Messico: la corruzione quotidiana

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3 Febbraio 2020

Una brutta avventura, una situazione complessa, un paese bello e difficile

Città del Messico. Prime ore del mattino, la notte giunge al termine. Con un gruppo di amici, dopo qualche birra in un locale, nessuno ci chiede il conto: decidiamo di uscire senza pagare. Non che pagare un conto di circa 2 euro a testa sia un problema, però non l’abbiamo mai fatto e l’idea ha quel sapore di stupida avventura che potrebbe essere una storia divertente da raccontare.

Usciamo, ma decidiamo di non chiamare Uber, sostando davanti al locale. Avremmo potuto dare nell’occhio ed essere beccati dai proprietari, così ci spostiamo di qualche metro sulla sinistra, in una strada secondaria e scarsamente illuminata.

Una serie di mosse tutt’altro che intelligenti, soprattutto se fatte in un paese che conta un alto tasso di corruzione, crimini violenti e sparizioni. Il mio amico ha già aperto l’app di Uber e sta per prenotare la corsa che ci porterà all’appartamento. Questa volta, però, la stupidità vince la battaglia con la fortuna che non ci bacia.

Un solo istante in più e la corsa sarebbe stata prenotata, pochi minuti in più e il tassista sarebbe arrivato per portarci a casa. Quell’istante e quei pochi minuti non ci vengono concessi. Una camionetta passa, ci vede e si ferma.

Quattro poliziotti con armi e giubbotti antiproiettili scendono. Si dirigono verso di noi ordinandoci di tirare fuori tutto ciò che abbiamo nelle tasche. Sono convinto di non avere niente. Mi sbaglio. Il primo agente perquisendomi trova dei rimasugli di marijuana.

Maledizione, pensavo di aver lasciato tutta a casa quella che era già una piccolissima quantità di marijuana che un amico messicano, conosciuto da uno del nostro gruppo durante l’anno di studio in California, aveva deciso di darci come una sorta di regalo di benvenuto in Messico. Ma no, a quanto pare delle foglioline minuscole si erano sbriciolate rimanendo nei pantaloni.

Senza tanti giri di parole ci chiede 20 mila pesos (circa 950 euro) o ci caricano tutti e quattro sulla camionetta. Stando alla depenalizzazione del 2009, alla polizia non è consentito né arrestare né multare chi viene trovato in possesso di una quantità di marijuana inferiore ai 5 grammi. Tuttavia, non sembra che a loro importi molto.

Mi volto a sinistra e vedo uno degli agenti spingere un mio amico con le braccia contro il muro perquisendo anche lui. Un altro torna nel veicolo a prendere il mitra. Un quarto se ne sta dietro, in disparte, è giovane e non sembra convinto di quello che i colleghi stanno facendo. Ci frughiamo nelle tasche, nei portafogli, ovunque: 20mila pesos noi non li abbiamo. Arriviamo a malapena a 2 mila.

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Mexico: los otros desaparecidos

Il rapporto di Human Rights Watch

Sono oltre 37 mila i desaparecidos, a cui si aggiungono circa 26 mila corpi ritrovati in fosse comuni a cui non è stata data un’identità.

Queste le cifre riportate da Human Rights Watch, cifre che mostrano la ferocia di un sistema in cui spesso le forze di polizia locale vanno a braccetto con i potenti cartelli della droga. Alla base di questa corruttibilità e alla facilità con cui i narcos riescono a sviluppare in maniera tentacolare seducenti radici all’interno della società c’è la povertà.

Infatti, nonostante il Messico sia la 15esima economia mondiale, vivono sotto la soglia di povertà ben 52.2 milioni di persone, ovvero il 41.9% della popolazione, secondo le stime pubblicate il 31 luglio 2019 dal Coneval (Consejo Nacional de Evaluación de la Política de Desarrollo Social).

Gli stessi agenti di polizia percepiscono stipendi che a malapena possono coprire le spese essenziali della loro famiglia, a cui si aggiungono i costi per l’equipaggiamento e la manutenzione del veicolo che spesso sono a loro carico. Così la pratica di fermare le persone per piccole o presunte violazioni della legge e barattare un incerto futuro per una mordida (mazzetta) diventa un fenomeno alquanto comune.

A questo si somma il legame che talvolta lega i poliziotti e i gruppi del narcotraffico. Perché se esistono degli individui a cui i soldi non mancano, quelli sono proprio i membri dei cartelli della droga, ai quali la cocaina fa confluire nelle tasche quantità immani di denaro. Per capire le possibilità di guadagno generata dalla cocaina,

Roberto Saviano in ZeroZeroZero riporta un esempio eclatante: se avessi investito mille euro in azioni Apple nel 2012 (anno in cui è diventata la società più capitalizzata della storia con un rialzo del 67% in borsa) ti saresti ritrovato dopo un anno con 1670 euro in banca; investendo la stessa somma in cocaina, nei 12 mesi successivi il tuo portafoglio sarebbe cresciuto fino 182mila euro.

Un potere economico smisurato che si trasforma in un potere sociale e politico temibile quanto fascinoso. I re del narcotraffico sono in grado di stipendiare il silenzio, la connivenza, il supporto di giudici, politici, poliziotti. Ci sono intere aree del Messico in cui le figure istituzionali non ubbidiscono alle leggi dello stato, e avrebbero difficoltà a fare altrimenti, ma alle leggi dei narcos. Così anche i poliziotti, le figure che forse più di tutte sono associate alla tutela della nostra quotidianità dalle ingiustizie, nel paradosso più spaventoso diventano loro stessi il principio di sventure. E qui non parliamo di mele marce, mele marce che esistono in tutti i paesi e in tutti gli ambienti lavorativi.

