In sociologia, una diade (dal greco: δυάς – Dyas, “coppia”) è un gruppo di due persone, il più piccolo gruppo sociale possibile. Come aggettivo, “diadica” descrive la loro interazione.
Diadiche è un progetto che nasce con la volontà, nel formato dell’intervista, di interagire con l’anima in rivolta del Nord Africa e del Medio Oriente. Diadiche, ciclicamente, sarà un confronto con persone comuni che partecipano ai movimenti per la dignità e il cambiamento che non sono cessati nel 2011, anzi, che ne rappresentano lo spirito più forte: si può fare.
Ecco che, protette dall’anonimato quando sarà necessario, senza essere leader o volti e nomi conosciuti, si rintracceranno (per lasciare traccia) voci, vite e storie di persone che non si sono arrese al giudizio dei media e delle analisi d’Occidente. Non era primavera, nel 2011, ma non è rimasto solo inverno oggi. Buona lettura, perché queste persone lottano per le loro idee in contesti difficili e meritano di essere ascoltate.
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Sarah è un’insegnante di Teheran. La chiameremo Sarah, per la sua sicurezza. Ha sempre lottato per un Iran diverso, fin dai tempi del 2009, quando il mondo ribattezzò come ‘rivoluzione del braccialetti verdi’ la grande insurrezione popolare che chiedeva conto al regime di Ahmadinejad dei brogli elettorali.
Convinta, come tanti altri, che un cambiamento deve arrivare dall’interno della società iraniana perché, come si è visto in altre parti della regione e del mondo, il cambiamento esterno non funziona.
La rivolta del 2009, per tanti versi, assieme al discorso dell’allora presidente Usa Barack Obama all’università al-Azhar del Cairo, ha ispirato un’intera generazione che nel 2011 ha tentato di cambiare le sorti (con alterne fortune) di tante regioni del Medio Oriente e del Nord Africa.
In Iran quel movimento venne duramente represso. Le cifre ufficiali non le conosce nessuno, ma tra vittime e arresti la situazione tornò sotto il controllo del regime.
In questi anni le proteste non sono mancate, almeno quanto le tensioni con la comunità internazionale, che però sotto la gestione Obama in Usa era arrivata a una sorta di normalizzazione dei rapporti, che aveva spinto il regime iraniano a diventare un attore di nuovo influente nella scena internazionale, con i suoi interventi in Siria, il controllo dell’Iraq oltre al legame solido con Hezbollah in Libano e all’influenza sulla situazione in Yemen.
Il tutto nel nome di una costante tensione con l’Arabia Saudita per la supremazia regionale. Con l’amministrazione Trump le cose son precipitate di nuovo. E mesi fa, in strada, si è rivista una protesta solida, censurata, repressa.
E’ stato poi il momento dell’omicidio mirato di Qasem Soleimani, a Baghdad, capo della Niru-ye Qods, l’unità delle Guardiani della Rivoluzione responsabile per la diffusione dell’ideologia khomeinista fuori dalla Repubblica Islamica, all’inizio di quest’anno e la precedente rottura delle relazioni sul programma nucleare iraniano hanno creato un abisso tra Teheran e Washington, lasciando sempre più isolato l’Iran e la sua popolazione sempre più insofferente.
“Sono stati mesi terribili, veniamo da due anni terribili. Un clima bruttissimo, di rassegnazione, di rabbia: le persone sono in crisi. Tutto il sistema lavorativo, familiare, è in crisi con le nuove sanzioni, l’inflazione e l’ultima botta è arrivata a novembre 2019, quando hanno tolto i sussidi alla benzina. Tutti cercano di sopravvivere usando Snap, un’applicazione tipo Uber, per improvvisarsi tassisti perché non hanno altro. Il nostro è un mondo che, da tutti i punti di vista, ruota attorno al petrolio, alla benzina. Il suo prezzo è triplicato, ogni macchina riceve 60 litri al mese, il resto al mercato libero. Questo ha provocato le proteste dello scorso anno, si sono contate almeno 1500 vittime. In particolare nei sobborghi, a Teheran, e nei villaggi.”
“In città sono tutti stanchi, terrorizzati, come se si aspettassero che i disperati arrivassero anche nei quartieri alti. La piccola borghesia, la classe media, vive con questo incubo.”
“Che si aggiunge alla microcriminalità, che è molto diffusa adesso. E sempre la classe media è rimasta sconvolta di fronte a quello che è accaduto con il volo ucraino.”
La storia è nota. Nelle ore successive all’omicidio di Soleimani a Baghdad, e del tentato omicidio quasi contemporaneo di un altro leader dei Guardiani della Rivoluzioni in Yemen, le forze armate iraniane hanno abbattuto per errore con due missili un aereo ucraino di linea pieno di cittadini iraniani. Uccidendoli tutti.
