Riprendiamo la città. Potlach Milano esplora Via Padova #1

Scoprire il Sud America in via Padova

di Giada Mascherin

Esplorazione del 7 maggio 2016

La nostra “casa base” in questo sabato milanese di inizio maggio è la sede del gruppo scout all’interno della parrocchia di S.G. Crisostomo, appena dopo il ponte ferroviario che taglia in due via Padova. L’aria è ancora fresca e la primavera inoltrata, frizzante, lascia lentamente spazio all’arrivo dell’estate. È uno dei primi incontri del gruppo Potlach. Qualcuno è lievemente preoccupato per il luogo in cui si trova, altri sono più a loro agio ed altri, come di consueto, sono in ritardo, o si sono allontanati per prendere il caffè.
Aspettiamo Emma – meglio, è lei che aspetta noi – nella piazzetta di fronte alla chiesa, pronti a partire per il nostro Migrantour. Il progetto, nato alcuni anni fa con lo scopo di far conoscere il lato multiculturale della città di Torino, e che oggi si estende in altre città d’Italia ed Europa, consiste in un tour guidato che permette di esplorare le città attraverso occhi diversi: tramite i racconti dei suoi abitanti, in particolare quelli di origine straniera.
Da diversi anni sento parlare di questa iniziativa: una mia cara amica fa la guida in Paolo Sarpi, il quartiere cinese per eccellenza della città di Milano. Da alcuni mesi, inoltre, sto studiando via Padova per la mia tesi, per cui sono molto curiosa di sapere cosa Emma ci porterà a scoprire oggi! Tacciata da molti anni di essere un ghetto e un quartiere pericoloso, via Padova è da decenni luogo di immigrazione: prima dal nord e poi dal sud Italia e, dagli anni ’90, dai paesi a sud dell’Europa e dell’America. Siamo tutti curiosi di scoprire quale via Padova ci racconterà oggi Emma.

Ritorniamo perciò a inquadrare la nostra guida nel piazzale della chiesa: appare subito molto organizzata. Si nota ben presto che non è una “semplice abitante” ma che ha a tutti gli effetti il fare da guida turistica, di quelle che si trovano in centro, che brandiscono ombrellini apri-fila colorati, seguite da gruppi nutriti di turisti cinesi, russi, americani. Emma ha un microfono, dei fogli illustrativi, un forte accento ispanico ed è spigliata.

Subito, rimango sorpresa dalla sua inclinazione a raccontarci usanze, tradizioni e storie dei popoli sudamericani. È strano… e curioso: è stare a Milano, camminare nella sua via più colorata, a spasso con Emma alla ricerca delle radici colombiane, boliviane, peruviane. A me, sembra che manchi un pezzo. Anzi, vari “pezzi”: dove sono gli egiziani, i filippini, i cinesi, i romeni, i turchi, i marocchini?
Durante la nostra camminata ci fermiamo ad osservare i murales di via Pontano. Emma ci racconta che il luogo è storicamente conosciuto e riconosciuto come una delle storiche vie dell’arte di strada. I murales cambiano con una velocità sorprendente, uno sull’altro si sommano a formare strati di pelle di muro: colorati, sempre differenti, migliori o peggiori di quello precedente.

