Le Americhe e la riscossa contro le destre

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13 Novembre 2020

Bolivia, Cile, Usa e Perù: si giosce, ma la strada è ancora lunga

Giorni strani quelli che stanno vivendo le Americhe. Il continente, nell’ultimo anno, sembra cambiato. In pochi giorni la Bolivia caccia i golpisti e riabbraccia, nel bene e nel male, Morales, il Cile apre le porte alla cancellazione della costituzione di Augusto Pinochet, negli USA Trump perde, anche se cerca di non ammetterlo, e in Perù il presidente è stato cacciato.

In un mese uno sconquasso che ridisegna gli equilibri del continente intero. I movimenti sociali tornano ad essere protagonisti, in una maniera diversa, se pur in continuità, rispetto alla storia recente delle sperimentazioni di governo tra partiti e realtà sociali.

Il tutto però non disegna giorni semplici e solari. Certo le sconfitte delle destre, soprattutto da un punto di vista culturale, è importante. Ma Bolivia, Cile, e USA non hanno visto il crollo totale delle destre. Anzi tutt’altro.

Anche in Cile, dove il risultato elettorale sembrerebbe enorme, la situazione non è certo facile. Il referendum apre, certo, alla possibilità che chiunque possa entrare nell’assemblea costituente per riscrivere la costituzione, ma se non sei parte da un partito, il percorso d’ingresso alle liste elettorali è tutt’altro che agevole.

Il rischio concreto che a riscrivere la costituzione siano per lo più personaggi vicini alla politica tradizionale e non certo gli artifici del grande successo elettorale del “si” ovvero i movimenti sociali.

Il rischio è che la costituente non arrivi ad un accordo, o il testo sia bocciato dal referendum confermativo, confermando così la costituzione di Pinochet.

Anche per questo i movimenti sociali, nonostante il Covid, continuano ad essere attivi e cercano di non far calare l’attenzione sulle necessità di trasformazione che passano dalla costituzione ma li non si fermano. Ora è da capire se saranno lasciati soli, o la forza mostrata nell’ultimo anno continuerà a muovere la marea del cambio.

In Bolivia il Movimento Al Socialismo (MAS) torna al governo. I movimenti sociali non sono felici del governo fatto e lamentano l’assenza di uomini e donne del popolo vicino a Luis Arce. Intanto Evo Morales torna da capo politico in patria dopo l’esilio a seguito del golpe dello scorso anno.

Il suo ritorno emoziona certamente una parte importante della base del MAS, ma alimenta anche tensioni con chi negli anni del governo di Evo aveva conflitto con le politiche e le aperture verso l’estrattivismo. E proprio sul tema estrattivo si gioca parte della retta del potere del MAS.

Le aziende tedesche che con il governo Morales avevano stretto accordi monopolistici per l’estrazione del litio tornano a bussare alle porte del nuovo governo, così come le federazioni campesine ed indigene che si oppongono allo sfruttamento del sottosuolo e soprattuto all’esproprio di ricchezze della terra nel nome dell’estrazione del litio.

Lo scontro politico, istituzionale e teorico tra Morales e Choquehuanca spaventa, più della poca simpatia che il vice di sempre di Evo, Linera, riesce a strappare alle popolazioni indigene e campesine.

Se poi andiamo a nord, superiamo i confini, arrivando nella terra dello Zio Tom, la sconfitta di Trump è una boccata d’ossigeno per il continente e per il mondo.

Non tanto dal punto di vista economico, perché Biden non è certo un candidato socialista, e anzi non appena eletto ha immediatamente intrapreso uno scontro con la parte “sinistra” del partito democratico, responsabilizzando l’ala del partito vicina a Saunders delle perdite al Senato e alla Camera.

Ma certo Trump aveva riabbracciato le peggiori politiche imperiali sul continente, e la USA erano dietro al golpe boliviano, così come alla fine del dialogo di pace in Colombia.

Difficile che Biden si comporterà molto diversamente sul Venezuela, però certo ‘l’internazionale nera’ che vedeva in Trump un portavoce e in Steve Bannon un ideologo si interrompe.

Resta che Biden non pare un candidato coraggioso, pronto a giocare una partita di rottura negli USA e quindi neppure un candidato capace di rispondere alla radicalità portata nelle piazze dal Black Lives Matter (BLM), e che poi si è tramuta in voto femminile, afro, latino e povero per i democratici. E oltre ai problemi a sinistra, avrà a che fare con un paese polarizzato, dove i fan di Trump non solo sono aggressivi e armati ma rivestono anche ruoli dentro le forze di polizia.

Un quadro piuttosto fosco, che però vede una luce, la luce non delle esperienze di governo, ma della ritrovata forza dei movimenti sociali nella capacità di influire su dinamiche politiche reali, e di farsi cultura.

In questo il BLM è stato dirompente, ha regalato la vittoria a Biden e la sua forza è tanto reale che ha spinto la parte silenziosa del paese, e impaurita di perdere i privilegi, ad andare a votare “contro” e quindi votare Trump. Che sia la tornata elettorale con più partecipanti non è quindi un caso, così come non è una caso se lo scarto tra Biden e Trump non è molto più ampio di quello tra Clinton, Hillary, e lo stesso Trump.

Gli opposti si sono mossi, chi per la speranza di cambiamento, chi per il conservatorismo. E questo però mostra una forza soggettiva importante, che potrebbe influire nella vita politica degli USA. In Bolivia i movimenti sociali hanno prima fermato il golpe delle destre e poi, una parte certamente importante ha “trattato” con il Mas, ridimensionato alcuni ruoli ed è tornata a votare, cosa che invece non hanno fatto gli elettori di destra.

In Cile l’ondata di protesta, nata come studentesca e trasformatasi nel più grosso movimento popolare del paese da quanto fu portato al governo Allende, ha non solo aperto alla possibilità di cambiare la costituzione ma anche aperto un processo di critica al neoliberismo che non si vedeva da anni, per non dimenticare dell’esplosione della forza propulsiva del movimento femminista.

Insomma non poco. Come dire quest’ultimo mese di politica nel continente Americano può essere vista con diverse angolazioni, alcune entusiasmanti, altre allarmanti, altre più neutrali e che osservano alle dinamica interne ai paesi.

La certezza è che l’ondata di destra che aveva avvolto il continente dalla vittoria Trump negli Usa, passando per l’elezione di Bolsonaro in Brasile e dalla sconfitta in Uruguay del Fronte Amplio, che di fatto aveva chiuso la stagione dei governi progressisti, si è ora fermata e grazie alla forza dei movimenti si apre una nuova fase. La sconfitta delle destre non è di per una vittoria, ma l’inizio di una fase.

Bisogna valorizzare l’esperienza di Bolivia e Cile , che mostrano una trasformazione anche dell’essere movimento sociale in Latino America, se la stagione dei governi progressisti aveva creato un laboratorio simbiotico tra i movimenti, che decidevano di fare esodo dalle spinte rivoluzionarie, e percorsi elettorali, ora i movimenti rivendicano una maggiore autonomia e questo rende più dinamico, ampio e complesso il contesto.