Riprendiamo la città

Riprendiamo la città. Potlach Milano: sguardi sulla città interculturale

di collettivo immaginariesplorazioni

Se vivete a Milano, da qualche tempo potrebbe capitarvi di imbattervi per caso in un gruppo un po’ particolare. Negli scorsi mesi il Giambellino, gli spazi di Base Milano, via Padova, il quartiere San Siro, la zona di Stazione Centrale, l’Isola e molti altri luoghi più o meno conosciuti sono stati silenziosamente invasi. Protagonista dell’invasione un gruppo eterogeneo di circa 30 ragazzi, tra i 18 e i 35 anni. Di loro si sa che: sono tutti onnivori, tranne due vegetariani; tantissimi si spostano in bicicletta, così, quando sono insieme, può capitare di vederne tante parcheggiate in luoghi imprevisti; qualcuno invece viaggia in autobus, e ci si addormenta, a volte. Ciascuno ha passioni segrete: chi ama il rap duro francese, chi da piccolo adorava assaggiare la terra; c’è persino qualcuno che ha una carriera da aspirante astronauta alle spalle; e c’è chi più banalmente confessa di aver pianto il primo giorno di scuola. Piccole e grandi somiglianze e differenze, come queste, sono emerse finora dagli incontri e dalle attività di formazione di questo gruppo. Eh già, perché di un gruppo in formazione si tratta: il collettivo di video-ricerca immaginariesplorazioni – Potlach Milano.
Prima di raccontarvi ancora di noi, è arrivato il momento di spiegarvi il perché ci ritroviamo insieme: Potlach Milano è un progetto che ragiona sul tema dell’intercultura, attraverso un percorso annuale di ricerca-azione sul territorio di Milano, che produrrà un film documentario a regia collettiva. Promosso da Dynamoscopio insieme a Codici e finanziato da Fondazione Cariplo, Potlach Milano ha ufficialmente preso il via a metà aprile 2016 e fino ad oggi ha costruito sette sessioni di lavoro, ciascuna della durata di un giorno e mezzo, in giro per la città.

L’idea del progetto parte dalla voglia di raccontare Milano attraverso la lente delle sue risorse interculturali. Come esito dei flussi migratori più diversi – da quelli interni, soprattutto posteriori alle due guerre, a quelli attuali, di natura internazionale e globale – Milano ci appare infatti come un mosaico di abitanti, temporanei o permanenti, di origine “altra”: ognuno portatore ma soprattutto “agente” di culture diverse.

Le statistiche, che ci raccontano di un fenomeno sempre più consistente e al tempo stesso consolidato, tacciono tuttavia un aspetto che, come promotori del progetto, ci sembra ancor più rilevante: il processo di ibridazione culturale, di integrazione di saperi e pratiche, di memorie e di competenze, di conflitti e dinamiche di convivenza che nasce dall’incontro quotidiano tra culture diverse.
Di fronte a questo quadro è forte la necessità di dotarsi di chiavi interpretative, di riflessioni che ci aiutino, prima di tutto come individui e poi come comunità territoriali, a ripensare il concetto stesso di identità culturale, ridefinendo in tal modo anche quelli di cittadinanza, di accesso ai diritti, di relazione e convivenza sociale. Nessuno di noi può dirsi certo della propria “identità culturale”. Per ragioni e con modalità molto diverse ciascuno di noi, soprattutto della generazione di cui il gruppo di Potlach Milano fa parte, si trova a mettere continuamente in gioco le proprie identità e il proprio portato di pratiche, di saperi, di abitudini. Ad alcuni è capitato di fare esperienze di vita all’estero, per studio o per lavoro; c’è chi fa parte di una cosiddetta “seconda generazione”; chi, ancora, ha abbandonato il proprio paese di origine e si trova in Italia come richiedente asilo; chi, invece, ha sperimentato un percorso migratorio oggi stabile.

Più semplicemente, al di là delle nostre storie personali, ognuno di noi ha oggi modo di sperimentare un incontro con culture altre nella dimensione della vita quotidiana: ad esempio nel proprio condominio, abitato da famiglie di provenienze molteplici, nella propria strada, nel proprio quartiere. Nell’epoca della globalizzazione ci contaminiamo continuamente, per scelta, per necessità, per caso, per obbligo.

