Messico: la volta buona per AMLO?

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29 Giugno 2018

E’ il favorito nella campagna elettorale più violenta della storia, con oltre 100 tra candidati e canditate ammazzati, gli ultimi sondaggi lo danno al 51%

Il primo luglio potrebbe essere la volta di Andres Manuel Lopez Obrador come presidente del Messico.

Potrebbe essere la volta che il partito stato, che ha governato ininterrottamente dalla fine della rivoluzione di Zapata e Villa fino al 2000, e che poi è tornato al potere nel 2012, sia sconfitto non dalla destra neoliberista.

Sicuramente non sarà la prima volta che una donna diventa presidente, né che la sinistra radicale diventi maggioranza.

Andres Manuel Lopez Obrador è alla guida di MoReNa, partito/movimento nato nel 2012 a seguito della seconda sconfitta consecutiva di AMLO alla corsa di presidente.

E’ il favorito nella campagna elettorale più violenta della storia, con oltre 100 tra candidati e canditate ammazzati, gli ultimi sondaggi lo danno al 51%. Il suo avversario più diretto Ricardo Anaya (di una strana coalizione che tiene assieme PRD e PAN), è dato di poco sotto al 30%. In Messico non c’è ballottaggio, il candidato che prende più voti diventa presidente.

Uno dei tanti detti del paese dice che la terza volta è quella buona. AMLO fu il candidato del PRD, partito anche da lui fondato nel 1989 come rottura a sinistra con il PRI, sconfitto nel 2012 ma soprattutto nel 2006 da un probabile broglio a favore di Calderon (PAN). Ora PAN e PRD sono in coalizione assieme, le strane storie della politica.

In un paese sempre più disilluso dalla politica AMLO pare godere più dei demeriti altrui che di una profondità di speranza nella sua figura. Tanto che per rafforzare la sua posizione lui e MoReNa si sono messi a capo di una coalizione “Juntos Haremos Historia” che tiene assieme oltre PT (Partito dei Lavoratori) il PES, Partito de Encuetro Social, ultra cattolici contro aborto e matrimonio gay.

Juan Villoro, editorialista del New York Times, recentemente incontrato di passaggio dall’Italia mi ha detto “Una delle cose più gravi che può succedere a un paese è che non solo la realtà sia pessima, ma che lo siano anche le aspettative, cioè che le illusioni non rappresentino una visione del futuro. É quel che succede in Messico attualmente, non vediamo luce alla fine del tunnel. Un po’ per scherzo, Manuel Vásquez Montalbán, il grande scrittore spagnolo disse, durante la grande transizione spagnola, “stavamo meglio contro Franco”. Faceva riferimento al fatto che durante la dittatura c’era un’illusione di cambiamento, una possibilità di trasformazione. A noi manca un orizzonte di cambiamento sicuro e possiamo dire, parafrasando Vásquez Montalbán, “stavamo meglio contro il vecchio PRI”. Credo ci siano aspettative di una piccola riforma, o miglioramento ma, a mio modo di vedere, viste le circostanze attuali, e i molti poteri che entrano in gioco, i cambiamenti potranno essere solo cosmetici, di apparenza o d’intenzione, ma non ci saranno cambiamenti realmente strutturali. “

 

AMLO più volte in questa campagna elettorale, facendo il verso a Trump sulle politiche economiche e sociali, ha snocciolato alcune uscite che rompono con la tradizione di “sinistra” e tra un “prima i messicani” e una convinta adesione al NAFTA, il trattato di libero commercio del nord America fiore all’occhiello della politica aggressiva del “Tatcher messicano” Salinas de Gortari oltre che trattato contro cui più volte l’EZLN e i movimento sociali radicali messicani si sono scagliati, ha battuto “on” sulla classica giocata di un colpo al cerchio un colpo alla botte. Se in materia economica è difficile pensare ad un cambiamento radicale, è sullo sguardo di osservazione che AMLO può essere un soggetto di cambiamento: se saranno mantenute le promesse di equità sociale e di attenzione alle povertà e al mondo rurale e indigeno allora qualcosa potrebbe cambiare. Così come sul piano della relazione con i poteri economici illegali. Il racconto dello stato fallito nelle mani dei narcos è stato alimentato con forza dall’asse PAN – PRI prima con il governo Calderon poi con quello Pena Nieto, ma è lontano dall’essere vero.

Certamente la violenza è presente con forza nel paese, sono le origini della violenza a dover essere indagate: fino al 2006 lo scontro tra cartelli era praticamente inesistente, dal nulla è esploso (senza giustificazione apparente, anche perchè le economie informali non amano le luci della ribalta) e la risposta dello stato è stata la militarizzazione e la polarizzazione di diversi stati. Stati a maggioranza indigeni e ricchi di risorse naturali. La convivenza di militari, poliziotti, interessi politici, ed economici sia legali che illegali ha generato il caos, morti e violenza, con lo Stato a decretare lo stato d’emergenza. Lo stato d’eccezione diventa quindi forma di governo, giustificazione per l’estrazione di ricchezze territoriali, morti e desaparecidos come dato quotidiano, assieme al racconto del narco-stato. Sarebbe quindi più coraggioso, e corretto, parlare di stato-criminale, con il rapporto attivo tra stato, imprese, e gruppi criminali nella spartizione del paese. AMLO è la grande speranza per una parte del paese per rompere questa politica criminale, anche se le sue tiepide posizioni verso un progetto di smilitarizzazione hanno spento in molti l’entusiasmo. I sondaggi dicono con forza che oltre alla presidenza Juntos Haremos Historia dovrebbe prendere la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Pieni poteri quindi in vista, e la possibilità di fare riforme senza ostacoli istituzionali.

Nonostante tutto questo Andres Manuel Lopez Obrador, per strada, ha trovato attori sociali importanti a sostenerlo, dai maestri della SNTE e della CNTE a Omar Garcia, sopravvissuto alla mattanza di Ayotiznapa, passando per Taco Ignacio Taibo II, ma senza assumere posizioni coraggiose sui diritti umani. E ugualmente sui diritti civili che non paiono una sua priorità, mantenendo fede alla sua figura di cristiano e senza creare tensioni nella sua coalizione. Dopo che la candidata indipendente in quota EZLN e CNI, Marichuy, non è riuscita a raccogliere le firme necessarie ha ricevuto una chiamata indiretta da AMLO per entrare nella coalizione. Marichuy, il CNI e il Congresso Indigeno di Governo, hanno rifiutato la proposta non considerando la coalizione e Obrador come reale alternativa. AMLO è un caudillo populista in salsa messicana, un politico navigato, uno che ha certamente fatto della lotta politica la sua vita, che, pur senza essere un rivoluzionario e non una certezza d’alternativa sistemica, pare essere l’unico candidato che, se dimostrerà coraggio, può generare un cambiamento, forse piccolo al Messico della violenza, della paura, e dei desaparecidos che abbiamo conosciuto negli ultimi 12 anni.