Ideologia tedesca e l’Europa delle città

Esiste una missione di una egemonia tedesca fondata sul degrado del Sud Europa in nome della riqualificazione del Nord e Est fino agli Urali?

di Bruno Giorgini

Le Monde ci racconta che la Commissione europea ha incontrato “nuove difficoltà quando sperava di concretizzare il suo progetto di ridurre le emissioni di CO2: la cancelliera tedesca Angela Merkel si è espressamente opposta venerdì 5 luglio. In una intervista all’agenzia stampa DPA, la signora Merkel ha giudicato che la regolamentazione, la quale dovrebbe penalizzare le nuove vetture che emettono più di 95 grammi de CO2/km a partire dal 2020 non era “ragionevole”.

Il giornale prosegue sottolineando che in questo modo Merkel prende esplicitamente le parti dei costruttori tedeschi Mercedes, BMW, Audi e Porsche, riferendosi anche alle centinaia di migliaia di posti di lavoro che dipendono in Germania e “oltre le nostre frontiere” dall’industria dell’auto, insistendo che le vetture tedesche di grossa cilindrata sono le “più efficaci nel loro segmento di mercato”. Le Monde legge questa posizione in termini contingenti come dovuta alla prossima scadenza elettorale e alla pressione delle lobby automobilistiche.

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Ma se spostiamo lo sguardo dalle pagine dell’attualità a un libro, “Arcipelago Europa: viaggio nello spirito delle città” recentemente tradotto dal tedesco in Italia, forse scopriamo nervature più profonde che percorrono la presa di posizione della cancelliera, nonché i segni di una nuova ideologia tedesca, che, oltre a illuminare l’intera sua politica, tra l’altro disvela quel che era, almeno per me, un mistero: come sia potuto accadere che una giovane dirigente altolocata del partito comunista della DDR forse il più stalinista dell’intero blocco orientale, senza aver mai nemmeno sollevato un sopracciglio di critica antitotalitaria, abbia potuto dopo la caduta del muro nell’89, fare una carriera fulminea nella Democrazia Cristiana tedesca e conquistare l’opinione pubblica fino a diventare cancelliera. Il libro di cui sopra si apre con la descrizione di Marijampolé, città di circa 50000 (cinquantamila) abitanti dove si trova il più grande mercato di automobili usate del continente, che sta vicino al centro geografico d’Europa collocato sull’autostrada Vilnius-Molétai, a 25°19’ di longitudine e 54°54’ di latitudine. “Da un decennio a questa parte, a Marijampolé tutta l’Europa occidentale porta le sue automobili usate, di qualsiasi anno e classe, e tutta l’Europa orientale si rifornisce di automobili. (..)Marijampolé è uno dei nodi che formano la rete nascente della nuova Europa.”

E se a est degli Urali dominano le auto giapponesi e coreane, a ovest dominano le auto tedesche BMW, Mercedes, Volkswagen. Insomma il mercato dell’auto viene assunto come vettore che costituisce e propaga fino alla Russia quella che l’autore Karl Schloegel, storico insignito dei più prestigiosi premi accademici tedeschi,  chiama la “nuova Europa”e d’altra parte “La circolazione è una forma di socializzazione umana, e non certo di secondaria importanza”. Ovviamente “circolazione” e automobile, anzi mercato dell’automobile, vanno di pari passo e si danno la mano come metafore e simboli forti dell’emancipazione, in particolare per i popoli dell’ Est europeo.

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Viaggiando da un città all’altra verso Est, Nord-Est, Schlogel arriva a Mosca, scoprendola città globale immersa nel tempo e nei flussi dei “global players, della CNN, del denaro di plastica” e molto vicina a Berlino. Così nel capitolo “Berlino e Mosca: due destini del XX secolo” emerge quasi naturalmente l’asse Berlino – Mosca, presentato come frutto delle forze spontanee della storia, quella storia e forze bruscamente interrotte nel loro corso dalla seconda guerra mondiale, ma che oggi di nuovo si presentano all’appuntamento. Altro che asse Berlino Parigi, ecco il nuovo architrave della costruzione europea reale, ecco  “il nuovo inizio”, la nuova direzione del movimento della storia: l’asse Berlino – Mosca, che condividono “il tempo come dimora comune”. Ma se l’orizzonte tedesco volge a Est, allora la stessa politica d’austerità voluta da Merkel così aggressiva verso i paesi mediterranei fino a deprimerne in modo brutale le economie e le socialità, non dipende da sua personale “stupidità” in materia di scienza economica o moralismo protestante rispetto al debito, identificato col diavolo, o pura e semplice volontà reazionaria, ma molto più semplicemente e chiaramente da una strategia politica sottesa da una ideologia forte della missione che il popolo e la nazione tedesca hanno in questo secolo: ricomporre le “membra disiecta” di una passata civiltà incarnatasi negli imperi centrali russo, austroungraico, prussiano. Più banalmente, la missione di una egemonia tedesca fondata sul degrado del Sud Europa in nome della riqualificazione del Nord e Est fino agli Urali.

