La libertà è uno spazio libero

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3 Luglio 2018

E se riorganizzassimo una visione diversa della società e del lavoro intorno all’idea di un reddito di partecipazione non monetario?

Propongo qui di seguito alcuni spunti di riflessione e discussione a proposito di un ripensamento del nostro modello sociale ed economico (nientemeno).
Premetto che non ho alcun titolo o particolare competenza per farlo se non l’aver vissuto 48 anni dentro questo modello sociale ed economico ed averne pertanto ponderato nel tempo sia i vantaggi che le, temo insanabili, contraddizioni.

Ne ho ricavato una proposta complessiva di poderosa ridefinizione del patto sociale su cui si fonda la nostra convivenza e la nostra auspicabile prosperità.

Obiettivo principale: rimuovere il lavoro salariato dal centro dell’attuale organizzazione sociale e dalla cornice di senso che finisce con il perimetrarne l’agibilità e desertificare tutto quello che si muove al di fuori di quello.
Attenzione: non distruggerlo, ma rimuoverlo dal centro, acciocché possa essere più sano, più utile, più produttivo e meglio tutelato.

Funziona questa impostazione? Non funziona? Aiutatemi a capirlo e, semmai, a correggerla o anche a riscriverla daccapo.  Grazie.

1. CREAZIONE DI UN REDDITO DI PARTECIPAZIONE NON MONETARIO.
Per ambire a una condizione di vita dignitosa (con ciò intendendo una basica ma sostanziale accessibilità all’agio, alla bellezza, alla conoscenza, alla possibilità di movimento e alla facoltà di scelta) non sarà più strettamente necessario scambiare il proprio tempo e talento con il denaro di qualcuno o di qualcosa che miri a creare valore per sé (persona fisica o giuridica che sia). Sarà invece necessario dimostrare di prendere in qualche modo parte alla creazione di valore per una collettività  (intesa come l’insieme delle persone fisiche e giuridiche che condividono una stessa unità spazio-temporale di cui occorre che tutti, ciascuno per le sue possibilità e le sue capacità, si prendano cura). In altri termini occorrerà sostituire il concetto-totem “lavoro“ con il concetto-non-totem “laboriosità”, che non implica per forze di cose lo scambio di natura commerciale tra il valore creato (a vantaggio di qualcuno in particolare) e il denaro fornito sotto forma di retribuzione, ma la libera adesione a un modello di convivenza in cui ciascuno prenda parte a suo modo alla creazione di ricchezza per tanti, se non per tutti. Questo potrà avvenire in svariatissime forme che non verranno più misurate con il solo e unico metro dell’interesse particolare di ciascuno ma con quello, assai più flessibile ed edificante, dell’interesse generale di un territorio e della comunità che lo abita. Chi decide se la laboriosità di ciascuno crea o non crea valore per tutti? Nessuno, perché si partirà dall’assunto che ogni forma di laboriosità e di partecipazione crei valore sociale e culturale per la società, a prescindere che venga o non venga remunerata da una persona fisica o giuridica in particolare.
Il punto sarà invece potenziare gli organismi di contrasto a tutte le attività che anziché creare valore per la comunità, lo sottraggano (alias: attività socialmente criminali).

