20 Agosto 2020
La memoria dello Sblocca-Italia di Renzi e un’Italia che non riesce a essere normale
Il Decreto Semplificazioni ha iniziato martedì 22 luglio il suo iter per la conversione in legge, “l’Italia deve correre” ha dichiarato il presidente del Consiglio presentandolo alla stampa. L’obiettivo dichiarato dal governo è quello di semplificare nei campi più vari per velocizzare e rendere più efficienti ed efficaci lavori ed opere pubbliche.
Sotto la patina politica, però, sembra nascondersi una realtà molto più complessa. E si diffonde una sensazione di deja-vu, di già visto qualche anno fa.
Sono passati solo 6 anni dallo Sblocca-Italia del Governo Renzi, un decreto emanato con motivazioni non molto diverse dall’attuale: basta sostituire la parola semplificazione con sbloccare e quasi tutto rimane identico. Tra i fulcri dello Sblocca Italia c’erano le modifiche alle normative su trivellazioni e inceneritori contro cui si mobilitarono centinaia di associazioni, comitati e movimenti di tutta Italia.
Dopo una serrata discussione all’interno del governo e tra i partiti della maggioranza (PD, Movimento 5 Stelle, Italia Viva, Leu/Art.1/SI), approvato «salvo intese» come in svariate occasioni nei mesi scorsi, i 65 articoli del Decreto Semplificazioni vanno a modificare (e a derogare!) normative sugli appalti, grandi opere, telecomunicazioni, partecipazione popolare e valutazione ambientale, siti inquinati da bonificare e tanto altro. Le nuove norme sulle valutazioni ambientali e sulle bonifiche sono finite al centro delle critiche. «Bonifiche e Valutazione di Impatto Ambientale, più che Dl Semplificazioni, devastazioni! Svuotati di significato i Siti nazionali di Bonifica trattati come territori “ordinari” nonostante il gravissimo inquinamento, da Taranto a Falconara, da Bussi a Brindisi, da Livorno a Gela, da Milazzo a Mantova e altre decine di aree. Bonifica si ferma ai suoli: e le falde contaminate?
Sulla VIA svilita la partecipazione dei cittadini» l’attacco del numeroso fronte di diverse associazioni nazionali e di un nutrito fronte di associazioni e comitati territoriali che denunciano «un attacco frontale all’ambiente e ai diritti fondamentali dei cittadini»: «falde acquifere inquinate abbandonate a loro stesse; taglio della partecipazione dei cittadini alla Valutazione di Impatto Ambientale; complicazioni nei procedimenti di bonifica; aumento delle “poltrone” con la costituzione di una seconda commissione nazionale V.I.A.; procedure di favore per le opere fossili spacciate sotto il titolo paradossale ma accattivante “Semplificazioni in materia di green economy“».
Dossier delle associazioni
La mobilitazione crescente ha portato in pochi giorni il numero di associazioni e movimenti ad almeno 160 aderenti e, dopo il primo comunicato, è stato pubblicato un articolato dossier e proposti 34 emendamenti ai parlamentari: «il DL Semplificazioni contiene norme che ritardano o addirittura annullano le bonifiche dei siti inquinati, dimezzano i tempi già oggi molto risicati per la partecipazione dei cittadini nelle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale, favoriscono le opere “fossili” in piena emergenza climatica, moltiplicano le poltrone con l’istituzione di una seconda commissione VIA nazionale» riassumono la situazione le associazioni. Il dossier evidenzia il «paradossale e accattivante titolo “Semplificazioni in materia di green economy» che introduce «norme che favoriscono le opere “fossili” come i nuovi gasdotti», torna a porre l’attenzione sul taglio pesante dei « termini per poter presentare osservazioni ai progetti sottoposti a Valutazione di Impatto Ambientale per il loro potenziale impatto sulla salute e sull’ambiente di intere comunità»: «prima del decreto se un’azienda avesse voluto realizzare una raffineria o un pozzo di petrolio i cittadini avrebbero avuto 60 giorni di tempo per accorgersi dell’esistenza del progetto, esaminare la documentazione costituita da centinaia di elaborati tecnici di migliaia di pagine e scrivere le osservazioni. Tempi già molto risicati. Se il Parlamento confermerà il testo varato dal Governo, i tempi saranno addirittura dimezzati, scendendo a soli 30 giorni, assolutamente