[blockquote align=”none”]In questo quadro si capisce che Angela Merkel è assurta alla carica di cancelliera e gode di forte seguito nell’opinione pubblica tedesca, non a dispetto del curriculum di comunista osservante nella Germania dell’Est, ma proprio in virtù di quel curriculum che le permette il dialogo e l’egemonia anche culturale con, e su, quelle che furono le sedicenti democrazie socialiste, dall’Ungheria a Romania e Polonia ecc..spingendosi fino a Mosca e Putin.[/blockquote]

Nè pare un caso che nel 2005, data di pubblicazione di “Arcipelago Europa” in Germania,  Gerhard F. K. Schroeder socialdemocratico già cancelliere dal 1998 al 2005, accetti la nomina di Gazprom, gigante energetico russo, a capo del consorzio Nord Stream AG che si occupa della costruzione di un gasdotto tra la costa russa e quella germanica attraverso il mar Baltico, e neppure stupisce che egli diventi nel 2008 membro del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Accademia delle Scienze russa, e che alte onoreficenze nonché cavalierati gli siano stati attribuiti finora da Georgia, Polonia, Kazakistan, Romania e buon ultima appena entrata nella UE, Croazia.

Ma l’ideologia propugnata da Schloegel, che per altro è un valente ricercatore e cosparge il libro di molte idee e dati stimolanti, per sostenersi abbisogna di alcune omissioni che rasentano una forma di neorevisionismo storico e affondano in una concezione reazionaria in senso letterale. Per esempio il mito delle città multietniche e multiculturali degli imperi plurinazionali proposto e riproposto dall’autore dimenticando che a Vienna, la grande Vienna di Freud, era costume obbligatorio per gli ebrei in un giorno dell’anno sfilare portando dei basti sul collo, a dire che erano come buoi, cioè subumani, e Freud sceglieva di andare in quel giorno fuori città. E i pogrom antisemiti che traversavano le città russe o la Bucarest, chiamata anche Parigi dell’Est ahimè, e la disciplina prussiana con la politica oppressiva e reazionaria di Bismarck, potendosi continuare. Comunque per l’autore a rompere questo mitico, e mai esistito, mondo urbano tollerante, multietnico e multiculturale, “Quest’opera d’arte totale sul piano sociale” arrivarono “il nazionalismo e il radicalismo sociale (..) le forze della violenza e della semplificazione” e la cosidetta “”Guerra dei trent’anni” durata dal 1914 al 1945”, mescolanza di conflitti mondiali e guerra civile. E prosegue: “Sterminio degli ebrei e decimazione delle forze dell’Europa borghese procedono di pari passo”, dimenticando che in Germania Hitler andò al potere vincendo le elezioni, che le borghesie di cui egli parla erano in larga misura antisemite e che quella tedesca in particolare finanziò e sostenne attivamente il nazismo, nonchè di fronte alle deportazioni degli ebrei quando andò bene girò gli occhi dall’altra parte, ma nella maggioranza dei casi collaborò col potere nazista fino a sostenere il  genocidio, pudicamente detto: soluzione finale della questione ebraica.