2. CREAZIONE DI UNA NON-MONETA LEGATA AL VALORE SOCIALE E TERRITORIALE DELLA PARTECIPAZIONE E SLEGATA DALLE LOGICHE MONETARIE CLASSICHE
Perché le attività che ciascuno fa liberamente, gratuitamente e fuori da una logica di scambio economico pur producendo valore e benessere per la comunità o il territorio non devono essere concretamente ricompensate? Perché veniamo pagati esclusivamente per attività che producono valore a vantaggio di un interesse particolare e codificato (foss’anche una Pubblica Amministrazione) e non veniamo minimamente ricompensati per quello che facciamo a vantaggio di un interesse generale non codificato in una persona giuridica (Amministrazione, Azienda, Associazione, profit o no profit, privato facoltoso)? Se faccio un favore a qualcuno in modo economicamente disinteressato, se dono tempo, impegno ed energia a una buona causa, se mi prendo cura del mio territorio, se partecipo insieme ad altri a rendere più vivo e abitabile il mio quartiere, se faccio guerrilla gardening, se produco bellezza, musica, arte, letteratura anche senza misurarmi col mercato, se creo, condivido o diffondo una bella riflessione sui social, se produco e diffondo conoscenza online e offline, se leggo un bel libro, se studio, se imparo, se distendo i nervi e mi prendo i miei tempi, se mi fermo a parlare con una persona che ha bisogno (o anche che non ha bisogno), se aiuto o soccorro qualcuno o, più in generale, se non do fastidio a nessuno e sono collaborativo con chi me lo chiede, perché mai non ne posso ricavare un beneficio concreto e spendibile anziché solo una gratificazione morale? Perché pare avere più valore e dare più benefici concreti l’esercizio di un’attività inutile o controproducente per l’interesse generale piuttosto che quello di un’attività che faccia bene a tutti pur non costando niente a nessuno in termini monetari?
E quindi.
Perché non creare una non-moneta che possa valorizzare questi comportamenti e questa pacifica attitudine dando alle persone socievoli, pacifiche, innocue e collaborative la possibilità di spendersi un “bonus sociale” per ottenere servizi e beni in cambio di un non-prezzo? Non si può battere moneta a questo scopo? Benissimo, allora battiamo una non-moneta e stabiliamo che sia scambiabile con beni e servizi in modalità d’eccezione rispetto alle regole del mercato.
In pratica lo Stato dice (o permette a qualcuno di dire): “Ti concedo questi beni e questi servizi non perché mi dai una moneta (il cui valore è agganciato alla sfera economica) ma perché mi dai una non-moneta (il cui valore è agganciato alla sfera sociale)”.
Non è gratuità e non è elemosina: è riconoscimento del valore sociale della partecipazione, che è un valore a tutti gli effetti.
In altre parole: il valore di una moneta dipende e si basa in ultima istanza sulla fiducia; quello di una non-moneta si basa sul riconoscimento di un valore non commerciale di cui gli uomini sono consapevoli e a cui vogliono pertanto riconoscere un valore ANCHE spendibile per i propri bisogni primari, e quindi anche commerciale.
Sarebbe una robusta e ambiziosa operazione di ridefinizione del senso comune, partendo da un presupposto: la gente pacifica e l’uomo sociale crea valore anche esistendo e non solo lavorando. Se questo è vero (ed è indubitabilmente vero) perché non creare una non-moneta che lo ratifichi concretamente attraverso un simbolo forte che sottragga questa sfera a quella meramente mercantilistica (valore economico in cambio di valore economico) che non le fa giustizia?
Oggi tutto ciò che viene dato senza essere scambiato sul Mercato è liberalità, carità o beneficienza, con tutte le implicazioni culturali del caso e le inevitabili ricadute di percezione sociale che pongono su piani anche gerarchici e sociali diversi chi fa beneficenza e chi la riceve. Cosa succederebbe se accettassimo l’idea che anche il valore sociale che si produce fuori dal mercato abbia un valore economico riconosciuto sia dallo Stato che dal Mercato?

3. ABOLIZIONE DI PREVIDENZA E PENSIONI PUBBLICHE.
Se il lavoro non è più al contempo centro e cornice di senso della società, le pensioni e la previdenza pubbliche (erogate a chi non ha più l’obbligo o la possibilità di lavorare per sopraggiunti limiti di età o impedimenti psicofisici) non hanno più ragione di essere. Se il parametro di senso è quello della laboriosità, anche affettiva, e della creazione di valore, anche affettivo, per tutti, tutti rimarranno sempre pienamente abilitati a essere parte di una comunità nei molteplici modi in cui questa condizione può essere realizzata: in primis facendo qualcosa per la cura di sé, degli altri o del territorio, senza che questa attività nuoccia fisicamente ad alcuno né sottragga valore o risorse limitate alla propria comunità. A quel punto non verranno mai meno le condizioni per l’erogazione di un Reddito di Partecipazione Non Monetario, che permetta a ciascuno di vivere una vita dignitosa prendendo parte alla creazione di valore e vivibilità per e nel proprio territorio e di benessere ed equilibrio per e nella propria comunità, se non l’aver posto in essere scelte e comportamenti che infrangano tale nuovo e rinnovato patto sociale con l’obiettivo di sottrarre, con dolo e intento predatorio, valore alla collettività organizzata per intestarlo a persone fisiche e/o giuridiche particolari SENZA altro motivo se non il proprio maggior agio a scapito di quello degli altri. Questa impostazione, infatti, si regge sul principio che anche le persone anziane, con disabilità o lavorativamente inattive (nel senso di non retribuite da alcuna persona fisica o giuridica in cambio di servizi professionali), sono portatrici di valore per i territori che abitano e per le comunità a cui appartengono, a condizione che non abbiano nei confronti degli uni e delle altre atteggiamenti predatori.
In questo modo lo Stato (e dunque la comunità) dovrebbe farsi economicamente carico delle sole persone temporaneamente o definitivamente non laboriose loro malgrado (non autosufficienti).
E lo farebbe con più risorse e anche con più trasporto, avendo la possibiità di considerare che tali persone non possono mettere la loro laboriosità a disposizione di tutti in ragione di cause non dipendenti dalla loro volontà e che ciononostante non cessano minimamente di essere affettivamente e socialmente rilevanti – e quindi utili – per il benessere di qualcuno, in ragione di quello che sono e che fanno o anche semplicemente di quello che sono stati e hanno fatto.

