Cronache turche

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23 Marzo 2020

Erdinç Yücel, fotografo e saggista turco è oggi rifugiato politico in Francia, tra Gezi Park e la Turchia di oggi

Erdinç Yücel, fotografo e saggista turco è oggi rifugiato politico in Francia. Dai 25 ai 30 anni ha vissuto in un carcere di massima sicurezza del suo paese, vivendo sulla propria pelle la pratica della tortura e la vita nelle “celle F”, quelle di isolamento, contro le quali dal 2000 al 2007 migliaia di detenuti politici protestarono con lo sciopero della fame.

L’”Operazione Ritorno alla vita” del governo turco impiegò 10mila soldati per sopprimere la rivolta, e in centinaia di casi arrivarono ad alimentare forzatamente i prigionieri, li avvelenarono coi gas o li bruciarono vivi. In parallelo vennero stroncate le manifestazioni di piazza. Il bilancio complessivo fu di 122 detenuti morti, 2.145 arresti, 900 manifestanti trattenuti sotto custodia senza registrazione e sottoposti a torture.

Yücel è autore di “Propaganda”, uscito nel 2017, in cui traccia il ruolo del sostegno di grandi politici ed industriali nell’ascesa di Adolf Hitler. E di “Icinki Adamlar”, pubblicato un anno fa, in cui si tratteggiano le figure degli uomini e delle donne arrivati “secondi” nella storia.

Per Q Code Magazine spiega, a partire dalla vicenda di Gezi Park, come la politica di repressione di Erdogan si sia pienamente rivelata nella sua natura: il fascio-islamismo governa la Turchia.

intervento a cura di Sara Lucaroni

C’è un posto chiamato Taksim. È il cuore di Istanbul. Una delle aree più vivaci del mondo. Vive 24 ore senza interruzioni, conta circa 250 bar e birrerie, 200 hotel, 2 moschee, 9 chiese storiche, un monumento, un parco, 1361 alberi, 2 milioni di persone che ci passano al giorno.

Taksim ha visto un’occupazione di inglesi, un pogrom contro i greci, una dimostrazione del 1 maggio a cui hanno partecipato 500mila persone di cui 34 uccise dallo stato, festival, oppressioni, massacri, azioni armate, attentatori suicidi, suicidi, omicidi, una grande rivolta e un comune senza stato per 15 giorni senza violenza.

Il 27 maggio 2013 c’erano circa cinquanta persone nel Taksim-Gezi Park, perché il governo turco aveva tentato di distruggere l’unico spazio verde di Taksim. Si stabilirono nel parco con le loro tende e chiamarono i cittadini a proteggerlo.

Quattro giorni dopo c’erano 120 persone, tutti anarchici e ambientalisti. I media convenzionali non erano interessati. Nemmeno i politici, tranne alcuni parlamentari dell’HDP (Democratic People’s Party). Ricordate che Taksim è un’area frequentata da 2 milioni di persone al giorno.

Il 31 maggio la polizia ha evacuato brutalmente Gezi Park. Hanno bruciato le tende e i manifestanti sono stati picchiati. Non era una novità, ma stavolta questa violenza ha colpito tutti. La stessa sera, migliaia di persone si sono riversate a Taksim. La polizia li ha attaccati con più violenza e loro si sono moltiplicate. I manifestanti hanno superato le barricate della polizia e hanno piazzato le loro barricate. Non è successo solo a Istanbul: tutte le grandi piazze sono state occupate dai cittadini di Ankara, Smirne, Eskişehir, Adana, Antakya, nella stessa sera. Alla fine, la polizia si è ritirata da Taksim e il movimento si è diffuso in 80 delle 81 province turche.

A sinistra, a destra, i nazionalisti turchi, i pro-curdi, gli ultras di tutte le più grandi squadre di calcio, i musulmani anticapitalisti … Era la prima volta che si univa tutta la Turchia, tranne gli islamisti.

I grandi media stavano in silenzio. La CNN Türk stava trasmettendo un documentario sui pinguini mentre la CNN International copriva le dimostrazioni dal vivo. Il 15 giugno, la polizia ha attaccato di nuovo Taksim per evacuarlo con violenza. La rivolta è proseguita con effetto decrescente fino a settembre.

Secondo il Ministero degli Interno si sono unite alla rivolta 3,6 milioni di persone, la polizia ha usato 150mila bombole di gas lacrimogeni, 3mila tonnellate di acqua per i cannoni in 15 giorni. E poi, non lo sappiamo con esattezza, ma circa 7.428 manifestanti sono rimasti feriti. 12 manifestanti hanno perso la vista a causa della violenza della polizia. Circa 5.113 persone sono state arrestate. 189 persone sono state messe in prigione. E abbiamo perso sei fratelli.

Ali İsmail Korkmaz, 19 anni, che è stato picchiato dalla polizia e dagli islamisti filo-Erdoğan. Mehmet Ayvalıtaş, è morto quando un taxi ha guidato un gruppo di manifestanti su un’autostrada di Istanbul. Abdullah Cömert, 22 anni e Ethem Sarısülük, 26 anni, sono stati uccisi da un colpo di pistola sparato dalla polizia. İrfan Tuna è morto per un attacco cardiaco causato da una eccessiva esposizione ai gas lacrimogeni. Berkin Elvan, 15 anni, il 16 giugno è stato investito sempre dai gas lacrimogeni e muore l’11 marzo 2014 dopo aver lottato per nove mesi. La madre di Berkin è stata fischiata dai pro-Erdoğan e ripresa dallo stesso Erdoğan durante una manifestazione pro-governo.

Questo è l’islamismo.

