Milano. In uno plures.

Raccontare Milano attraversando il quartiere Turchino

di Laura Massaroli

La bellezza la restituisce la vita. E tu, Milano, quanto sei viva!

Impersonificata, sei come una donna ricca di contraddizioni, molteplice e profonda. Troppo profonda. Un abisso marino inaccessibile, dove la vista dei pesci colorati te la devi conquistare.

Incoerente, contieni tutto.

Businessman valigetta alla mano che corrono trafilati verso la metro. Passo svelto, sguardo perso, o forse già al telefono, danno direttive sul giorno che avanza pallido. Il loro incedere forte e sicuro rispecchia solo una delle tue anime. Quell’anima elegante, fatta di tailleur e completi alla moda, fatta di sguardi certi e sorrisi impavidi, della consapevolezza del potere che restituisce il dio denaro, del vuoto e della privazione della naturalità che la giacca e la cravatta impongo all’uomo di oggi. Altro che seconda natura!

E poi ci sono le periferie, quelle città nella città.

Molto più che quartieri, quelli sono solo i tuoi prolungamenti.

Sei sempre tu, Milano.

Qui non ci sono architetture in quello stile liberty sapientemente illuminate, palazzi che tanto lasciano a bocca aperta l’incredulo passante.

Qui non si erge il Duomo che tronfio rispecchia il tuo centro.

No, Milano.

Qui, in periferia, le case sono grigie ma quanti i colori che ci sono dentro. Come dipinti, si tingono su tela le vite dei tuoi figli abbandonati. Gli abusivi, gli immigrati, i vecchi soli e rinchiusi nelle case. Storie incredibili che tu custodisci come un tesoro, in uno scrigno che pochi sanno dischiudere.

Ed è qui che io ho deciso di amarti, da qui, dalle case popolari di via del Turchino. Entrando in piazzale Cuoco le vedi lì, in fila una accanto all’altra: case che sembrano vele che si dispiegano enormi in cielo, perché devono in qualche modo attestare la loro presenza. E ci riescono.

L’ortomercato in fondo alla via è l’alterego della tua cattedrale, il tuo cuore pulsante, lo smistamento del primo sostentamento. I clacson alle quattro del mattino, le code dei camion interminabili, in fila per entrare, le urla e le grida di chi lì ci lavora e ci consuma la vita, le prime sigarette della giornata.

Agli angoli vecchi materassi abbandonati, carcasse di un comodino e un armadio, vestiti di lana fatti a maglia, accolgono il tuo ingresso. Bustine dello zucchero a terra di fronte all’unico bar, ancora chiuso.  Ma se respiri forte, se respiri a fondo, un odore fortissimo ti porta lontano, al mare.

Il gelsomino che non vedi, ma c’è e si assicura che tu lo senta sempre, di giorno, di notte.

Che sei al Turchino, lo sai e non lo dice solo il contrasto della bellezza tra il grigio imperante e la vita che colora, lo senti dai profumi. Quelli forti, quelli che nascono dall’incontro delle miriadi di culture che accoglie dentro di sé. Cambi continente in un baleno, basta rimanere ad ascoltare sulle tromba delle scale. Le spezie, spezie intense, ti portano in Marocco, mentre l’odore di pesce al sugo arriva dalla porta del vicino palermitano, dalla porta di Antonio.

Antonio che è con la vita al declino ma ha un’energia incredibile. La malattia si porta via i chili di mese in mese, ma lui sorride, sorride sempre. Mostra i pochi denti che gli sono rimasti con la stessa fierezza con cui espone la collana con il crocefisso, un crocifisso enorme.  “Mademoiselle, comment ça va? Ho dei totani al sugo per lei oggi venga, venga”. Ironico, sorride di gusto e cita il Pascoli.

La cultura qui non si spreca.

Basta aguzzare gli occhi quando varchi l’uscio di Teresa. Arzilla settantottenne che non manca mai di andare a teatro, tutte le settimane, e con i mezzi pubblici ‘Perché io la macchina non l’ho mai avuta’. Al soffitto un lampadario di cristallo che ricorda i vecchi fasti, come le posate in argento, immancabili per mescolare lo zucchero nel caffè. Quadri dell’800, quadri dei fratelli artisti,e libri. Librerie piene di libri. Ha fame e sete di sapere, Teresa. E’ curiosa, curiosa del mondo e della vita, seppur sia costretta a guardarli dall’inferriata del primo piano in una piccola casa dell’Aler.

E allora dimmi, Come fai? Tu dimmi come fai Milano ad abbracciare tutto questo?

Te ne stai lì, seduta a gambe accavallate, muta come una gran signora e in silenzio restituisci i tuoi mille volti, le tue mille immagini. Lanci sguardi profondissimi e noi, i tuoi cittadini, siamo pronti a perderci nel mare delle tue possibilità.

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