insufficienti per i volontari per difendere i propri diritti in considerazione dell’impatto che queste opere possono avere sulla qualità della loro vita. Per le procedure regionali, che riguardano cave, discariche, impianti chimici ecc si scende da 60 giorni a 45, con il paradosso che per progetti di carattere regionale si avrà più tempo rispetto ai progetti di potenziale impatto nazionale. Questo la dice lunga su chi si intende favorire e, cioè, le grandi imprese nazionali e multinazionali». «Si preferisce colpire i diritti dei cittadini e non i dirigenti inefficienti – attaccano le 160 associazioni – Il vero problema della V.I.A. nazionale sono i 30 giorni da togliere alle associazioni per esaminare i progetti oppure la burocrazia ministeriale che tiene le carte ferme nei cassetti per anni? Come mai non vi è alcuna norma che attacchi i dirigenti su merito e responsabilità? Eppure basta andare sul sito del Ministero e prendere un qualsiasi progetto per verificare dove sono i tempi morti. Diversi codicilli, poi, erodono in molteplici casi l’efficacia della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, dalla realizzazione delle indagini archeologiche che potrà essere fatta “a posteriori”, quando la Direttiva comunitaria impone di accertare preventivamente proprio con la VIA l’impatto sul patrimonio culturale, ai rifacimenti di impianti, al potenziamento delle opere stradali, ferroviarie e idriche esistenti. Nel Decreto sono state introdotte norme che eludono la direttiva comunitaria sulla Valutazione Ambientale Strategica, in particolare per le opere in variante ai piani già approvati: ci chiediamo a questo punto perché produrre piani se poi si possono fare tranquillamente deroghe “in automatico”».
Ampio spazio è dedicato alle bonifiche con particolare attenzione ai Siti di Interesse Nazionale, i territori più inquinati e devastanti per l’ambiente e la salute umana :
« Con l’articolo 53 comma 4 quater può, nei fatti, venire addirittura meno la bonifica delle acque sotterranee, una vera e propria emergenza del paese con le falde contaminate da sostanze tossiche o cancerogene con concentrazioni spesso decine di migliaia di volte superiore ai limiti di legge. La norma prevede infatti per le aziende responsabili di poter ottenere il certificato di avvenuta bonifica anche per il solo suolo qualora si dimostri che l’acqua inquinata non lo influenzi, con contestuale svincolo delle garanzie finanziarie che gli inquinatori devono versare per assicurare che le attività di ripristino siano effettivamente svolte anche in caso, ad esempio, di fallimento dell’azienda.
Tolta pure la deterrenza economica diventa un tana libera tutti per i grandi inquinatori delle acque sotterranee, un vero e proprio incentivo a non bonificare che, tra l’altro, varrà per i grandi gruppi che hanno inquinato, visto che si applica solo ai Siti Nazionali di Bonifica e non già agli altri siti contaminati “normali”. Un vero e proprio paradosso, insieme agli ulteriori passaggi degli articoli in cui, richiamando esclusivamente l’applicazione del solo articolo 242, quello relativo alle procedure ordinarie, si esclude per i Siti Nazionali di Bonifica l’applicazione delle procedure semplificate introdotte nel 2014 con l’art.242bis proprio per velocizzare le bonifiche ripulendo tutto senza ricorrere all’analisi di rischio che porta lungaggini e bonifiche più blande (ma meno costose!).
Per quanto riguarda i Siti di Interesse Nazionale per le Bonifiche, cioè le aree più inquinate del paese non si procederà più, come si fa oggi, direttamente alla caratterizzazione delle aree – ossia il delicato e stringente processo di ricostruzione della contaminazione avvenuta – dando per scontato che per i terreni e le acque sotterranee dell’Ilva a Taranto, di Bussi, di Gela, di Falconara e di decine di altri siti devono essere prese precauzioni molto più stringenti all’altezza dei problemi. Con l’art. 53, invece, si rende possibile agli inquinatori di partire presentando invece della caratterizzazione una più semplice e blanda “indagine preliminare”, come avviene per un sospetto di inquinamento in qualsiasi altra area del paese. Come se una raffineria fosse una pompa di carburante, insomma!
