guerre civili tra gli umani” incombono anche le catastrofi ecologiche, in specifico quelle dovute al climate changing in corso.

 

Tokyo

Tokyo, lo sprawl urbano

 

Il riscaldamento dovuto in buona parte all’effetto serra di origine antropica, che comporta tra l’altro l’aumento del livello degli oceani e dei mari, forzerà la stessa urbanizzazione in certe direzioni piuttosto che in altre, per esempio lontano dalle coste a rischio di sommersione e verso luoghi  elevati sulla superficie delle acque, per non dire delle zone che si desertificano, altre diventando alluvionali e cicloniche. Fenomeni che potrebbero riguardare centinaia di milioni di individui, spinti a abbandonare le loro attuali residenze divenute via via più impraticabili.

In sintesi le città del futuro per vivere dovranno passare da un paradigma di dominio e sfruttamento senza limiti della natura a un contratto di equità con la natura, se si vuole un contratto che garantisca un “ricambio organico tra uomo e natura”, secondo la definizione marxiana di lavoro.

Sembra relativamente facile a dirsi, ma come farlo?

Per esempio col riciclaggio dei rifiuti, estraendone  i metalli rari di cui le città sono ricche e le miniere ormai povere: alluminio, rame, ferro, acciaio, silicio, titanio fino al rarissimo indio. Sembra niente, ma chi studia queste cose offre numeri impressionanti, col che si capisce la demenzialità degli inceneritori dove si sversa e brucia ogni rifiuto cosidetto. Una parte dei quartieri poveri potrebbe specializzarsi nelle attività di riciclo, succede già in alcune città indiane. Così come per il problema del cibo le città dovranno sempre più fare affidamento sulle proprie forze, insomma destinare una parte del loro territorio alla coltivazione e allevamento, a Kampala il 30% circa del nutrimento è assicurato da produzioni locali.

Tutti esempi parziali, piccoli rispetto all’entità dei problemi, che però significano attività e azioni possibili, senza aspettare un vago accordo tra gli stati nazionali, e/o le entità sovranazionali.

Decisiva sarà la capacità delle comunità urbane di progettare e attuare modi di governo fondati sulla cooperazione, nonchè di mettere in rete le loro esperienze, sapendo che molti e potenti sono i nemici di questa globale convivenza tra esseri umani che si fanno eguali, e con la natura.

La Cosmopolis diffusa sul pianeta dovrà costituire una rete sufficientemente robusta, elastica e adattiva, per resistere alle tensioni e torsioni prodotte dagli enormi problemi cui deve far fronte.

Necessario appare ormai un radicale cambiamento del paradigma evolutivo fin qui egemone, quello del dominio sulla natura e dello sviluppo e accumulazione capitalistici senza limiti, dovendosi invece costruire un mondo sostenibile nei limiti imposti dalla natura: viviamo in un mondo finito e quindi non possiamo pensare una infinita crescita con un infinito sfruttamento delle risorse. Per Marx l’unico limite allo sviluppo delle forze produttive era la proprietà privata dei mezzi di produzione, ma noi oggi sappiamo che un altro limite, fisico, è la finitezza del pianeta, e questa finitezza deve integrare il paradigma evolutivo, modificandolo in radice, con un esito non scontato.

Questa rivoluzione, paragonabile almeno con quella copernicana da cui nacque il moderno capitalismo e mondo scientifico tecnologico, sarà parecchio scabra e a sua volta fonte di aspri conflitti sociali, politici, economici, ideologici.

I limiti nell’uso e consumo di beni essenziali quali l’energia,  l’acqua potabile e irrigua, il suolo, le materie prime nonchè nella produzione di merci e nell’accumulazione di denaro, accoppiati  con  le grandi migrazioni e le ondate di disoccupazione massiva per non dire della possibile penuria di grano, riso e altri generi di prima necessità per la vita, potrebbero indurre anche drastiche limitazioni delle libertà e dei diritti individuali e sociali fino a culminare in un nero e cupo fascismo della miseria e/o una dinamica del tutti contro tutti  secondo la ben nota formula: homo homini lupus.

Se poi consideriamo le contraddizioni tra stati nazionali e/o aggregati più ampi, con tutte le guerre di religione, commerciali, economiche, etniche al seguito, a bassa e/o alta intensità, appare evidente che l’insieme di queste tensioni  potrebbe frantumare Cosmopolis fino a cancellarla.

La città è dalle origini “un sistema di differenze” (Aristotele). Questo sistema composto da cittadini/e tutti/e diversi ma eguali nelle libertà e nei diritti civili, politici, sociali chiamiamo civiltà.

La distruzione di Cosmopolis vorrebbe dire la devastazione, forse la fine, della civiltà tout court.

In ultima analisi la città globale, e la convivenza civile con tutte le mixitè, coesistenze tra diversi, già in atto, è il Bene Comune degli umani.

La sua salvaguardia e evoluzione riguarda ognuno di noi, è missione collettiva di tutti e individuale di ciascuno.

 

 

Nota bene:

L’immagine di copertina è un’opera di Erich Kettelhut “Bozzetto per la scenografia di Metropolis di Fritz Lang”

L’immagine di Matera è di Enrico Sibilla

L’immagine di Tokyo è tratta da Wikipedia

This Wikipedia and Wikimedia Commons image is from the user Chris 73 and is freely available at //commons.wikimedia.org/wiki/File:Urban_sprawl_as_seen_from_Tokyo_tower_towards_West.jpg under the creative commons cc-by-sa 3.0 license.

 

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