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Al Parco Trotter, uno dei cuori pulsanti del quartiere, riposiamo le gambe nell’erba ascoltando la storia di questo luogo e quella della sua associazione. Il parco, ci racconta Emma, è nato come ippodromo per il trotto e successivamente è stato riconvertito dal comune a scuola per i bambini gracili e affetti da tubercolosi. Rappresenta ancora oggi una struttura scolastica “modello”, grazie ai suoi padiglioni collocati nel verde. Durante l’orario extrascolastico il parco è aperto alla cittadinanza, diventando la meta di ritrovo non solo di bambini e adolescenti, ma anche di famiglie e gruppi nazionali diversi. Un vero e proprio, se non l’unico, luogo di incontro pubblico di questo primo tratto della via. Le attività organizzate dall’associazione che opera al suo interno, inoltre, lo rendono ancora di più un luogo di incontro, scambio e apprendimento reciproco.
Alcuni di noi si guardano in giro, curiosi, e i passanti guardano noi, a loro volta incuriositi da questo gruppo eterogeneo e colorato, guidato da una simpatica ragazza boliviana. Di tanto in tanto, nelle nostre tappe qualcuno si accoda ad ascoltare. Essendoci incontrati poche settimane prima e sapendo che non tutti sono stati presenti, non abbiamo il coraggio, di volta in volta, di chiedere: “tu sei quello nuovo?” oppure “tu sei imbucato?”; così, ci teniamo la curiosità, vedendo aumentare e diminuire il gruppo di volta in volta, di storia in storia.
Scopriamo la storia di Giorgio Chavez, a cui è intitolata una delle traverse della via, aviatore di origini peruviane, per primo riuscì a valicare in volo le Alpi e morì proprio nell’incidente a seguito di quella stessa, ardua e sorprendente impresa.

Entriamo poi in uno dei più quotati mini-market della via: un’unica stanza che dà l’impressione di essere troppo piccola per tutte le cose che vuole contenere. Il cibo è disposto negli scaffali, raggruppato per provenienza: c’è la colonna dei prodotti italiani e poi cinesi, egiziani, peruviani, colombiani. Ci sono frutti che non ho mai visto e verdure che non ho mai assaggiato.

Per la nostra gioia, dato anche l’orario, Emma apre un pacco di patatine che si rivelano essere delle chips di platano. Molti di noi, me compresa, sembrano non averle mai provate. Hanno un sapore particolare, decisamente agrodolce. Veniamo poi a conoscenza degli effetti benefici dati dalla masticazione delle foglie di coca: per ovvi motivi, difficilmente si trovano in Italia, ma in Sudamerica sono molto utilizzate per le loro molteplici proprietà: anestetico contro il mal di testa, reumatismi, ferite, miglioramento della digestione e come afrodisiaco.
Aspetto da tutta la mattina di assaggiare il tè, so che durante questo giro è una tappa fissa, l’ho visto anche nel video promozionale del tour e penso che, magari, la prossima meta sarà quella buona! Purtroppo per noi, invece, la prossima tappa, che è anche l’ultima, non si può fare! Il negozio di pignatte è chiuso e per questa volta non vedremo i tradizionali e divertenti giochi, molto utilizzati nelle feste sudamericane.

Il tunnel sotto la ferrovia che separa in due via Padova

Finiamo questo viaggio in via Padova, ringraziando la nostra guida e portandoci a casa un po’ di conoscenze in più sulla cultura e sulle usanze sudamericane. Ma, insieme, anche il dubbio di non aver scoperto del tutto la via e i diversi luoghi che la caratterizzano. D’altro canto, via Padova è un universo talmente ricco e complesso che appare difficile poterlo conoscere in un’ora di camminata. Nelle parole e nel racconto di Emma abbiamo percepito il bisogno di non sminuire agli occhi degli altri le proprie origini, ma di portarle con fierezza e onore a farle conoscere. Un bisogno che, allo stesso tempo si trasforma in piccolo business e prova a vendersi, per farsi conoscere ed accettare.

Probabilmente, colti da questa voglia di continuare ad esplorare altre via Padova – e dalla fame – ci dividiamo in piccoli gruppi. Ci ritroviamo poi, dopo qualche ora, nella nostra “casa base” scoprendo di aver pranzato con le varie cucine del mondo che popolano la via: chi con i falafel e la crema di ceci, chi si è abbuffato dall’iraniano, chi è andato dal filippino e chi dal cinese. Ci siamo ritrovati, probabilmente, ad aver condiviso questa nostalgica voglia di scoperta che, anche noi ricalcando lo stereotipo dei “buoni italiani”, abbiamo colmato in uno dei modi che meglio sappiamo fare: seduti a tavola!
Ah e poi, abbiamo scoperto che Emma non vive in via Padova, ma in zona Maciachini.
Chissà come ce lo racconterebbe, piazzale Maciachini.

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