Testo di Bruno Giorgini, Foto di Ellis Boscarol
Non sono felici. Gli individui che incontro lungo la spiaggia non mi sembrano felici.
Non emanano allegrezza, anche quando scherzano e/o giocano. Piuttosto un diffuso nevrotico agitarsi. Mi vien da dire: compulsiva agitazione termica come le molecole di un gas che si muovono a caso, il cui motore può essere l’ansia, se non l’angoscia vera e propria. Da cinquanta anni non passavo un periodo di vacanze sul litorale emiliano romagnolo, e ricordo tutt’altra spiaggia, ma si sa, i ricordi dei vecchi su quant’era bello il mondo cinquanta anni prima dipendono dal banale fatto che al tempo erano giovani. Però magari no, perchè appena lasciai le Romagne e la casa paterna per l’università a Bologna smisi di frequentarne il litorale, salvo rare visite e pochi giorni passati coi miei genitori che abitarono prima a Riccione, quindi a Rimini, e andando a trovare i miei nonni materni che vivevano a Ravenna, a poche pedalate di bicicletta dai lidi adiacenti, percorrendo la strada lungo il Candiano, il canale che connette il mare alla città.
Quest’anno per ragioni di forza maggiore mi trovo in quel di Porto Corsini, di cui scrisse Montale parlando d’amore per Dora “Fu dove il ponte di legno /mette a Porto Corsini sul mare alto/e rari uomini, quasi immoti, affondano/o salpano le reti.(..) Poi seguimmo il canale fino alla darsena/ della città, lucida di fuliggine/ (..)E qui dove un’antica vita/ si screzia in una dolce/ ansietà d’Oriente,/ le tue parole iridavano come le scaglie/ della triglia moribonda.(..)”
Mi trovo qua dove venni ragazzo, e mi colpisce che la folla composta da migliaia di individui agitandosi sull’arenile o nell’acqua marrone di sabbia e altre confuse materie, non esprima alcuna energia ridente, nè allegrezza. O giocosità. Non so se l’analogia con le molecole di un gas che si agitano più o meno a caso sia abbastanza precisa. Forse la folla degli umani sulla spiaggia somiglia più a un formicaio, ma senza la solidarietà cooperativa propria alle formiche, piuttosto manifestando un comportamento selfish (egoistico). C’è poca empatia in questa folla, una buona dose invece di antipatia.
Ma cominciamo dall’inizio. A Gabicce nasce un insediamento urbano che senza soluzioni di continuità si snoda lungo 120 km fino a Porto Garibaldi, dove si apre la strada per la laguna di Venezia. Non è un’unica metropoli ma un insieme di città, cittadine, paesi costituenti un unico tessuto spaziotemporale che struttura uno specifico sistema urbano. Questo spaziotempo è definito, percorso, abitato dal popolo dei turisti e/o villeggianti in specie durante la stagione estiva, giugno luglio agosto settembre, ma in alcuni punti, Rimini e Ravenna per esempio, lungo tutto l’anno.
La prima linea, la prima condizione al contorno per configurare questo spazio tempo è la spiaggia, e quella linea blu chiamata mare, per dirla con Tonino Guerra, poeta romagnolo.
Si tratta di una spiaggia molto larga, dell’ordine del centinaio di metri, e di un mare che per un altro centinaio di metri è percorribile camminando, e soltanto dopo come si suol dire, non tocchi, ovvero devi almeno saper stare a galla, meglio nuotando. Questa striscia di sabbia e acqua, spesso con una pineta alle spalle, è uno degli attrattori fondamentali del popolo dei turisti/villeggianti – milioni di persone – tanto che alcune agenzie immobiliari riminesi, sempre da cinquantanni almeno all’avanguardia, ne hanno inventata una che merita di essere segnalata.
Nel retroterra riminese ci sono colline belle con molte case un tempo coloniche, oggi spesso abbandonate, e in vendita. Vendita non facile avendo lo sviluppo edilizio nonchè la speculazione immobiliare valorizzato e privilegiato gli insediamenti abitativi vicini al mare, almeno dagli inizi del ‘900, e in modo massivo dopo il 1945 quando si trattò di ricostruire la città quasi completamente distrutta dalla guerra. Ma allora che farsene delle case coloniche collinari? Ebbene cercare di venderle chiamando in causa il riscaldamento globale, e il conseguente innalzamento delle acque marine, previsto nei prossimi anni o decenni. Per cui: comperate una casa in collina oggi a poco prezzo, perchè domani i vostri figli e nipoti avranno il mare sottocasa. Geniale.
La seconda linea è quella del divertimento notturno, la movida come si suol dire. Qui Rimini, Riccione, Milano Marittima primeggiano tutto l’anno.
