16 Novembre 2020
Come non bastassero pandemia e crisi economica, arriva una crisi istituzionale
Un paese lacerato dalla pandemia e da una crisi economica che non ha precedenti, trova il modo di farsi ancora più male generando una crisi istituzionale con la destituzione del presidente della repubblica a pochi mesi dalle elezioni politiche di aprile 2021.
L’America Latina, culla del realismo magico di Garcia Marquez, é purtroppo anche il luogo dove, con frequenza, si assiste a situazioni che potremmo definire di realismo tragico.
Un caso emblematico di questa dimensione é rappresentato dal Perù. Qui, le tragiche conseguenze provocate dai fenomeni naturali o, come nell’attualità dalle epidemie, vedono incrementate le conseguenze più distruttive di tali eventi perché trovano terreno fertile nelle enormi sacche di informalità e vulnerabilità sociale esistenti e sono ulteriormente amplificate da livelli quasi incredibili di disuguaglianze e dagli altissimi tassi di corruzione esistenti in ambito politico ed economico.
In questo contesto, il sistema istituzionale si muove in una dimensione formalmente democratica ma che in realtà, secondo la definizione del sociologo Colin Crouch, sarebbe meglio definire postdemocratica.
Una dimensione cioè nella quale la perdita di credibilità delle istituzioni e la conseguente frustrazione, distacco e disillusione della popolazione, offrono spazio quasi totale, se non addirittura assoluto, a dimensioni di gestione politica lasciate in mano ad interessi che non sono realmente della collettività, ma legati a gruppi elitari di potere, principalmente di tipo economico.
Quanto indicato é una premessa necessaria per cercare di capire come é stato possibile che il Perù abbia avuto durante questi ultimi poco più di quattro anni ben quattro diversi Presidenti.
Il penultimo destituito la scorsa settimana e l’ultimo obbligato a rinunciare dopo pochi giorni dalla nomina dallo stesso parlamento che la scorsa settimana aveva destituito il precedente. Parlamento che a sua volta era stato dissolto lo scorso anno, con deputati rieletti da pochi mesi, per durare appena poco più di un anno.
Sono infatti già fissate per il mese di aprile 2021 le elezioni politiche generali per eleggere, durante un periodo di cinque anni, sia il nuovo Presidente della Repubblica, che in Perù non é solo il capo dello Stato ma anche capo del governo, sia il nuovo parlamento, costituito da una sola camera con 130 deputati.
Le ragioni di questo davvero incredibile cambio di presidenti e dissoluzione di parlamenti, in un contesto catastrofico per le conseguenze derivanti dalla pandemia, é dovuto ad accuse incrociate di corruzione.
Che in effetti é un problema generalizzato e gravissimo nei paesi latino americani, che secondo vari studi provoca un danno economico che incide dal 5% al 10% del prodotto interno lordo, drenando risorse all’istruzione, all’assistenza sanitaria, alla modernizzazione e alla competitività che infatti in tutti i paesi della regione – e in Perù in particolare – sono estremamente precari.
Ma il danno provocato dalla corruzione non é solo economico e sociale. É anche politico e culturale. Le ultime indagini del Barometro Sociale per l’America Latina riferite proprio al Perù evidenziano infatti che appena il 53% della popolazione peruviana crede che la democrazia sia il migliore sistema di governo. Oltre il 50% appoggerebbe un golpe militare; il 78% considera che tutti i funzionari pubblici siano corrotti e il 30% afferma di essere stato vittima di atti di corruzione durante l’ultimo anno.
É in questa dimensione, davvero distopica per molti aspetti, che si inseriscono non solo i fatti recenti, ma anche il resto degli avvenimenti politici del paese degli ultimi anni, che vedono tutti gli ex presidenti del Perú, dal 1990 ad oggi, arrestati, contumaci, suicidi per non essere arrestati o indagati per seri atti di corruzione.
Da ultimo, appunto il Presidente Vizcarra destituito dal parlamento per “incapacità morale” a causa di una indagine in corso per corruzione riferita al periodo in cui era Governatore di Moquegua, una regione della costa meridionale del Perù.
Vizcarra non era stato però il Presidente eletto nelle ultime elezioni politiche del 2016, bensì il vice presidente. Il Presidente effettivamente eletto fu Pedro Paolo Kuchinsky, che a sua volta dovette dimettersi il mese di marzo 2018, dopo meno di due anni dall’entrata in funzione, per essere stato accusato di gravi atti di corruzione nel periodo in cui era stato ministro dell’Economia durante la presidenza Toledo (2001-2006).
Il mese di marzo 2018 assume quindi il suo vice, appunto Vizcarra, che dopo un braccio di ferro di alcuni mesi con il parlamento, alla fine di settembre 2019, é dal parlamento stesso sospeso dalle funzioni presidenziali.
Viene nominata una nuova presidente ad interim, che dura però solo poche ore perché Vizcarra, con un colpo di mano e il supporto dell’apparato militare, riesce a ordinare lo scioglimento del parlamento.
Convoca quindi a nuove elezioni parlamentari, realizzate il mese di gennaio 2020. Con un forte astensionismo elettorale, nonostante in Perú esista l’obbligo del voto pena una multa, viene eletto un parlamento frammentato in 9 partiti, nessuno dei quali va oltre il 19%.La scorsa settimana la “rivincita” del parlamento un anno dopo la sua dissoluzione, che riesce a Destituire Vizcarra per “incapacità morale” sulla base – o con il pretesto – delle già indicate accuse di corruzione riferite a quando era Governatore.
La sostituzione del Presidente Vizcarra non é stato però l’epilogo della crisi politica e istituzionale in corso. Nei giorni successivi, durante l’ultima settimana, gli eventi si sono infatti sovrapposti in maniera ancora più imprevedibile. Sotto la pressione di forti manifestazioni popolari, durante le quali sono stati uccisi due giovani partecipanti, anche il suo sostituto ha dovuto presentare la rinuncia all’incarico per cercare di tranquillizzare una situazione sociale che appariva ormai fuori controllo. Quali saranno gli sviluppi futuri? Impossibile prevederlo. Anche perché tra qualche giorno, finalmente, la Corte Costituzionale dovrebbe prendere posizione rispetto a quanto avvenuto e questo potrebbe aprire scenari ancora meno prevedibili.
Certo é difficile dare un senso compiuto a queste ingarbugliate dinamiche politico istituzionali, che superano il paradosso e la ragionevole possibilità di una comprensione logica.
Al di la della buona fede della popolazione che manifesta per preservare un ordine democratico, risulta però evidente che non si tratta solo di scontro politico legato agli ideali, bensì di scontro legato anche – e forse soprattutto – ad interessi di gruppi economici egemonici contrapposti, che hanno i loro referenti nei diversi ambiti del livello politico.
É particolarmente inquietante che una contrapposizione di interessi di questo tipo stia avvenendo proprio in questo periodo, considerando la lacerazione sociale ed economica che il paese soffre dopo otto mesi di pandemia.
Pandemia che, proprio per la fragilità e – spesso – inesistenza dei servizi offerti dallo Stato, in primo luogo quelli legati alla salute pubblica, ha portato il Perù ad essere il paese al mondo con il maggior numero di morti rispetto agli abitanti; ha provocato una diminuzione del PIL 2020 di oltre il 13%; centinaia di migliaia di bambini che non hanno avuto accesso a nessun tipo di istruzione durante l’intero anno scolastico; una disoccupazione alle stelle e oltre il 70% della forza lavoro occupata nei settori informali, senza protezione e ammortizzatori sociali di nessun tipo.