9 Dicembre 2020
Dopo un mese dal conflitto fra Etiopia e la regione del Tigrai, nuove vittime e nuovi esodi che si aggiungono ai precedenti. Migliaia i profughi diretti verso il Sudan.
Lo scorso 4 novembre, il Governo Federale dell’Etiopia ha lanciato un’offensiva militare contro la regione del Tigrai, accusata di aver tenuto, a settembre, elezioni illegali e di aver attaccato la base militare federale del Comando del Nord.
I tigrini, pur rappresentando solo il 6% della popolazione sul territorio, hanno governato il Paese per quasi 30 anni, fino alla nomina, nel 2018, del Primo Ministro Abiy Ahmed, divenuto premio Nobel per la Pace nel 2019.
Da allora i rapporti fra Addis Abeba e l’élite tigrina sono andati deteriorandosi sempre di più in una escalation di accuse di corruzione, di arresti da parte del Governo e di ostruzionismo da parte tigrina.
La ragione di tale inasprimento è stata la decisione di Abiy di rimandare al 2021, causa Covid, le elezioni presidenziali e legislative previste per agosto. I vertici del Tigrai, reputando illegale ed incostituzionale tale decisione, hanno autonomamente indetto le elezioni. Il partito principale, il Fronte di Liberazione del Tigrey ( TPLF), ha vinto con numeri schiaccianti.
Il conflitto ha provocato lo sfollamento di oltre 40mila persone dirette verso il Sud Sudan, ma l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati stima che gli sfollati saranno almeno 200mila. In Etiopia i rifugiati nei campi sono oltre 1 milione. A questi si aggiungono gli out of camp, vite sospese, invisibili fra gli invisibili.
Eritrei e sud-sudanesi entrano da confini invisibili via terra, a piedi. Fuggono perché, anche se non c’è più ufficialmente una guerra, nulla è cambiato nei loro Stati. C’è ancora un regime dittatoriale, un servizio militare a tempo indeterminato, non esiste libertà di stampa, di espressione, di movimento. Al confine della regione ci sono 5 campi profughi.
Ognuno accoglie più di 20mila persone. La stragrande maggioranza sono eritrei che fuggono dal Regime di Isaias Afewerki. I lunghi tempi di permanenza nei campi li spingono a tentare la via della Libia e del mare, con il grande rischio che ne deriva.
La riduzione dei programmi di resettlement, ovvero di ricollocamenti sicuri, in particolare verso gli Usa, con l’amministrazione Trump ha notevolmente ridotto le prospettive per questi profughi ed i corridoi umanitari risultano essere troppo rari ed insufficienti per smaltire un numero così elevato di persone.
Nel 2018 fu attivato il primo corridoio umanitario dall’Eritrea per l’Italia grazie alla Caritas che lavora per organizzare un sistema di accoglienza presso le sue diocesi. Dall’aeroporto di Addis Abeba, partono senza neanche avere un vero passaporto ma, con un Emergency Travel Document che gli consentirà, all’arrivo a Fiumicino, di formalizzare una richiesta d’asilo.
La dimostrazione, seppur discontinua, che gli accessi legali, i corridoi umanitari, costerebbero molto meno agli Stati, sia in termini economici che in termine di vite umane. Ma l’Europa tutta pare non voglia considerare neanche questo dato.
Dopo un mese di conflitto armato, i cui scontri non hanno risparmiato centri abitati, rifugi, passi di montagna ed incroci stradali chiave, le perdite riportate non sono ad oggi stimabili con esattezza per via delle comunicazioni interrotte, ma immagini satellitari mostrano la fuga di migliaia di sfollati ed alcune centinaia di residenti.
Conferme indirette sulle vittime del conflitto in corso provengono, inoltre, dalla Croce Rossa Internazionale nel capoluogo tigrino, la quale afferma che, l’ospedale cittadino è in difficoltà per il numero elevato di persone da soccorrere (l’80% per ferite e forti traumi) e per la mancanza di antibiotici, di disinfettanti e di body bags, i sacchi per i cadaveri.
Profughi e rifugiati cercano protezione nel vicino Sudan. Si stima che oltre 45mila persone abbiano già attraversato la frontiera. Nei campi profughi la situazione è fuori controllo. In alcuni di essi, stanziati sulle linee di fuoco, si registrano gravi crimini in violazione del diritto internazionale umanitario.