Al tempo stesso, poi, i nostri percorsi di vita sono sempre più precari, così come il nostro radicamento territoriale: cambiamo spesso lavoro e con questo casa, quartiere, città. In altri termini, tutto ciò che concorre a definire la nostra identità – il lavoro, la casa, il territorio che abitiamo, le nostre abitudini sociali, culturali, alimentari – è sempre meno definibile a priori, netto, chiaro ed è invece sempre più oggetto di una negoziazione continua. Tutto questo ci porta a pensare sempre di più all’identità culturale come un processo a fronte del quale, la visione creativa e trasformatrice dell’intercultura intesa come pratica quotidiana, ci offre una chiave di lettura fondamentale per riappropriarci della nostra città. Si tratta di una sfida oggi fondamentale, che sentiamo vicina alla nostra sensibilità e a cui non vogliamo sottrarci. Potlach Milano vuole essere, in questo senso, dispositivo di svelamento ed emersione di queste dinamiche, stimolando una riflessione che è al tempo stesso intima, personale, individuale e pubblica, collettiva, relazionale.

foto 2. Primo incontro del gruppo Potlach al Mercato Lorenteggio

Abbiamo deciso di perseguire questi obiettivi attraverso la costruzione di un collettivo interdisciplinare di video ricerca, attivato tramite una call pubblica e coinvolto in un percorso di formazione. Perché?
Crediamo che l’intercultura non possa per sua natura essere soltanto un “campo di osservazione”: è soprattutto una competenza di cui siamo portatori, spesso inconsapevoli, principalmente noi giovani, cresciuti in un mondo di connessioni e contaminazioni. Abbiamo quindi deciso di metterci in gioco, come gruppo, e di sviluppare prima di tutto tra di noi un processo di ibridazione di saperi, percorsi, visioni sul tema dell’intercultura. E di provare a costruire, al tempo stesso, un percorso condiviso che possa tenere insieme le nostre differenze (e somiglianze) e ibridarle nella costruzione di un prodotto finale ad autorialità collettiva, in cui ciascuno di noi possa ritrovarsi, senza tuttavia perdersi. Abbiamo deciso di provare noi per primi a ragionare su come le nostre visioni sull’intercultura siano diverse, e quanto raccontino di chi siamo e di quali relazioni instauriamo con il mondo che ci circonda, con gli altri, con la nostra città. Ci ispiriamo, in questo senso, alla pratica del potlach, da cui prende il nome il nostro progetto.

Il potlach è un rito diffuso tra le popolazioni native americane, una pratica di scambio, dono e ri-distribuzione delle ricchezze. Questo scambio e confronto vogliamo costruirlo tanto internamente al nostro gruppo, quanto tra noi e la città. Potlach Milano intende essere infatti un percorso che “riceve” in dono il bagaglio conoscitivo dalle pratiche osservate ed esperite, ma che, al tempo stesso, si pone l’obiettivo di allargare, come possibile, le proprie riflessioni alla città. Tanto attraverso l’apertura e la condivisione del proprio percorso, quanto attraverso i propri esiti.

Per questo siamo qui a raccontarvi di noi, delle tappe attraversate finora, dei territori calpestati e scoperti, delle lenti attraverso cui li abbiamo osservati e di come, queste lenti, le abbiamo costruite insieme, come gruppo. Vorremmo condurvi attraverso il percorso che accompagnerà la produzione del prodotto che infine vorremmo restituire alla città: un film a regia collettiva che restituisca almeno in parte la ricchezza di patrimonio interculturale, spesso latente, di cui Milano è portatrice.

La rubrica settimanale “Riprendiamo la città”, ospitata qui su QCode Town, vi condurrà a conoscere meglio il gruppo Potlach e a guardare Milano da punti di vista diversi, forse inaspettati. Vi guideremo attraverso le esplorazioni che hanno contribuito ad alimentare, in questi mesi, la costruzione del nostro gruppo e quella della struttura del documentario.
Negli articoli che seguiranno vi capiterà di leggere riferimenti al “metodo Potlach”: di cosa si tratta? In questi mesi abbiamo costruito la nostra “cassetta degli attrezzi” facendoci guidare da alcune lezioni teoriche, da diversi approcci disciplinari all’intercultura. Per due venerdì di ogni mese abbiamo incontrato antropologi, sociologi, architetti, educatori, artisti, facendo tesoro di ciascuna di queste prospettive. Ma, al tempo stesso, mettendole alla prova della realtà, attraverso le esercitazioni sul campo (che si sono svolte due sabati al mese, da aprile fino a luglio). Le esercitazioni, a loro volta, sono state condotte attraverso pretesti e strumenti diversi: video-interviste, raccolta di audio, fotografia, mappe mentali, giochi di ruolo… dispositivi che abbiamo sperimentato prima su noi stessi, nel gruppo, per poi utilizzarli più consapevolmente una volta “fuori” dal nostro contesto protetto, nella città, con i nostri interlocutori. Questo è, molto semplicemente, il “metodo Potlach”: la cura della relazione con l’altro, l’attenzione allo stupore che può nascere dall’incontro, la commistione di saperi e prospettive.

foto 3. Una delle troupe di Potalch a lavoro sul campo.

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