Si aggiungono così ulteriori lungaggini e un passaggio burocratico in più, con un Ministero dell’Ambiente che è già vergognosamente indietro con le procedure per bonificare questi luoghi. Il ruolo del Ministero sempre di più ci sembra quello dello stopper delle bonifiche, con risparmi miliardari alle aziende che hanno inquinato. Anche in questo caso, invece di chiedere conto ai dirigenti e alle aziende per i ritardi si scarica tutto sui cittadini e sulla loro salute».
Le critiche su anticorruzione, appalti, abuso d’ufficio e burocrazia
L’articolo 1 già chiarisce motivazioni e direzione che il Governo ha impresso a tutto il decreto: previsto l’affidamento diretto di pubblici lavori e forniture di servizi fino a 150.000, procedura negoziata consultando almeno «cinque operatori economici» (a salire superate alcune soglie) e gli appalti pubblici rimangono solo per importi superiori ai 5,3 milioni. «Ben vengano tutte le semplificazioni necessarie, ma non è togliendo le regole che il sistema funziona meglio; al contrario, le deroghe indiscriminate creano confusione» e « si rischia di favorire la corruzione e la paralisi amministrativa» ha dichiarato diverse settimane fa Francesco Merloni, presidente facente funzioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, nella relazione annuale presentata al Parlamento. Parole nette e chiare nei stessi giorni in cui anche Alessandro Bratti – direttore generale dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione dell’Ambiente) e presidente della commissione ecomafie nella scorsa legislatura – ha espresso forti preoccupazioni perché i testi diffusi del decreto apportano «alcune complicazioni nelle materie di Valutazione d’Impatto Ambientale e bonifiche».
Azione Civile, il movimento fondato dall’ex pm e oggi avvocato antimafia Antonio Ingroia, va all’attacco di «devastanti norme ambientali e su abuso d’ufficio» ponendo l’attenzione sulle difficoltà di «milioni di partite iva e piccoli imprenditori distrutti dalla crisi economica e sempre più abbandonati (al di là di proclami e promesse) da ogni governo compreso l’attuale. Milioni di cittadini sono schiacciati e si vedono negati diritti sacrosanti da liberare da lacci e lacciuoli burocratici, “mani libere senza adeguato controllo” a grandi lobby e gruppi industriali inquinanti, speculatori e devastatori non è un rimedio e peggiora il male esistente. Invece il decreto “semplificazioni”, mentre milioni di italiani sono sempre più abbandonati di fronte alla crisi economica e alle angosce quotidiane e subiscono ogni giorno gli effetti anche mortiferi dell’inquinamento e dell’avvelenamento di aria, acqua e terreni, fornisce su un piatto d’argento l’ennesima legislazione favorevole e ancor più “mani libere” a chi persegue solo i propri interessi particolari a danno della collettività».
«La gestione degli appalti, tra le pieghe della legislazione e i rapaci interessi privati e criminali, in questo Paese è pesantemente segnata da una delle sue più grandi piaghe: la corruzione, l’Italia svetta costantemente nelle classifiche mondiali e decine di miliardi ogni anno vengono rubate alla collettività per favorire gli interessi di pochi, costanti sono le notizie di amministratori pubblici indagati o arrestati con imprenditori (anche in odor di mafia) in ogni settore della vita pubblica, dalla sanità all’edilizia, dagli eventi pubblici a tanti altri – denuncia Azione Civile – che sottolinea quanto questo sia devastante e colpisca i cittadini è apparso chiaro come mai in questi mesi di emergenza sanitaria, così come i disastri causati dal dissesto idrogeologico ci confermano periodicamente cosa comporta non mettere paletti alla sfrenata smania di cementificazione, speculazione edilizia e tanto altro dei “soliti noti”.
Eppure si favorisce l’affidamento diretto e, al posto di controllarli e monitorarli a dovere rendendo le gare realmente trasparenti e pulite, si è preferito confinare sempre più la possibilità di gare d’appalto. Un contesto che diventa ancora più pericoloso considerando che verrà circoscritta (con intesa successiva tra i partiti della maggioranza tumultuosa e conflittuale del governo Conte2) la contestazione del reato di abuso d’ufficio».