Io credo che impostando così la cornice di senso dentro il quale inserire un nuovo patto sociale tra le persone, la politica non possa che dividersi e produrre conflitto sul modo migliore per perseguire tutto questo e per contrastare tutto quello che lo possa mettere in discussione. E mai su altro.

Tre postille:
1. Il Reddito di Partecipazione Non Monetario può essere chiesto da tutti coloro che non raggiungano una soglia minina di reddito da lavoro fissata dalla legge e agganciata al costo della vita.
2. Il Reddito di Partecipazione Non Monetario non è cumulabile con il reddito da lavoro che superi quella soglia.
3. Il Reddito di Partecipazione Non Monetario è revocabile in presenza di evidenze che dimostrino l’esistenza di un livello di reddito da lavoro tale che ne faccia venire meno i presupposti o nel caso vengano posti in essere comportamenti e attività contrari ai principi di solidarietà, tolleranza e convivenza a cui si ispira.

A cosa serve, dunque, un Reddito di Partecipazione Non Monetario?
A organizzare la convivenza tra persone sulla base di un comune coinvolgimento nella creazione anche di B.I.L. (Benessere Interno Lordo, ossia il buon funzionamento di una collettività organizzata) e non unicamente in relazione alla partecipazione alla creazione di P.I.L (Prodotto Interno Lordo, cioè il buon funzionamento di una macchina produttiva)., cioè di un meccanismo che crea valore solo per chi accetti di misurare e scambiare il proprio tempo e/o il proprio talento per creare valore di cui benefici una particolare persona fisica o giuridica o una istituzione.
In questo modo si postulerebbe un possibile livello di pacifica coesistenza tra la dimensione sociale e quella economica senza che i due piani si pongano – come avviene ora – in sostanziale conflitto tra di loro, con il piano economico che mira a prosperare e perpetuarsi spesso a spese di quello sociale. Il tutto restituendo a tutte le persone la dignità del loro essere pienamente parte di qualcosa che vada oltre le individualità di ciascuno e non solo di esserne coinvolte in via del tutto residuale come avviene ora – a prescindere dagli intenti del legislatore – con i meccanismi pensionistici e previdenziali che di fatto escogitano un modo per dare piena cittadinanza a persone non più attive lavorativamente in una Repubblica fondata sul lavoro (che si misura e si giustifica con la creazione di un valore innanzitutto particolare, che non ha fondamento al di fuori di una logica di Mercato) e non sulla laboriosità (che si misura e si giustifica con la partecipazione alla creazione di un valore sociale e generale, anche al di fuori del Mercato). E dunque la mia proposta “choc” è di modificare l’articolo 1 della Costituzione come segue: “La Repubblica è fondata sulla partecipazione, che si esercita nei modi previsti dal libero Mercato e dalla società organizzata”. Perché è di tutta evidenza che la Repubblica italiana non può essere fondata su qualcosa che non c’è per tutti e che di fatto esclude i lavorativamente inattivi dal fondamento stesso della Repubblica.