“E’ stato sconvolgente: la classe media si rispecchiava in quelle vittime. Quel minimo di sentimento nazionale che l’omicidio di Soleimani aveva scatenato, è svanito dopo le bugie rispetto all’aereo. Odio reciproco, questo c’è oggi. Un paese spaccato tra chi è legato al regime, sempre meno, e il resto della popolazione. Ci si guarda in cagnesco. A me è capitato il giorno del funerale di Soleimani, mentre andavo in macchina con amico, ascoltando musica, con un cappellino e senza il foulard, ho incrociato lo sguardo di una famiglia, di una donna in particolare: lei indossava il chador e portava la bandierina iraniana, per andare al funerale di Soleimani.”
“E ho visto che mi odiava. Io non li odio, loro odiano noi.”
“Quanto accaduto a Baghdad ha compattato una parte del paese, ma dopo l’aereo tutto quello che era successo in Iraq è diventato meno importate. Tantissime persone che il primo giorno hanno parlato del loro cordoglio per Soleimani sui social, definendolo un eroe che aveva affrontato e fermato Daesh, il giorno dopo ha cancellato tutto. La tv, per tre giorni, ha tentato di insabbiare il fatto che fosse stato un missile iraniano, anzi due. Per ore decine di esperti e piloti hanno sfilato nei canali nazionali di informazione per dire che non era stata colpa loro.
Il missile potrebbe essere stato un errore, la colpa più grande del governo è la menzogna. Per tre giorni lo sapevano e hanno mentito. Tra le mie amiche c’è una ragazza che ha perso una zia su quell’aereo: per lei e per tutti gli altri familiari quei tre giorni di menzogne hanno generato una grande indignazione. Orribile. Un errore, ok, ma non puoi mentire. Questa sfiducia arriva anche nel momento drammatico della crisi economica, con gli animi già focosi. Arriva il Nowrooz, il capodanno persiano, il 21 marzo: subito dopo cresceranno i prezzi e la gente non ce la fa più. Non si trovano alcuni farmaci e altre cose. In un shopping mall ho tentato di comprare un elettrodomestico, ma mi hanno detto che non ne hanno: li tengono per decoro in esposizione. Alcune aziende, come Samsug e IG, vanno via, altre come la APPLE, per le sanzioni, non permette di scaricare nulla. Il regime, dopo Ahmadinejad, ha abituato il popolo al consumismo e ora non c’è più.”
“Le persone hanno imparato a desiderare delle cose che non si possono permettere.”
“Questo non vale per una ristretta cerchia di ultra ricchi, che possono permettersi appartamenti costosi come fossero a Manatthan, ma questa era la rivoluzione dei diseredati, questo è il fallimento della loro stessa anima. Va bene solo per un gruppo ristrettissimo, 5 milioni di privilegiati. Per gli altri è un completo fiasco. Subito dopo quello che è successo, per altro, le alluvioni hanno devastato la regione del Sistan ua Balucistan: intere comunità abbandonate a loro stesse. Nessuna autorità ha mosso un dito. Ultimo caso è quello del Corona virus: nessuno si fida di quanto dicono le autorità, che sapevano benissimo che il focolaio riscontrato era nella città di Qom, molto importante per i religiosi, e non l’hanno chiusa così come non hanno bloccato i voli da e per Wuhan, in Cina, almeno quelli della compagnia Mahan, che è di proprietà dei Guardiani della Rivoluzione. [L’intervista è stata realizzata prima che i dati dimostrassero come l’Iran è uno dei paesi maggiormente colpiti dalla diffusione del virus ndr] La situazione è satura.”
Ma quali sono le possibili alternative?
“La situazione è molto grave, il paese profondamente diviso. Tante persone entrano ed escono di galera: attivisti, sindacalisti, politici. Condannano a morte gli arabi e i curdi, non possono continuare così, andremo verso un conflitto. Isolati politicamente ed economicamente.
Il voto parlamentare dei giorni scorsi lo ha confermato: una partecipazione scarsa come mai in passato. Crisi economica, politica, morale. Il Consiglio dei Guardiani ha impedito la candidatura di molti riformisti, fanno elezioni tra di loro, neanche coinvolgendo i pochi che ancora pensano che si possa riformare il sistema dall’interno, ma non hanno un candidato.”
“Un sistema che non tollera alcuna differenza, alcuna pluralità: o così e andate via.”
“Anche la società civile, però, è divisa. Un esempio è stato il festival di cinema, teatro e musica per l’anniversario della rivoluzione: tantissimi artisti e gruppi hanno boicottato il festival, altri non sono andati. Scontro tra gli intellettuali e il regime, ma anche scontro tra di loro: per alcuni non serve boicottare, perché l’autocensura non serve a nulla, per altri è ora di dire basta. Non c’è unità d’intenti e il futuro è complesso.”