Riceviamo e pubblichiamo:
di Giovanni Del Missier, Francesco de Michele, Piera M. Galeandro, Matteo Reggio d’Aci, Luana Testa
Ci siamo decisi a scrivere mossi dall’insopprimibile necessità di solidarizzare con i tanti operatori della sanità che in questo momento storico non abdicano al proprio operare professionale volto alla cura e all’assistenza dei propri malati, contribuendo a ciò con la propria scienza e coscienza, ma anche, per moltissimi di loro, con la propria vita.
La lotta contro il coronavirus sta coinvolgendo intensamente il mondo della sanità: dentro gli ospedali per curare i singoli pazienti, all’esterno per mettere in sicurezza la comunità, nel corpo e nella mente; è a quest’ultimo compito che vorremmo contribuire in qualità di medici psichiatri e psicologi che lavorano da anni con la psicoterapia.
In questo periodo abbiamo potuto osservare, in generale, la conservazione di un corretto rapporto con la realtà, benché questa sia mutata drasticamente in pochi giorni, obbligandoci ad un gigantesco ridimensionamento delle attività sociali extra domiciliari e ad un quasi totale adeguamento alle indicazioni dei responsabili politici sul dettato delle evidenze scientifiche.
Abbiamo però anche osservato cedimenti personali in termini psicopatologici e non solo in pazienti già psichiatrici ma in persone considerate normali, cioè non malati manifesti.
Tali manifestazioni mentali e comportamentali di crisi personali sono da ascriversi a due ordini di fattori: quello direttamente connesso alla paura del contagio virale e quello indirettamente riferito ad esso, che riguarda la necessità di rimanere per lungo tempo socialmente isolati, da soli o in gruppo, con tutte le note problematiche depressive e/o aggressive.
Tralasciamo, per ora, di indagare le conseguenze indirette della pandemia, ovvero derivanti dalla necessità di rimanere in isolamento, in quanto sono già ben conosciute le problematiche depressive e/o aggressive emergenti quando si è costretti a dover accettare da un lato la solitudine e la mancanza di rapporto affettivo derivanti da un’assenza di rapporto fisico e materiale con gli altri, dall’altro la convivenza coatta con persone psicologicamente o materialmente violente.
Vorremmo concentrarci sul primo punto, che non ci sembra adeguatamente trattato nei mass media, laddove cioè il fattore scatenante è rappresentato direttamente da ciò che il virus rappresenta nella mente di coloro che, di fronte alla prospettiva del contagio, mostrano evidenti manifestazioni di angoscia.
Ad esempio il mantenere gli altri a distanza eccessivamente prudente, o il reiterare ossessivamente pratiche igieniche incongrue e ridondanti, o infine l’isolarsi per tempi dilatati negandosi a qualsivoglia contatto con l’esterno anche se palesemente innocuo.
Ecco che a questo punto invitiamo il lettore a adottare il metodo psicoterapeutico, infatti se noi chiedessimo loro di spiegarci perché sono così angosciate, si appellerebbero alla realtà del virus, alla sua pericolosa contagiosità e invisibilità, ovvero incontrollabilità, come se “un fantasma assassino si aggirasse per il mondo”.
Così dicendo, hanno nello stesso tempo ragione e torto. Hanno ragione perché il virus esiste e così anche la sua contagiosità e pericolosità e di conseguenza reale è pure il fatto di doversi isolare e igienizzarsi, ma hanno anche torto perché essi presentano comportamenti e pensieri che non sono da addebitare alla normale e sana paura, che anzi fortifica il rapporto cosciente con la realtà, spingendo ad attuare quei comportamenti razionali che, intesi a contrastare efficacemente la pandemia, hanno un effetto rassicurante.
Hanno torto perché la loro angoscia, diversamente dalla paura, è un sintomo psicopatologico che ci dice che le loro reazioni abnormi, apparentemente dettate dal virus, sono da attribuirsi al “senso” che tale virus assume nella loro mente non cosciente.
Evidentemente vi è qualcosa di cui non sono consapevoli e che li confonde ma noi sappiamo che la mente non funziona solo in modalità cosciente. Vi è anche la modalità “non cosciente” che va ad indicare tutto quel mondo (anche chiamato psichico) fatto di pensieri, immagini, affetti, pulsioni che movimenta la nostra mente cosciente ed il nostro comportamento, ma di cui non si è generalmente consapevoli.
Ebbene una caratteristica funzione di tale attività psichica è quella di “dare senso” alla realtà percepita dai nostri sensi fisici.
Tale attribuzione di senso è assolutamente soggettiva e personale, per cui a fronte di uno stesso fenomeno della realtà persone diverse possono viverlo in modo assolutamente differente tra loro, dandogli un senso anche diametralmente opposto.