Sono stati gli ultimi 6 mesi di coalizione per due grandi gruppi islamisti. Il Movimento Gülen e il governo dell’AKP, che entrambi hanno attaccato la rivolta. Ma Fethullah Gülen aveva pensato che sarebbe stato l’inizio della fine di Erdoğan e che questa coalizione sarebbe terminata entro quell’anno.

Aveva dalla sua parte circa 100mila su 400mila agenti di polizia. 4mila giudici e pubblici ministeri dei 15mila operativi. 74 governatori su 81. Alcuni ministri tra i 26 in carica. Ma quando la coalizione è finita, Erdoğan ha iniziato a dire che la rivolta era guidata da Fethullah Gülen.

Così 26 persone furono arrestate dalla polizia nella prima operazione. Tutti assolti in due anni ma è perché tutto è accaduto spontaneamente, non c’erano capi. La seconda indagine invece è stata avviata dal procuratore Muammer Aktaş, che è ufficialmente ricercato come terrorista dal 2014.

Era un membro del Movimento Gülen. Osman Kavala è stato arrestato a 5 anni dalle prime accuse di Aktaş nel 2018. Sessantatreenne, gli è stato imputato di aver finanziato un movimento di protesta antigovernativa, “ha cercato di rovesciare il governo” durante le manifestazioni a Gezi, assimilato retroattivamente a un tentativo di colpo di stato. Accanto a lui sono comparsi l’avvocato Can Atalay, l’architetto Mücella Yapıcı, l’urbanista Tayfun Kahraman, il documentarista Çiğdem Mater, il rappresentante della fondazione olandese Bernard van Leer in Turchia, Yigit Aksakoglu e altre sette persone. La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha chiesto il suo rilascio immediato il 10 dicembre 2019.

Il 18 febbraio 2020, con decisione inaspettata, un tribunale turco ha assolto Osman Kavala e altri imputati. La corte ha anche ordinato il rilascio di Kavala. Ma ecco cos’è la Turchia oggi: i tribunali e le loro decisioni non sono nulla se Erdoğan non li accetta. Kavala quindi è stato posto sotto custodia della polizia immediatamente dopo il suo rilascio. Il giorno dopo è stato rimesso in prigione. Ironia della sorte, è stato arrestato nel 2017 con l’accusa di essere un membro del movimento Gülen. Naturalmente non ha legami con questa organizzazione islamista, e l’indagine è stata chiusa molto rapidamente ,ma il procuratore ha ripreso in mano queste indagini dopo la sua assoluzione.

Secondo Erdoğan e i suoi giornalisti, i giudici sono “terroristi” che hanno assolto l’imputato. Questo è tutto ciò che dobbiamo sapere: se sei un avversario, sei un terrorista, lo sei sia che tu lavori insieme a Gülen, PKK, lo Stato islamico, George Soros, Israele e Stati Uniti. Non è la prima volta che vedevamo questo delirio.

Ahmet Şık, giornalista investigativo e scrittore (ora membro del parlamento) è stato arrestato il 7 marzo 2011, dopo che la polizia aveva sequestrato un suo manoscritto, “The Imam’s Army”. E’ un libro che indaga sulle presunte affiliazioni della polizia turca al movimento Gülen. È stato rilasciato dopo un anno e ha dichiarato in prigione: “Un giudizio grezzo, incompiuto, non influirà in alcun modo sulla giustizia o sulla democrazia. Almeno un centinaio di giornalisti sono attualmente in carcere, cinque dei quali per gli stessi motivi per i quali io sono sotto processo. La libertà di espressione non è solo una questione che riguarda i giornalisti. Continueremo a combattere. Poliziotti, avvocati e giudici che hanno cospirato per mettere scena questi processi saranno condannati. Giustizia verrà fatta quando passeranno attraverso le porte della prigione”.

Nel 2016 tutto è andato come ha detto: gli agenti di polizia, i pubblici ministeri e i giudici che hanno cospirato per organizzare tali processi sono stati condannati. Ma il dittatore era ancora un dittatore ed era più forte di prima. E Ahmet Şık è stato nuovamente arrestato.

Secondo i pubblici ministeri di Erdoğan, il nemico numero uno del Movimento Gülen è diventato un membro di questa organizzazione islamista. E’ rimasto in prigione per altri 15 mesi e quando è stato rilasciato ha parlato ancora davanti alla prigione: “Non voglio che vi rallegriate, preferisco che siate arrabbiati. Perché è la rabbia che ci terrà in piedi. La speranza e la rabbia. Se non lo facciamo, continueremo a rallegrarci di tutto. Sono partito da qui 6 anni fa a marzo. Oggi è ancora marzo e l’unica cosa che oggi è cambiata è solo il fatto che uno dei due soci gestori del fascismo non è più lì (FETÖ). Ma verrà il giorno in cui gioiremo in questo paese. Perché, vi assicuro che questo regno della mafia finirà. Possano tutte le persone che credono nella realtà, che questo regno della mafia andrà dove merita, ed è quel giorno che ci rallegreremo”.

Non c’è altro da dire. La Turchia è un inferno per la libertà di espressione. La giustizia è molto lontana dal nostro paese. Gli islamisti creano sempre le loro ‘realtà’ immaginarie.

Se volete capire meglio la Turchia, dovete capire che non esiste un attore razionale davanti a voi. Non esiste un regime legittimo. Non esiste un sistema giudiziario indipendente, nessun media. Il regime di Erdogan ci accusa sempre dei suoi stessi crimini.

Tutto accade in un universo parallelo di Orwell. La guerra è la pace. La libertà è la schiavitù. L’ignoranza è la forza. L’islamo-fascismo lì è la vera democrazia.