Dal gioco d’azzardo alla prostituzione in ogni suo gradino, cominciando dal marciapiede fino all’hotel cinque stelle, e in ogni età, l’intera gamma è reperibile con estrema facilità, e per quasi tutte le tasche. Però i nodi di questa rete del divertimento sono certamente le discoteche, dove Rimini è regina ma lungo tutta la riviera non si scherza. Partono carovane di giovani da ogni parte d’Italia anche solo per entrare in pista il tempo di una notte. A Napoli un tassista era scandalizzato dal fatto che non conoscessi non so più quale discoteca dove lui andava almeno una volta se non più al mese, e il popolo dei pendolari della discoteca è densissimo, anche da oltre confine. Conosco giovani croati, maschi e femmine, che ne fanno organicamente parte.
Le discoteche sono luoghi pazzeschi. Come si può ben immaginare ne ho avuto rarissime frequentazioni, però conosco alcune persone giovani a me molto care che c’hanno lavorato, raccontandomi, e soprattutto ho un amico riminese esperto nel ramo che mi ha fatto da guida con parole, immagini, incontri. Parlando di discoteche entriamo nel mondo delle droghe “per giovani e giovanissimi”. Comunque la si giri, le pasticche sono di uso comune e in massa. Non si tratta di spacciatori come ce ne sono, che ne so, a Bologna in Piazza Verdi, una decina ben visibili, distinti e distinguibili dagli altri giovani che lì passano, si siedono, discorrono, flirtano. No lì dentro, sia il Cocoricò balzato all’onore delle cronache o un’altra, le pasticche sono ovunque, almeno un/a ragazzo/a su due è consumatore e spacciatore, la restante metà limitandosi all’ubriachezza più o meno molesta, e rischiosa. Basta entrare, rimanere un’oretta e contare.
Siamo di fronte a una disperazione sociale di massa, con una musica fatta per spezzare i timpani e annichilire il cervello, perchè non senta il dolore di esistere. Droga e musica che ti portano in un altro mondo, da cui a volte non torni.
In un altro mondo perchè questo è insopportabile. Nè è vero che i giovani non siano informati: da una inchiesta casalinga tra gli studenti di una classe di un liceo bolognese altolocato, tutti sapevano cosa può combinare una pasticca di ecstasy, bruciature neuronali fino al coma, lesioni agli organi vitali come il fegato o i reni ecc.. Non è spaventandoli che i/le ragazzi/e smetteranno di assumere le pasticche; molti, seppure è difficile dire quanti, hanno impulsi suicidi, o meglio: una più o meno lucida propensione a far le valigie e andarsene altrove, sia pure all’altro mondo. Il suicidio, un grande problema non solo loro ma della nostra epoca (si vedano per esempio Heroes di Franco “Bifo” Berardi e Lo scambio simbolico e la morte di Jean Baudrillard).Parlando di droghe, sesso mercantile, e gioco d’azzardo nonchè di speculazione edilizia a Rimini e lungo tutto il sistema urbano “riviera romagnola”, non si può evitare il nodo delle mafie dilaganti, e del contratto che in qualche modo è stato stipulato tra le organizzazioni che gestiscono le attività criminali e il business turistico finanziario. Ma farlo seriamente ci porterebbe troppo lontano, e d’altra parte tutti stanno bene attenti a scansare l’argomento, perchè se il Cocoricò si può chiudere per qualche mese, la riviera no, deve stare aperta il più possibile, e su questo convergono tutti da Comunione e Liberazione alle Coop un tempo rosse, dal Prefetto al Sindaco, dai sindacati agli abitanti, dai capi mafiosi ai top manager, purchè non si sparacchi nelle strade e non muoia troppa gente di overdose.
Quindi torniamo in spiaggia.
A Rimini in piena tempesta di sabbia, che sembra di stare nel deserto del Sahara, e tutti scappano a gambe levate. Uno dei molti eventie stremi che hanno costellato l’estate più calda. Ma tornando a situazioni “normali”, per certi versi la città della spiagge è autosimilare, ovvero mostra le stesse caratteristiche indipendentemente dalla scala, in senso statistico. Mentre le interazioni microscopiche, tra individui, hanno ciascuna una propria specificità. Per capirci possiamo usare l’esempio del suicidio. Ciascun suicidio è un evento frutto complesso di situazione individuale essa stessa complessa, fino a sfiorare il mistero – scherzava sempre, si era appena innamorato, la vita gli sorrideva poi si è tagliato le vene – o la trivialità – si è buttato giù dalla finestra perchè era depresso.
Se però ci affidiamo alla statistica, allora scopriamo che i poliziotti e i medici in pensione si suicidano molto di più dei tramvieri, le donne separate molto meno degli uomini separati, eccetera cioè scopriamo l’esistenza di grandi classi di esseri umani dove il suicidio è più frequente che in altre.
Quindi osservando la città delle spiagge a Porto Corsini, diciamo anche, in parte, come si configura a Rimini e/o a Porto Garibaldi.