Prevengo una possibile obiezione con una piccola provocazione.
A chi mi dirà che in questo modo nessuno vorrebbe più lavorare (soprattutto impiegandosi nelle mansioni più umili e meno gratificanti) o che i soggetti operanti sul Mercato non accetterebbero mai di scambiare i loro beni e i loro servizi per una contropartita di “valore sociale” rispondo che, se la convinzione è questa, l’inevitabile ricaduta è quella di accondiscendere (più o meno esplicitamente) alla resa intellettuale (più o meno manifesta) a una Civiltà della Coercizione, in cui vi siano classi sociali deputate ai lavori di fatica e classi sociali che sovraintendano all’assetto del tutto, sostanzialmente beneficiandone, senza che esista alcun meccanismo apprezzabile di intercambiabilità tra i piani (il cosìdetto ascensore sociale). Se viceversa ci affascina lavorare nella direzione di una effettiva e libera Civiltà della Scelta (in cui si cerchi di massimizzare la libertà di scelta di ciascuno compatibilmente con la massimizzazione del benessere sociale per tutti) il Reddito di Partecipazione Non Monetario potrebbe essere un primo significativo passo nella direzione giusta, puntando e scommettendo sul fatto che le persone possano vivere e apprezzare la dimensione lavorativa “classica” come loro libera scelta di modalità di partecipazione al consolidamento e buon funzionamento di uno dei due pilastri, aventi pari dignità, su cui poggia la società che abbiamo in mente: il lavoro dentro una logica di Mercato e la laboriosità dentro una logica di benessere sociale.

La mia tesi è che in una situazione di effettiva e libera possibilità di scelta l’Uomo saprebbe autoregolarsi, distribuendo con equilibrio le incombenze tra chi vuole produrre valore economico per qualcuno in cambio di moneta e chi vuole produrre valore sociale per tanti in cambio di non-moneta.
Dite che il Mercato non accetterebbe di trattare una non moneta come una moneta?
Dite che non accetterebbe di scambiare beni e servizi con una non-moneta?
Certo che non lo farebbe, se la cornice di senso è quella del capitalismo predatorio.
Se il fine è quello di una crescita esponenziale e svincolata da ogni considerazione di sostenibilità.

Se, in una parola, il modello economico e sociale resta quello che c’è ora.
Ma cosa succederebbe se cambiasse la cornice di senso?
Se il capitalismo cessasse di essere predatorio per diventare creativo e responsabile?
Se al posto della crescita costante si perseguisse l’equilibrio costante?
Se vi fossero due economie al posto di una sola?
E non una di serie A e l’altra di serie B, ma una che si basa su valore economico e produce ricchezza per molti e l’altra che si basa su valore sociale e produce benessere per tutti.
Insomma, l’obiezione classica per cui l’Uomo non produrrebbe mai reale e costante valore economico se non costretto (“o mangi questa minestra o salti dalla finestra”) credo non regga laddove i lavoratori vengano ben remunerati per il loro contributo e il loro impegno e ben trattati nello svolgimento della loro prestazione.
E se pensate che questo non sia possibile chiedetevi allora come i liberisti possano credere che la stessa identica cosa la possa fare il Mercato, se non accettando che la imponga con l’odiosa forza del ricatto. O come i liberali possano credere di poterla ottenere con il Buon Esempio, visto che sin qui non l’hanno ottenuta e sembrano ben lungi dal riuscirci.

Questa, a mio modo di vedere, è la nuova frontiera di un possibile socialismo democratico.
Un Mercato che si basi su un capitalismo non predatorio in uno Stato che dia al Mercato tutte le garanzie e le condizioni per esistere e prosperare, purché esso non gli tolga ogni risorsa e potere per far esistere e prosperare il benessere generale dei propri cittadini attraverso la libera partecipazione di ciascuno alla cura dei territori e delle comunità.

Una moneta per il profitto economico, una non moneta per il profitto sociale.
Un Mercato per il primo scenario, un Non-Mercato per il secondo.

Perché le due grandi vocazioni che l’Uomo ha evidenziato nel corso della Storia sono:
– il perseguimento di un proprio vantaggio economico (attraverso il Mercato)
– il perseguimento di un quadro ordinato e pacifico dove poterselo godere (attraverso lo Stato)

In questo momento storico la prima vocazione ha prevalso sulla seconda in quanto è passato l’enunciato “culturale” per cui, in assenza di ricchezza, non c’è niente da godersi e, in presenza di ricchezza, il quadro ordinato e pacifico ce lo si possa anche costruire da sé, sostanzialmente pagandolo di tasca propria e difendendolo da tutto e da tutti.

Ebbene.
La domanda alla fine è: siete davvero sicuri di poter essere liberi e felici anche se non lo sono gli altri? La domanda è sempre quella, in fondo.
E la nostra risposta è no, perché prima o dopo il disequilibrio presenterà il conto facendolo perdere a quelli che pensavano di poterne creare uno solo per sé.
Agiamo prima che succeda, anche a tutela di quelli che ne pagherebbero i costi più salati.
Perché nel socialismo democratico che abbiamo in mente, c’è bisogno di tutti.