Tocca a noi capire ciò di cui essi non sono coscienti e chiederci: “Che “senso” danno queste persone al virus e all’eventualità del contagio? Cosa è per loro il “virus” che prima inquina l’aria e poi gliela toglie fino a soffocarli, non per la polmonite ma per l’angoscia che blocca il respiro?Accanto al virus biologico che mette paura a tutti qual è il “virus gemello” che non ha consistenza materiale e che solo in alcune persone scatena angosce insopprimibili?”.
E non c’è mascherina, non c’è lavaggio, non c’è distanza metrica che li possa veramente calmare. Per questo non bastano le rassicurazioni benevole di chi cerca di avvicinarsi a loro con buone intenzioni, perché per essi le intenzioni degli altri sono sempre tendenzialmente malevole.
La conoscenza razionale e materiale del Coronavirus non calma, non tranquillizza questi individui nella misura in cui la loro mente, inconsapevolmente, è già stata “infettata” da quel “virus gemello”,
altrettanto e più invisibile e imprevedibile di quello biologico.
Noi, come psicoterapeuti, intendiamo smentirne l’idea di inconoscibilità e quindi la incurabilità. Questo agente patogeno per la psiche, questo “virus gemello” si chiama “pulsione di annullamento” ed è stato individuato alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso dallo psichiatra italiano Massimo Fagioli (1931-2017); la cui scoperta fu poi pubblicata nel 1972 in Istinto di morte e conoscenza, (L’Asino d’oro edizioni, Roma 2010).
La pulsione di annullamento è la modalità patologica non cosciente utilizzata da alcune persone per difendersi da stimoli umani insostenibili (per loro) rendendo inesistenti psicologicamente le immagini e gli affetti corrispondenti, creando cioè il buio e il freddo in sé, per non vedere e non sentire.
Essi divengono “ciechi e sordi”. Allorché lo stimolo insopportabile è rappresentato dalle qualità positive delle altre persone (bellezza, intelligenza, fantasia, vivacità) o, anche solo, dalla diversità dell’altrui identità personale tale “virus gemello” spinge il soggetto a fare un tipo di rapporto che mira a rendere l’altro brutto o stupido o banale o devitalizzato, o, addirittura, senza identità personale.
La pulsione di annullamento tende cioè a “contagiare” l’altro per renderlo come sé stesso. Come si allude nel racconto di Josè Saramago Cecità (Einaudi 1996).Questo per dire che tale “virus” viene non dal nulla, ma da precedenti rapporti, a volte anche apparentemente amorevoli, con coloro che, anaffettivi perché già infettati, erano diventati dei “normali” portatori asintomatici del virus… gemello.
Insospettabili, ma invisibilmente “contagiosi”. La vera patogenesi è un evolversi psicologico che dall’illusione passa alla delusione per precipitare poi nella collusione, come ben descritto in una premiata sceneggiatura.
Illusione, delusione, collusione: tre parole da tenere a mente.Le persone che ora mostrano angoscia “sapevano” già prima del 2020 che i rapporti interumani possono contagiarci e farci male, perciò ora questo Coronavirus dà corpo all’angoscia di impazzire nascosta dentro quella di morire.
La variante “depressiva” di questa dinamica interumana patologica è quella di coloro che non temono gli altri ma se stessi, hanno angoscia cioè non di essere contagiati ma, al contrario, di avere la colpa di infettare coloro con cui essi si rapportano.
“Sanno” di essere (o esser stati) violenti e “credendo” nell’onnipotenza del “virus” dell’annullamento sono, a priori, convinti di esser responsabili dei malanni altrui. Essi soffrono di una angoscia non persecutoria ma depressiva.La confusione tra realtà materiale e realtà psichica li muove e li agita inconsapevolmente, mescolando la realtà, uguale per tutti, con i loro fantasmi personali.
A queste persone occorre “far vedere” quello che qui abbiamo chiamato “il virus gemello”, bisogna far loro conoscere che il “virus”, che mette angoscia perché può far impazzire, esiste, ma non è il coronavirus.
È una dinamica patologica di rapporti interumani distruttivi da cui ci si può difendere attraverso la ricerca personale, l’intervento psicologico adeguato e la conoscenza, così da diventare fisiologicamente immuni per aver sviluppato quella resistenza alle delusioni e alle aggressioni psicologiche che è il vero anticorpo al “virus”.
Cooperativa Sociale di Psicoterapia Medica
La Cooperativa Sociale di Psicoterapia Medica nasce nel giugno del 2012 dalla pluridecennale esperienza di un gruppo di psicoterapeuti. Da questa lunga storia è derivata una sempre maggiore conoscenza delle cause della malattia mentale e la consapevolezza di poterla affrontare e risolvere. A tal fine la Cooperativa svolge attività di diagnosi e cura della malattia mentale, concentrando la propria progettualità, in particolar modo, nell’ambito della formazione e della prevenzione.