Penne lisce – 6

di

13 Marzo 2020

Il contagio delle storie – 6

Convinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.

Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.

Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.

 

Il contagio delle storie – 6

Penne lisce – Federico Gaudimundo

 

Un tempo quando in macchina dovevi recarti in un posto sconosciuto o avevi sbagliato strada, dopo averle provate tutte, mettevi da parte il tuo orgoglio di maschio capace di orientarsi, ti guardavi intorno e se la sorte ti regalava un passante, accostavi, abbassavi il finestrino e chiedevi con gentilezza: “scusi, via Ponte Amiata Generoso?”

Se avevi fortuna (ma il più delle volte era così) il passante con competenza e gentilezza ti spiegava pazientemente come raggiungere la meta.

“Guardi se lei va sempre dritto, dopo due semafori trova un benzinaio sulla sinistra. Subito dopo giri a destra, dopo 300 metri a sinistra, all’altezza del cavalcavia (?) vede un’edicola. La superi e giri ancora a destra. Al secondo semaforo a sinistra è arrivato in via Ponte Amiata.”

“Generoso?”

“si. Ponte Amiata”

“Generoso”

“Generoso”.

“Grazie”. “Si figuri”

“ma non era il Monte, tra l’altro?”

“questo è il Ponte”

“ok, grazie”

In questa banale, ma strepitosa relazione sociale c’era un po’ tutto. Competenza, gentilezza, aiuto. E niente più del necessario.

Un legame breve, momentaneo ma per certi versi solidissimo nella sua provvisorietà.

Poi qualcosa è cambiato.

Le strade hanno smesso di essere un problema e non c’è bisogno più di chiedere a nessuno per raggiungere un posto.

Ma ci sono altre strade faticose da percorrere. In questi giorni:

ALTO IL RISCHIO PANDEMIA – IL CORONAVIRUS SVUOTA I CIELI ITALIANI

PROVE TECNICHE DI STRAGE, ITALIA INFETTA, IL NORD NELLA PAURA.

E poi ancora:

VIRUS: ORA SI ESAGERA (?)

Poi c’è il virologo che dice che è solo l’influenza. E il suo collega che dice che stiamo rischiando la Pandemia. Poi ne arriva un altro: Influenza, ma pandemica.

E poi c’è la conta quotidiana. I morti, i contagiati, i sani, i vivi, noi.

Noi. Che abbiamo fatto noi? Abbiamo visto svuotare gli scaffali, la sbronza di Amuchina e abbiamo sentito le voci inoltrate nelle nostre chat tra amici, da Garbagnate, da Palermo, da Bari, da Parma: Hanno perso il controllo del Virus – non ci dicono la verità! – Stanno mettendo in isolamento Milano – e mille altre voci ora buffe, ora eccitate, ora disperate. E sempre noi ci abbiamo riso di gusto. Abbiamo misurato nel mondo reale la distanza che, come sperimentiamo ogni giorno sui social media, ci separa dagli “altri”. Quelli che si esprimono in maniera elementare, ignorano i toni di grigio, che parlano con le budella e disprezzano chi non riconoscono come simile. Ci ha divertito vederli persi, sgomenti, spaventati soldati abbandonati da tutti nel momento in cui nessuno sa da che parte andare. 

Capitano!Capitano! ci dica dove andare per via Ponte Amiata!

Nessuna risposta. 

Abbiamo sorriso del loro sgomento, della loro inadeguatezza e della loro paura.

Ma poi è successo altro.

Le nostre compagne hanno sospirato una volta in più. I nostri genitori, i nostri nonni ci chiamano più spesso. Ci hanno riferito quella notizia. Ma è una persona di cui ci fidiamo.

Qualcosa si è spostato. Impercettibilmente. Ma anche in maniera evidente.

È passato del tempo e non riesco più a ridere degli altri. Ho gli strumenti per capire alcune cose. Per ora

Una delle cose che ho capito ad esempio è che quella distanza che forse non fa bene nemmeno a me, è il caso che diminuisca. Non so se ho davvero gli strumenti per farlo ma quello che sento è che mi spetta. Non lasciare che la signora di Garbagnate scateni l’agitazione tra i suoi familiari che il panico oscuri le voci equilibrate. Mi compete, finché sono in grado, prendermi cura di chi fatica a distinguere una notizia verificata da una falsa, di chi si precipita a svuotare l’Esselunga, di chi non sa a chi affidare la propria salute, di chi semplicemente ha paura più di quanta ne abbia io.

Ho capito che non lasciare le persone sole, in balia degli eventi, come penne lisce dimenticate nel vuoto dello scaffale del supermercato è anche compito mio. È la mia cura del mondo. Della comunità.

Non so se sono in grado di colmare tutta la distanza tra me e gli altri. So però che se non mi ci metto, anche per me, Via Ponte Amiata diventerà presto introvabile.