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Ma laddove Schloegel francamente eccede, forse perchè l’asino reazionario prima o poi sempre casca rovinosamente, e l’ideologia tedesca diventa inevitabilmente quella descritta da Marx e da Nietszche, è quando parla di urbanicidio, la distruzione/omicidio delle città, e quindi della loro ricostruzione/rigenerazione. Un concetto che data da Omero, l’Iliade racconta l’urbicidio di Troia, ma che l’autore articola intorno alla seconda guerra mondiale. Qui gli omissis sono molti ma prima la chicca: “Per indicare la cancellazione di una città, o almeno del suo centro, con la guerra aerea e bombardamenti a tappeto, è stato coniato il termine “coventrizzazione””, che pare una invenzione linguistica, se non si dice che Coventry è una città inglese bombardata dalla Lutwaffe, l’aviazione tedesca, varie volte, in particolare nella notte tra il 14 e 15 novembre del ’40 dalle 19.25 della sera alle 6.15 del mattino, con bombe non dirompenti cioè atte a colpire obiettivi militari e/o industriali fortificati, ma invece in gran parte colpita sia da ordigni a basso potenziale di pentetrazione che da spezzoni incendiari scaricati a ondate successive. Un bombardamento fatto cioè per distruggere le abitazioni civili e per provocare un tempesta di fuoco che bruciasse ciò che rimaneva in piedi. Tra l’altro alle 2 (due) del mattino la contraerea inglese esaurì le munizioni, e i bombardamenti si intensificarono. Coventry poi nel 1943 sarà gemellata con Stalingrado, che resistette alla demolizione nazista, dando inizio alla controffensiva delle armate sovietiche, le quali arrivarono fino a Berlino. Ma adesso che sappiamo cosa successe a Coventry, andiamo un po’ indietro nel tempo e un poco a Sud nello spazio, in terra basca di Spagna, incontrando il bombardamento a tappeto di Guernica, immortalato da Picasso. E’ il 26 aprile del ’37, la guerra civile spagnola impazza, il golpista Franco è aiutato dalle truppe di terra e d’aria naziste e fasciste, a Guernica c’è il mercato quando compaiono gli aeroplani con la croce uncinata sulle ali, scaricando una caterva di bombe. Il numero dei civili morti non si saprà mai, lo stesso Franco cerca di oscurarli, attivando una disinformazione sistematica come poi fecero anche i nazisti cercando di mascherare o almeno ridurre il genocidio degli ebrei e altri depoortati.

Fu il primo bombardamento a tappeto su una città indifesa, massacrando certamente centinaia di civili, forse più di mille, Guernica era piccola, sei settemila abitanti. Anche l’aviazione italiana col fascio littorio non scherzò, bombardando a tappeto Barcellona (16 marzo 1938) con 900 (novecento) morti, 1500 feriti e innumerevoli dispersi. Nulla di tutto questo racconta l’autore, per cui sembra leggendolo che l’urbicidio sia un fenomeno naturale tanto di qua, i nazisti, tanto di là, le forze alleate, e non una strategia militare e politica coscientemente scelta dalla Germania nazista e dall’Italia fascista, anche dal Giappone a dire il vero, a cui gli alleati risposero certo con altrettanta violenza, si pensi solo al bombardamento di Dresda o, e qui un limite dell’umano, come già dentro i campi di sterminio, fu superato, alle bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki.
Ma una altra omissione forse meno eclatante, epperò mi pare grave: la completa trascuratezza delle guerre balcaniche che hanno distrutto la Jugoslavia, praticato la pulizia e lo stupro etnici, riaperto in Europa i campi di concentramento. Si pensi soltanto all’assedio di Sarajevo durato 43 (quarantatre) mesi colpita con un ritmo di 330 granate al giorno, dal 1992 al 1996. I morti accertati furono 11.541, 13.000 dispersi, 50.000 feriti, 74.000 rifugiati e/o sfollati altrove, Sarajevo la sola città europea, come ebbe a dire il rabbino capo della comunità, dove gli ebrei non siano mai stati perseguitati e sempre si siano sentiti liberi. Donde nasca questa omissione non saprei, certo è che per chi pensa l’Europa e soprattutto l’Europa delle città omissione di Sarajevo non può esserci.
Infine e per concludere non la discussione ma questo scritto, credo che

1)   bisogni prendere atto della frattura tra Europa del Nord, Nord Est, proiettata verso la Russia, almeno per quanto attiene la Germania, e Europa Mediterranea

2)   che l’indicazione metodologica di guardare la rete delle città, delle loro connessioni cognitive e di civiltà, sia da assumere e sviluppare, da Venezia a Marsiglia, da Parigi a Trieste, da Barcellona a Torino, fino a Amsterdam e Rotterdam,  Roma e Francoforte, Napoli e Atene, Lisbona e Dublino, ecc..

3)   che il miglior modo di dibattere a livello europeo sarebbe quello di attivare un processo democratico dei cittadini che votano non un parlamento senza poteri, ma una assemblea costituente. L’Europa, se vuole esistere senza diventare preda ora dell’una ora dell’altra egemonia, ha bisogno, un bisogno urgente, di una Carta dei Diritti e dei Doveri, a fondamento di uno stato, certamente federale, che non può nascere se non legittimato da una Carta redatta e approvata da una Assemblea eletta a suffragio universale.

4)   Fin là sarà sempre un accartocciarsi e scartocciarsi grinzoso di pratiche e discorsi intessuti senza autentico orizzonte, se non l’interesse dell’uno o dell’altro potere in campo, nè forte consenso e partecipazione popolare. Fin quando la delicata e improbabile tessitura si strapperà con conseguenze che potrebbero sul serio esser catastrofiche. Specie in tempi di crisi.

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