Del minimo comune – 12

di

20 Marzo 2020

Il contagio delle storie – 12

Convinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.

Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.

Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.

Il contagio delle storie – 12

Del minimo comune – Isidora Tesic

 

Restare in un solo luogo. È facile provare a scambiarlo per una cella. E anche l’isolamento, il distacco – quando per tutta la vita ci pare di essere sempre a contrattare una proroga con
la solitudine.

Siamo animali sociali, nonostante qualche volta ci capiti di dimenticarlo. E dovremmo chiedere alle formazioni a sciame o a stormi, cosa significhi.

Nessuno sa esistere senza che altri esistano con lui. E attorno a lui e lontani da lui.

Il mondo, quello che ora ci manca, non è quello delle coordinate geografiche o temporali – ma quello della prossemica.

Quindi provare a dirci “Rimaniamo vicini” è un modo per ricordare che, sotto questa pressa celeste che cerca di tenerci tutti a pochi centimetri di altezza da noi stessi, abbiamo un’identità cosmica che ci rende indivisibili.

Il racconto in cui uno è solo uno è un inganno – la cellula è anche l’organismo che costituisce e l’ape è tutto lo sciame, oltre a se stessa.

E questo avviene indipendentemente dal metro di distanza e dalla separazione.

Certo, la malattia fa paura. Siamo abituati all’obbedienza delle cose esterne e interne, del corpo soprattutto. In tutte le malattie c’è una sorta di colpo di stato, una deposizione, moti di ribellione, focolai di rivolta. Fa paura essere esautorati da noi stessi.

Eppure. Eppure la resistenza è un movimento miracolosamente irriducibile, quando si tratta dell’uomo. E questo perché la vita si muove sempre a proprio favore, si muove per proseguire, a dispetto delle circostanze.

Indipendentemente dalle glaciazioni, dalle epidemie, dal ciclico andare e venire delle guerre, dalle catastrofi naturali e quelle stellari, la vita, allegramente in bilico sopra l’abisso, da miliardi di anni procede unicamente in avanti.

E quindi lasciare il corpo in una stanza – per un bene da branco o da torma, per evitare che la natura ci faccia anche da destino (avverso) oltre che da tempo e luogo – non è che una rinuncia minore. È sull’anima che non bisogna esercitare giurisdizione. Mai tenerla in stato di arresto.