15 Maggio 2020
Nel paese non è mai stato imposto un vero e proprio lockdown, si parla invece di quarantena selettiva
I primi casi di Covid-19 in Cile vengono registrati all’inizio di marzo.
Inizialmente ad essere colpiti sono i quartieri più ricchi della capitale, dove più si concentrano persone che hanno relazioni sociali ed economiche transnazionali, ma il virus è migrato velocemente in aree più povere, caratterizzate da una altissima densità abitativa e da condizioni di vita che rendono l’isolamento sociale difficile da rispettare.
Fortunatamente la crescita dei contagi è decisamente più contenuta rispetto ad altri paesi latinoamericani, ma i casi continuano ad aumentare.
Fatto che preoccupa, considerando anche la scarsa capacità delle istituzioni di produrre dati attendibili: ha fatto molto parlare la notizia che inizialmente i morti da Covid-19 venivano contabilizzati come “recuperati”, in quanto non più capaci di contagiare altri individui.
Inoltre in Cile non è mai stato imposto un vero e proprio lockdown, si parla invece di quarantena selettiva, applicata a partire dal 26 marzo solo in quelle aree che presentano un determinato numero di casi.
E dopo una prima fase in cui il governo ha cercato di mostrarsi vittorioso, da qualche giorno ha ammesso che la strada da percorrere è ancora lunga e tortuosa, soprattutto nella capitale.
L’adozione di un protocollo sanitario decisamente blando non ha impedito al Presidente Piñera di dichiarare lo stato di catastrofe (massimo livello delle politiche emergenziali previste dalla Costituzione e già applicato a ottobre allo scoppiare delle proteste) che attribuisce poteri speciali all’esercito e permette l’imposizione del coprifuoco notturno.
A preoccupare i più non sono gli assembramenti notturni, ma l’inadeguatezza delle politiche di welfare in un paese vessato da decenni di sperimentazioni neoliberiste spregiudicate, dove la sussidiarietà si è sviluppata come forma di sostegno alla domanda (e non all’offerta) di beni sociali.
Il sistema sanitario è particolarmente vulnerabile, smembrato tra efficientissime cliniche private e ospedali pubblici che si trovavano al limite del collasso anche prima di questa emergenza sanitaria.
Le grandi mobilitazioni che hanno attraversato il paese negli ultimi mesi hanno indubbiamente subito una battuta d’arresto, tuttavia il loro radicamento territoriale ha facilitato un’azione capillare da parte delle reti di muto-aiuto, animate dallo slogan “Solo El Pueblo Aiuta Al Pueblo”.
Non solo distribuzioni alimentari per i più poveri e servizi per la popolazione vulnerabile al contagio, anche supporto emotivo ed operazioni autogestite di sanificazione realizzate dai ragazzi e dalle ragazze della Primera Linea, che fino a un paio di mesi fa alzavano barricate per resistere alle cariche della polizia.
Molti attivisti fermati durante le proteste rimangono in prigione, in loro sostegno nasce la campagna internazionale del Coordinamento per la Libertà dei Detenuti Politici della Rivolta – 18 Ottobre che chiede che possano beneficiare di misure alternative al carcere.
Contemporaneamente viene avanzata la proposta, poi bloccata, di concedere un indulto ai detenuti con più di 75 anni, incluso a personaggi politici condannati per crimini di lesa umanità e violazione dei diritti umani commessi all’epoca della dittatura.
In un panorama caratterizzato dalla quasi totale assenza di tutele sociali, si fa strada una provvedimento particolarmente controverso, la Legge per la Protezione dell’Impiego, varato il 26 marzo. Questo permette ai datori di lavoro, comprese le grandi aziende transnazionali, di ridurre lo stipendio ai propri dipendenti o addirittura sospendere il rapporto di lavoro senza nessun onere aggiuntivo, ad eccezione del versamento di alcuni contributi assicurativi.
Solo nel mese di marzo sono stati licenziati 300mila lavoratori, a cui vanno aggiunti altri 800mila costretti ad accettare tagli salariali.
Che questo provvedimento difenda il profitto delle imprese e non certo gli interessi dei lavoratori è chiaro. L’apice del paradosso viene raggiunto quando la multinazionale Ripley inizia a offrire prestiti agli stessi dipendenti a cui aveva sospeso il salario.
Il tanto atteso Referendum Costituzionale, inizialmente previsto per il 26 aprile, è stato rimandato al 25 ottobre. Ma è sottoposto a continui attacchi politici da parte di chi invoca un “Piano B” che permetta di evitare il plebiscito. Lo stesso Piñera afferma, in un’intervista alla CNN, che il referendum potrebbe essere ulteriormente posticipato, non per motivi legati all’emergenza sanitaria ma per contrastare gli effetti della recessione economica che con tutta probabilità colpirà la nazione.
Nel frattempo i manifestanti cominciano a riappropriarsi delle loro piazze. In parte per non lasciare ad altri la pretesa di occuparle: durante i giorni più neri dell’emergenza Covid-19 l’emblematica Plaza de la Dignidad è stata prima ripulita dai murales e poi sfruttata come passerella mediatica dal Presidente. Ma soprattutto perché è chiaro a tutti che, se le cose non cambieranno in fretta, a pagare questa crisi saranno ancora una volta le lavoratrici, i lavoratori e le famiglie.
Il 27 aprile, anniversario della fondazione dei Carabineros (contestatissima forza di polizia al centro di numerosi scandali e legata a doppio filo con l’esercito) è abitudine dei movimenti sociali più radicali scendere in piazza.
Quest’anno la repressione ha grottescamente superato se stessa: carabinieri festeggianti e ubriachi hanno iniziato a sparare sui partecipanti alla protesta. Il bilancio è di almeno 10 feriti, di cui sei in condizioni gravi. Il primo maggio è stata un’altra giornata di lotta, caratterizzata da violentissime cariche a manifestanti e giornalisti, con questi ultimi che testimoniano di aver subito gravi intimidazioni fisiche e verbali da parte delle forze dell’ordine.
Misure inefficaci o addirittura controproducenti dal punto di vista sociale e sanitario, scarsa tutela dei diritti, ulteriori derive autoritarie, scandali nella gestione dell’emergenza e provocazioni gratuite.
Sebastian Piñera si preclude ogni possibilità di riconquistare legittimità agli occhi dei suoi concittadini. A coronare il tutto, il 6 maggio il Ministero della Donna e delle Pari Opportunità viene assegnato a Macarena Santelices, pronipote di Pinochet e famosa per le sue dichiarazioni a difesa della dittatura militare. Le organizzazioni femministe (protagoniste dell’8 Marzo, ultima grande manifestazione prima del sopraggiungere della pandemia) lanciano la campagna #NoTenemosMinistra, che segna un importante tassello nella ritrovata capacità di intervento pubblico da parte delle organizzazioni politiche della società civile.
Il movimento si riorganizza, mutano le forme e le pratiche ma non i contenuti della lotta. La cecità con cui il governo si ostina a mantenere una linea politica impopolare e autoritaria, unita all’impatto che questa crisi avrà su una popolazione indebitata e impoverita, porterà al riaccendersi della rivolta.
I potenti non si rendono conto che la loro fortezza è una bolla di sapone, i cileni e le cilene si sono svegliati, hanno consapevolezza della propria forza collettiva e sono disposti a combattere per i propri diritti. La speranza rimane quella che questo paese, così unico e esemplare, tracci ancora una volta una strada che altri possano seguire.
Crónicas de un Estallido Social anunciado (Cronache di una Rivolta Sociale annunciata) from Roberto_Mapu on Vimeo.