Intanto ovunque esistono larghi tratti di spiaggia detta “libera”, cioè non molestata e interdetta da bagni , ombrelloni a pagamento, lettini e bagnini, essendo che in Italia, come in Francia del resto, tutto il litorale fino a cinque metri dal bagnasciuga è pubblico, cioè frequentabile da chiunque. Però i gestori dei bagni non amano la spiaggia libera. Così a Porto Corsini un umano in divisa da bagnino, quando stendo il mio asciugamano leggermente oltre il limite della fila di ombrelloni del bagno “il villaggio del sole”, mi piomba addosso invitandomi a spostarmi di un metro, perchè sono su suolo privato. Lo investo con la recente sentenza della Corte che ribadisce il mio buon diritto, citando i vari articoli di legge – nel mio intimo la chiamo “lotta di classe in spiaggia”, a Viareggio funzionò alla grande – ma egli interrompe il flusso delle mie parole, dicendomi che non capisce quasi niente perchè parla poco italiano, gli hanno dato un ordine e obbedisce. Oibò, ecco il migrante mandato in avanscoperta molto intimidito dal mio tono aggressivo e sarcastico. Così interrompo. Dovrei andare dal gestore, lo so, e dirgliene quattro soprattutto perchè profitta di uno straniero buttandolo in pasto alle ire del cittadino sicuro delle sue buone ragioni. Ma non ho voglia, così interrompo la geremiade, saluto e sposto l’asciugamano di trenta centimetri, bastanti a garantirmi dalla rottura, e a non prendermela con qualcuno che non c’entra nulla.
La spiaggia è piena di bambini, per loro sarebbe un paradiso se molte madri, nonne , nonni non li depositassero come pacchi nell’acqua a pochi metri dal bagnasciuga, richiamandoli con urla spesso isteriche quando il/la piccoletto/a si muove fuori dal recinto ideale che il genitore e/o il nonno addetto ha disegnato nella sua testa come spazio di sicurezza per il pargolo, che ovviamente piange, urla e strepita.
Per non dire quando madri e nonni delirano: non ti bagnare il costumino asciutto! In riva al mare! Non ti sporcare con la sabbia che ti ho appena pulito i piedi! In una spiaggia! Dicevo di nonni e madri, padri pochi. Compaiono invece a volte gli amanti – o aspiranti tali – delle mamme, con aria sorniona e casuale, ma ben riconoscibili con la loro aria di scivolaletto. Fanno il paio con i cicisbei, da non confondersi con gli antichi play boy formato romagnolo resi leggendari dai film di Fellini “I vitelloni” e “Amarcord”. Sono in genere maturi, tra i trenta e i quaranta, perfettamente abbronzati, coi capelli semilunghi tinti castani verso il color ruggine, il costume ben aderente e la nuotata elegante da piscina. Ultimo tocco, l’occhiale da sole polaroid di marca lasciato con nonchalance sull’asciugamano firmato Prada. Così come non manca mai la femme fatale dal bikini quasi inesistente, che cammina indossando un pareo trasparente con negligente eleganza, e sandali dai tacchi stratosferici; perfettamente truccata se ne sta in disparte, nel mio tratto di spiaggia languidamente distesa su un blocco di cemento al sole, tra mare aperto e canale del porto. Non puoi non notarla, ma raggiungerla non è facile, quasi nuda eppure intoccabile.
Di molto ci sarebbe ancora da dire. I capanni sul molo, le grandi navi all’attracco, le valli alle spalle che arrivano fino a Comacchio, le legioni di pescatori che vengono in bicicletta all’alba, le fabbriche a ridosso coi fumi neri, i nugoli di ragazzini/e che tentano di sfuggire al controllo genitoriale, dove si mangia il buon pesce, il migliore qua si trova lontano dalla costa a Piangipane nella sede della cooperativa braccianti ma bisogna essere invitati, e altre cento cose. Però finisco con una sommaria analisi di classe (sperando che Karl Marx non si rivolti nella tomba). La Città delle Spiagge in questione è popolata in larga misura da un proletariato globalizzato multilingue – si parla russo, rumeno, arabo, cockney, romagnolo, croato, lingue africane, verlan (l’argot dei beurs) ecc…- e multiculturale, duro spigoloso arcigno, non sempre simpatico. Su questo corpo sociale sono visibili le ferite inferte dalla crisi, e palpabile la rabbia mista a frustrazione che nemmeno in spiaggia viene dismessa. Ci vorrà tempo perchè questo proletariato molto vario e difforme prenda coscienza di sè, ma intanto corposamente esiste. Persino il giorno di ferragosto quando un centinaio di lavoratori vanno in fabbrica per chiamata individuale all’Electrolux.
credits: l’immagine di copertina è tratta da Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Riviera_romagnola