Si può, sai, stando qui/stando molto fermi/sostenere una stella – 11

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19 Marzo 2020

Il contagio delle storie – 11

Convinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.

Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.

Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.

Il contagio delle storie – 11

Si può, sai, stando qui/stando molto fermi/sostenere una stella – Elena Maranghi

 

Dal 22 febbraio non sono a Milano.
Sono partita con l’idea di passare il week-end, come al solito, nella città dove vive il mio compagno. Il week-end però si è trasformato in 16 giorni – a oggi, mentre scrivo – di convivenza “forzata”. Ho avuto la fortuna di poter lavorare da casa, così per limitare gli spostamenti sono rimasta lontano da Milano.

Nella casa dove siamo attualmente non c’è la lavatrice e così sono ormai 16 giorni che lavo a mano le quattro cose che avevo portato con me per il fine settimana. E per una volta benedico i miei zaini sempre troppo pieni “perché non si sa mai”.

L’idea del trasferimento in quest’altra città era nell’aria da un po’, ma certo non pensavo che le cose sarebbero andate così. Tante domande sul come e sul quando sono improvvisamente naufragate nella realtà, costringendomi a smettere di fare programmi.

E così l’ho vista da lontano, Milano, alle prese con l’emergenza. E per la prima volta dopo molti anni è stata capace di stupirmi di nuovo, come quando ci sono arrivata, 7 anni fa.

E penso che stavolta davvero abbia qualcosa da dirci, a tutti. All’inizio, è arrivato quel video “Milano non si ferma”. Sembrava l’ennesima riprova del dominio di una certa immagine della città, quell’immagine che mi ha fatto diventare Milano insopportabile, negli ultimi tempi. Una città sempre in corsa, che non sbaglia mai, che non tollera l’esitazione; che consuma risorse, vite, aria, senza sapere bene verso quale direzione sta andando.

Una città che dimentica parti intere di sé stessa, quelle più povere, quelle non stanno al passo. Una città fondamentalmente ingiusta. Creativa, a tratti anche bella. Ma ingiusta.

Quell’immagine però è durata poco. Si è afflosciata su se stessa. Tutti si sono resi conto, presto o tardi, che questa volta non avrebbe funzionato, che quell’immagine non poteva essere l’antidoto per tutto.

Di fronte alla paura, di fronte al bisogno di cura – di sé e degli altri – e al senso di responsabilità che ne deriva, quel modello non poteva proprio funzionare. Ed ecco che Milano ha rallentato, incredibilmente, contro ogni previsione. E in certi casi si è proprio fermata.

Nel vuoto apparente che si è generato sono emerse piano piano, senza fare troppo chiasso, le parti migliori della creatività, dell’essere attivi che la caratterizzano. Parti che ci sono sempre state, anche nel caos della Milano iper-attiva, ma che in questo silenzio un po’ spettrale hanno un’eco più forte. Le librerie che consegnano a domicilio, i condomini che si organizzano per fare la spesa alle persone più “a rischio”, varie istituzioni culturali che mettono a disposizione i propri contenuti
online… Una seri di gesti piccoli, fatti di gratuità e attenzione, di una solidarietà che stavolta non è guidata da nessuna etichetta.

Nessuna innovazione sociale, nessun “modello Milano”, nessun #milanononsiferma. Semplicemente azioni quotidiane che non hanno bisogno di darsi un nome, di diventare altro. Stanno, sono, accadono, giorno per giorno, pezzetto per pezzetto.

Proprio Milano, che a fermarsi non è stata capace mai, ci indica che è possibile, si può e che farlo non significa necessariamente chiudersi in se stessi. Non era così scontato.

Certo star fermi vuol dire per forza essere lontani da qualcosa. Ed essere lontani è strano e doloroso, spesso. Personalmente ho imparato in questi anni a vivere sempre lontana da qualcosa o meglio da qualcuno, senza poter essere mai del tutto completa: come molti di noi, ho pezzi di famiglia sparpagliati per l’Italia e per il mondo.

Il mio compagno in una città; mamma, fratelli, nipoti e amici storici in un’altra; altri amici sparsi in Europa e oltre; gli amici di Milano, “nuovi” ma non meno importanti. Vivo spezzettata almeno tra tre città e c’è sempre qualcuno che mi manca.

Scegliere dove stare e rimanerci quindi non è stato facile. Non voglio essere ipocrita: questa situazione fa schifo a tutti noi.

 

Quello che indubbiamente è vero, però, è che nello stare fermi e soli abbiamo tempo per pensare a quello che questa situazione dice a ciascuno di noi. A come ci parla.

La cosa bella – se così si può dire – è che in questa solitudine ci apriamo in realtà moltissimo agli altri. Prima di tutto perché l’isolamento che viviamo nasce da un movimento opposto a quello della chiusura: nasce da una grande apertura verso gli altri. Proteggersi per proteggerli. Stare lontani per avere cura gli uni degli altri. In questo movimento di separazione ci ritroviamo faccia a faccia con la parte più fragile forse, ma anche più altruista di noi stessi.

Stando fermi e spesso soli abbiamo tempo per conoscere aspetti più nascosti di noi e abbiamo il “privilegio” di poterlo fare non attraverso un atto di egoismo, di allontanamento, ma di altruismo: avendo cura degli altri. I conosciuti, i nostri familiari, ma anche gli sconosciuti.

Indubbiamente tutti avremmo preferito arrivarci diversamente. A capire cosa è veramente importante per ciascuno di noi. O ad avvicinarci a comprendere cosa ci fa davvero paura e come la affrontiamo, la paura, fin quando ci aiuta e da dove invece blocca e soffoca.

Ma tant’è, siamo qui e tanto vale approfittarne come meglio possiamo. Io personalmente quindi sto. Cerco di imparare a non fare programmi. Di sentire un po’ di più le persone a cui voglio bene, approfittando del tempo che si è improvvisamente “liberato” anche se ci sembra costretto dentro uno spazio piccolo.

Lotto con me stessa per avere meno paura, ma cerco anche di capire cosa ci sia dietro a tutta questa paura. Provo a non farlo da sola, ma cerco aiuto per esempio nei poeti, che nei momenti più complicati ci porgono sempre la mano. Ecco alcune delle mani che ho afferrato io in questi giorni: le condivido, sperando che possano essere un sostegno, un faro anche per qualcun altro.

I decaloghi di Franco Arminio

Il Decamerino di Bruno Tognolini

Il titolo di questi pensieri sparsi è il primo verso di una poesia di Mariangela Gualtieri, “Si può, sai, stando qui” (Le Giovani Parole, Einaudi, 2015).
Cercatela e leggetela, in questi giorni difficili, per provare a dare un senso a questo
stare fermi. Mentre scrivo, Mariangela ci ha donato un’altra bellissima poesia, dedicata proprio
a questi giorni. Potete leggerla qui.

L’illustrazione è di Clarissa Cozzi (Segui le briciole) che ringrazio tantissimo.