Asfalto – Numero Zero

di Federico Cassani e Carlotta Bonvicini – MIC | Mobility in Chain

Asfalto? Perché una rubrica, composta da una serie di articoli sulla città contemporanea si dovrebbe chiamare “asfalto”?

Il realtà il motivo è molto semplice: l’asfalto è la caratteristica che accomuna tutte le città del mondo, onnipresente e in continua, inarrestabile, espansione. Tutti parlano dei problemi degli effetti dirompenti della congestione, dell’inquinamento e della presenza magmatica del traffico veicolare come il grande dramma delle città contemporanee. Pochi, se non nessuno, si soffermano sull’impatto che asfaltare il territorio ha avuto sull’ambiente. L’asfalto è passato indisturbato, in sordina, senza che nessuno alzasse il dito per bloccarne l’avanzata. Paradossalmente, la percentuale di strade asfaltate è uno degli indicatori utilizzati dalla Banca Mondiale per definire il grado di sviluppo delle infrastrutture di un paese.

La verità è che l’asfalto è il perfetto esempio della potenza economica e mediatica della lobby del petrolio. L’asfalto (conglomerato di aggregati rocciosi e sabbia legati da un composto bituminoso – derivato dal petrolio) è perfetto come superficie di scorrimento dei pneumatici (elastomero derivato dal petrolio) per rendere la diffusione e l’utilizzo delle automobili (a petrolio) più facile e confortevole.

I danni causati dall’uso estensivo (e molto spesso improprio) di questo materiale nelle costruzioni (non solo di strade, pensiamo alle distese sterminate dei parcheggi dei centri commerciali e degli aeroporti) sono molteplici. Il primo, e forse il più importante è l’impermeabilità all’acqua. Questo provoca l’inaridimento del terreno e il reflusso delle acque che non possono più penetrare e disperdersi naturalmente nel suolo (non a caso gli allagamenti ed i disastri legati alle alluvioni sono sempre più ricorrenti e devastanti). L’acqua, che normalmente viene assorbita dalle piante o dalla falda, trovando sfogo nei ruscelli, nei fiumi, nei laghi; ora, nel migliore dei casi, viene convogliata nelle fognature, dove il contatto con agenti inquinanti e composti organici volatili è inevitabile. Queste acque inquinate vanno a poi a finire comunque nelle acque di falda, contaminandone irrimediabilmente il ciclo vitale.

Va inoltre ricordato che l’asfalto assorbe calore e lo irradia nell’ambiente circostante, contribuendo al riscaldamento locale e globale. Il miscuglio chimico di base dell’asfalto delle pavimentazioni ha una altissima proprietà termica che assorbe il calore solare, per poi rilasciarlo lentamente, creando l’effetto isola di calore (heat island effect). Le temperature di molte città, a causa di questo fenomeno, possono superare di oltre dieci gradi le temperature della stessa località in aperta campagna.

Perché allora l’asfalto, dannoso e non sostenibile, ha avuto così grande successo? I motivi sono ovviamente molteplici e complessi, e non solo legati all’effettiva necessità di rendere fluido e confortevole il traffico veicolare.

La verità è che per molti anni lo spazio “strada” è stato terra di nessuno a livello progettuale. Gli architetti si sono sempre più concentrati sull’edificio, sulla qualità (e sostenibilità) della scatola, i paesaggisti si sono specializzati in tutto ciò che è verde, mentre gli ingegneri del traffico si sono concentrati sul fluidificare i volumi di traffico, sul miglioramento dei livelli di servizio e sul rapporto volume di traffico – capacità stradale. Le strade, a parte in casi molto particolari e residuali rispetto ai km di rete in cui si è sviluppato un disegno di arredo urbano, sono rimaste ai margini dell’esercizio progettuale, centuplicate in serie senza qualità e senza effettiva relazione con il contesto.

Questa serie di articoli e di riflessioni vogliono rappresentare un modo di ripensare e progettare lo spazio strada in cui essa stessa sia al centro del percorso, in cui non esista necessariamente una esplicita dicotomia tra zone di qualità per il passeggio e zone di traffico, centro e periferia, qualità e quantità.

La visione che vogliamo dare in questi racconti è di un approccio diverso, di una città contemporanea in cui la mobilità non è infrastruttura, ma servizio di qualità; dove il passato fatto di infrastrutture e di canali di traffico (fluidodinamica) diventi il futuro fatto di spazi pubblici e di spazi per vivere, non da attraversare (flow-design). Una visione, seppur piccola, di rivoluzione urbana, di liberazione dall’Asfalto.

 

MIC | Mobility in Chain è una società fondata nel 2009 a Milano da Davide Boazzi, Federico Cassani e Federico Parolotto, creata con l’ambizione di migliorare la qualità delle città in cui viviamo grazie ad una profonda comprensione del fenomeno della mobilità, intesa come elemento chiave per la qualità degli spazi urbani. Collaborando con Enti Pubblici e Privati, MIC propone una visione innovativa della mobilità basata sulla comprensione delle necessità degli utenti, sull’analisi degli aspetti funzionali e qualitativi delle città, e fornisce consulenza su tutti gli aspetti relativi ai trasporti, dagli studi di traffico alla progettazione stradale. Attualmente MIC ha due sedi, una a Milano e una a Mosca, e ha progetti attivi un po’ in tutto il mondo.

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