Parliamo di una corruzione endemica che attraversa il sistema, rendendolo instabile e facendo sì che l’applicazione delle leggi vigenti sia ostacolata. L’arresto nel dicembre del 2019 di Gennaro Garcia Luna, prima capo della polizia federale (2001-2005) poi ministro della pubblica sicurezza (2006-2012), ne è la più chiara esemplificazione.

L’accusa è di aver preso mazzette per milioni di dollari dal cartello di Sinaloa, allora guidato da “El Chapo”, in cambio del libero movimento delle loro partite di droga e di informazioni sulle investigazioni. Garcia Luna, uno delle massime istituzioni e dei volti più noti nella lotta ai narcos, viene arrestato proprio per presunti legami con i narcos.

Una notizia che ha dell’assurdo e che ha scioccato persino un paese fin troppo abituato a fenomeni di corruzione come il Messico. Nella lista degli episodi di maggior impatto rientra sicuramente anche l’arresto, con un’operazione militare nel settembre del 2018, di quasi l’intero dipartimento della polizia locale di Acapulco: 700 uomini delle forze dell’ordine disarmati e posti sotto indagine per il sospetto di legami con la criminalità organizzata.

Eventi che mostrano il potere travolgente che i gruppi criminali hanno di minare le istituzioni. A riprova della gravità del livello di corruzione sono le conseguenze a cui i legami tra forze dell’ordine e narcos portano.

Il caso più emblematico è forse quello degli studenti che nel settembre del 2014, mentre erano in viaggio verso Città del Messico, furono attaccati dalla polizia di Iguala. Oltre ai morti e i feriti, 43 ragazzi vennero presi in custodia per poi essere consegnati dagli agenti stessi alla gang Guerreros Unidos, che li avrebbe uccisi, bruciati, infine ne avrebbe spezzettato le ossa e gettato i resti nel fiume. Sembra inoltre che il mandante fosse proprio il sindaco della città di Iguala.

Le indagini procedono lente, con gravi omissioni e continue mancanze da parte delle autorità adibite a far luce, a portar verità e giustizia. Questi episodi hanno ottenuto grande risalto mediatico e hanno scosso le coscienze di tutto il mondo. Non sono però che il simbolo fragoroso di una quotidianità che, in maniera più o meno diretta, pesa sulle vite di tutti messicani. Molti cittadini sono esasperati di fronte alle svariate violazioni e ai numerosi crimini commessi dalle autorità.

Fra la popolazione, infatti, la sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine raggiunge livelli altissimi. La lotta ai gruppi criminali e alla corruzione rimane in cima all’agenda politica dei vari governi che si susseguono di mandato in mandato. Molti sostengono la necessità di riformare la polizia, partendo da un aumento dei fondi e degli stipendi degli agenti, nella speranza di allentare la tenaglia economica che cattura parte della polizia nella morsa dei narcos. È chiaro a tutti che la situazione è complessa e ciò non può bastare.

La strada da percorrere è lunga e i percorsi da battere molteplici per estirpare un problema che va ben oltre la mancanza di sufficiente denaro nelle finanze della polizia. Lo studio e l’analisi dei veleni che infettano la democrazia messicana è essenziale poiché, per usare le parole di Saviano, “chi non conosce il Messico non può capire come funziona oggi la ricchezza su questo pianeta. Chi ignora il Messico non capirà mai il destino delle democrazie trasfigurate dai flussi del narcotraffico”.

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Multidimensional Measurement of poverty in Mexico

Il rapporo di Coneval

“Duemila non bastano”, mi risponde il poliziotto mentre mi afferra il braccio e la schiena cercando di trascinarmi verso la camionetta. Lo scenario migliore a cui riesco a pensare è che davvero ci portino tutti e quattro alla stazione di polizia.

Ma il fatto che vogliano arrestare tutti anche se hanno trovato una infinitesimale quantità solo su di uno, che vogliano farlo dopo averci chiesto una mazzetta e in aggiunta a ciò che la quantità sia nettamente inferiore al limite massimo dei cinque grammi, mi fa concludere che lo scenario che si presenterebbe potrebbe essere diverso e ben più fuori dai confini della legge.

Pensieri che paralizzano. E in questo assurdo gioco, mentre pianto i piedi a terra e spingo la schiena indietro, passa un ragazzo messicano con cui uno del nostro gruppo ha scherzato pochi minuti prima che uscissimo dal pub. Ci rivolgiamo tutti con lo sguardo a lui. Lo imploriamo di aiutarci. Io gli chiedo di prestarci dei soldi. Si rifiuta, niente soldi. Ci guarda, però rimane a distanza. Dopo qualche tentennamento finalmente decide di avvicinarsi.

Prende in disparte il poliziotto che ha appena tentato di trascinarmi sulla camionetta. Li seguo con lo sguardo e poi lo rivolgo ai miei amici, poi di nuovo a quei due e poi ancora ai miei amici in un movimento frenetico della testa. Guardo i miei amici per avere un qualche conforto e quei due in disparte perché l’attesa mi sta uccidendo e vorrei capire cosa si stiano dicendo, anticipare come tutto si concluderà. Il poliziotto mi richiama. Mi avvicino a lui e al ragazzo messicano.

“Tranquillo, finirà bene. Ma dagli proprio tutto quello che avete”, mi sussurra in inglese per evitare che l’agente capisca. Tiro fuori il portafoglio e agitato gli do tutte le banconote, ma non si fida. Pensa che ne stia nascondendo alcune. Me lo strappa di mano e razzola tutto ciò che c’è. Me lo ridà e con un semplice cenno di testa mi congeda. La sensazione di sollievo è enorme: il tempo di abbracciare colui che ci ha salvato la pelle e l’Uber è qui. Siamo a casa, anche per questa volta.