21 Luglio 2020
Media, discorsi pubblici e immaginario nella decostruzione dell’altro
Le immagini di Silvia Aisha Romano, dopo il suo ritorno a casa, hanno il sapore di un’occasione persa e l’urgenza di una riflessione profonda.
La rete e i suoi meccanismi di connessione sociale, sempre più lontani dalla realtà, hanno polarizzato in un’immagine tensioni, incomprensioni, giudizi; nella maggior parte dei casi privi di qualsiasi competenza a esprimersi sulla questione. Che era e resta privata, ma accende ancora una volta l’attenzione su un punto: abbiamo un problema.
Islamofobia e razzismo. Media, discorsi pubblici e immaginario nella decostruzione dell’altro, una raccolta di saggi a cura di Gabriele Proglio, edito da Seb27, nella collana Laissez Passer, è una raccolta di voci competenti su un tema che, come spiega Federico Faloppa nella sua prefazione al volume, l’episodio di Silvia Aisha Romano “non è che l’ultimo di una serie di picchi di odio aventi come oggetto l’Islam e le persone musulmane. Come ha rilevato la piattaforma Hatemeter, che ha monitorato la rete da settembre 2018 a novembre 2019, in un anno […]ve ne sono stati almeno quattro.”
La dovuta premessa, non solo metodologica, è ben spiegata nell’introduzione di Gabriele Proglio: “Nel caso specifico dell’islamofobia in Italia, la ricorrenza storica precede l’espansione coloniale in Libia di inizio ‘900. Basta una breve ricognizione sulla letteratura nazionale per comprendere la pervasione nella sfera pubblica di certi immaginari.”
Un mondo di ‘geografie immaginarie’, così ben spiegato dal monumentale Orientalismo di Edward Said, dove “lo spazio acquisisce uno spazio emotivo, e persino razionale, tramite una sorta di processo poetico che trasforma spazi vuoti e anonimi, in qualcosa che ha senso per noi, qui e ora.”
Un lungo, malsano, rapporto quello tra l’immaginario italiano e l’orientalismo che, dopo l’11 settembre 2001, ha conosciuto una nuova – feroce – stagione di stereotipi. Passando per le rivolte arabe del 2011, fino a oggi, si sono sedimentate una serie di ‘convinzioni’, scambiate per conoscenze, che purtroppo (nonostante alcuni periodi di carsizzazione del fenomeno) sembrano sempre pronte e esplodere di nuovo e in forma più radicale.
L’elenco dei brillanti saggi che compongono Islamofobia e razzismo. Media, discorsi pubblici e immaginario nella decostruzione dell’altro ne sono uno specchio fedele e preoccupante allo stesso tempo.
Si comincia con Alessandra Marchi, sulla rappresentazione stereotipata di come il sufismo sia l’alternativa al fondamentalismo. Disegniamo l’altro, secondo i parametri dei quali riteniamo dovrebbe farsi portatore, spesso senza conoscere né l’una né l’altra dimensione, semplificandole e contrapponendole, fino ad annullarle.
Nel saggio di Marina Calculli si affronta proprio al dimensione ‘securitaria’ del discorso islamofobica, tipica del post 11 settembre e delle rivolte arabe. Le diseguaglianze economiche, la ferocia di un mercato che generato distanze sempre più profonde, diventa una logica della sicurezza, della protezione di ‘quel che abbiamo’, del ‘nostro stile di vita’, costi quel che costi in termini di diritti e appoggiandosi sul concetto che – a destra come spesso a sinistra – in fondo ‘l’Islam è incompatibile con la democrazia’. Come se quella che chiamiamo democrazia, in Italia, in Europa o negli Stati Uniti, sia quella degli strumenti dei Salvini, degli Orban o dei Trump.
Clara Capelli, invece, offre interessanti spunti di riflessione su come certe ‘proiezioni’ culturali impattino sul mondo del lavoro in Italia, e quindi sulla vita delle persone. Il ‘migrante’ come categoria dell’anima, che può aspirare solo a certi lavori, senza che quegli stessi sistemi culturali ed economici che invocano il libero mercato come ascensore sociale riconoscano le stesse possibilità a tutti.
Molto interessante anche l’intervento di Debora Del Pistoia, dove lo sguardo del colonialista, rispetto a certe élite, diventi lo sguardo del colonizzato. Il caso della Tunisia, tra islamismo e nazionalismo, finisce – anche nel dibattito interno – per riflettere categorie di un orientalismo delle vittime.
Sara Borrillo, nel suo ottimo contributo, riesce a raccontare come una delle immagini che più si è solidificato nell’immaginario italiano è quello del rapporto donna – Islam. Tra paternalismo e razzismo, navigando sempre in prossimità della xenofobia, nega una serie di dinamiche interne a un mondo variegato e complesso, riducendo il tutto alla ‘donna da liberare’.
Charles Burdett, nel suo intervento, si è concentrato sulla rappresentazione dell’Islam dopo l’11 settembre 2001 e Gina Annunziata ha attraversato il cinema italiano e la sua rappresentazione dell’alterità arabo-musulmana, che ha contribuito all’elaborazione di un immaginario collettivo.
Chiudono la raccolta di saggi le tavole di Takoua Ben Mohamed, una graphic novel con il passo del reportage, sulla quotidianità dello stereotipo, sulla rilevanza delle piccole cose, che non sono meno complesse e impattanti delle ‘grandi’.
Un viaggio in quel che siamo convinti di sapere, un racconto collettivo di un rapporto con Islam e mondo arabo, che non sono affatto sempre la stessa cosa. Un’occasione per la creazione di un’agenda culturale che – come i giorni del Black Lives Metter hanno sottolineato – è già andata oltre l’immaginario, ma paga ancora la miopia di un discorso radicato negli anni. Che è tempo di superare, verso una cittadinanza plurale e complessa, ma molto più ricca e interessante.