In particolare nel campo di Adi Harish sono state uccise 2 persone e 5 sono rimaste gravemente ferite. Inoltre alcune organizzazioni della diaspora eritrea in Europa hanno denunciato che nel campo profughi di Shimelba, vicino al confine con l’Eritrea, passato sotto il controllo dell’esercito federale, migliaia di rifugiati eritrei sarebbero stati presi e caricati a forza sui camion dalle truppe di Asmara e riportati negli Stati da cui erano fuggiti.
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, in visita nei giorni scorsi nei campi profughi allestiti nel Sudan orientale, ritiene che il conflitto non sia finito ed ha chiesto al ministro Abiy, di aprire subito corridoi umanitari nel Tigrai per consentire almeno di portare aiuti umanitari nella regione.
Secondo Abdallah Souleiman, Commissario Sudanese per i Rifugiati, con l’intensificarsi del conflitto, oltre 200mila persone potrebbero riversarsi nel Paese.
Questo esodo porterebbe ad una catastrofe, ad una crisi umanitaria di epiche proporzioni. Uno scenario preoccupante sul quale la comunità internazionale dovrebbe intervenire rapidamente per evitare che l’intero Corno d’Africa si trasformi in una enorme polveriera densa di nuove ed innocenti vittime, di nuovi sfollati e di nuovi profughi.
Intanto, il conflitto interno in Etiopia s’inasprisce di ora in ora ed il rischio reale di una profonda ed incontrollata devastazione di tutto il Corno d’Africa diventa sempre più reale. L’aumento delle migrazioni, via terra e via mare una delle maggiori e presumibili conseguenze.
CRONOLOGIA DELLA CRISI
Il 15 novembre: il presidente del Tigrai, Debretsion Gebremichael, aveva accusato l’Eritrea di aver inviato militari oltre confine e di aver attaccato con armi pesanti Humera. E’ confermato che i missili del Fronte di Liberazione del Tigrai (TPLF) hanno raggiunto Asmara. Le esplosioni sentite in tutta la capitale sono state ben tre. Un missile ha quasi colpito il Ministero dell’Informazione e tutta l’area davanti l’edificio è stata isolata. Da allora, manca ancora la corrente elettrica. Un autobus è stato assaltato e 34 persone sono state assassinate. La notizia dell’aggressione in Eritrea è stata confermata da Agence France Presse (AFP) e da fonti diplomatiche con base a Addis Ababa, capitale dell’Etiopia.
Il 22 Novembre: Abiy Ahmed ha rivolto un ultimatum alla regione ribelle del nord del paese ed ai membri del Fronte per la Liberazione del Tigrai. Nella missiva scrive testualmente: “I vostri giorni sono giunti al termine. Il vostro viaggio di distruzione è arrivato alla fine. Arrendetevi pacificamente entro 72 ore, ammettendo di aver raggiunto un punto di non ritorno”.
Il Governo Federale è ormai alle porte di Mekelle, capitale del Tigrai, dove si nascondono i traditori dello stato di diritto. Secondo Abiy, l’élite tigrina si nasconderebbe nelle scuole, negli istituti religiosi e addirittura nei cimiteri. Varie aree della regione sono state già conquistate: Adigrat, Axum Dansha, Humera. Manca la presa della capitale e la cattura dei vertici del Fronte di Liberazione del Tigrai(Tplf).
Il 25 Novembre: a nord del Paese, nella città di Maikadra, in un solo giorno sono state trucidate almeno 600 persone, prevalentemente di etnia Amhara, massacrate a colpi di machete e di armi da fuoco da un gruppo giovanile “Samri” del Tigrai.
Il 28 Novembre: scaduto l’ultimatum lanciato dal Ministro Abiy, è stata assalita e conquistata la capitale Mekelle. Il 44 enne, Primo Ministro e vincitore del Nobel nel per la Pace nel 2019, aveva promesso, che i civili non sarebbero stati coinvolti. Promessa quanto mai disattesa! Gli operatori umanitari in loco, stimano che, almeno 500mila civili sono stati coinvolti nelle esplosioni, diversamente da quanto riferito da Billene Seyoum, portavoce dell’ufficio del Primo Ministro che, addirittura, nega l’attacco.
Dalla Siria alla Libia, passando per il Corno d’Africa, non c’è pace per il Continente africano. Guerre intestine, lunghe e cruenti si susseguono in una catena di morte, di stenti e di negazioni che, non risparmia nessuno e che nessuno vuole davvero fermare. A farne le spese sono e saranno sempre gli stessi. Esseri umani nati nel luogo sbagliato, in un tempo che sembra non migliorare mai. Esseri umani schiacciati ed oscurati da poteri ed interessi sempre più incalzanti, sottesi e finanziati.