di Roberto Mapu
10 Dicembre 2020
In attesa che venga modificata la Costituzione cilena dopo la vittoria del referendum, resta la lotta politica dei prigionieri politici di Pinera
A più di un anno dall’inizio della rivolta sociale del 18-O, la situazione politica in Cile è ancora sotto gli occhi vigili degli organismi nazionali e internazionali, soprattutto per quanto concerne il rispetto, la tutela e la protezione dei diritti umani.
In questo arco temporale, nonostante le piccole e grandi conquiste finora ottenute dal popolo cileno, il modello socio-economico non è cambiato e con la pandemia del Covid-19 le disuguaglianze, prodotte da un sistema di salari minimi bassi e un limitato accesso ai beni essenziali, come la salute, non hanno fatto che amplificare un malessere latente nella maggioranza della popolazione.
Dopo il lockdown di sette mesi, le proteste sono ricominciate e Plaza de la Dignidad ancora una volta è diventata il fulcro delle richieste popolari che esigono a gran voce la rinuncia del governo del Presidente Sebastián Piñera, accusato per gravi e sistematiche violazioni ai diritti umani e, adesso, sotto i riflettori anche per la sua possibile partecipazione in triangolazioni illecite di denaro con AFondiPensioni Habitat e Moneda Asset.
Si può sostenere che, assieme al doppio ritiro del 10% dei Fondi Pensioni, finora il vero trionfo è rappresentato dal Plebiscito del 25 di ottobre scorso, che ha registrato una delle maggiori partecipazioni nella storia con una affluenza record del 79% degli aventi diritto e la vittoria del “apruebo” (78,27%) per una nuova Costituzione attraverso la formazione di un’Assemblea Costituente, composta da 155 membri da eleggere l’11 di aprile 2021.
Il processo, per dare vita a una nuova costituzione che metta fine all’eredità della dittatura di Pinochet, si è messo in moto, nonostante i forti contrasti intorno alla regola dei 2/3 del quorum, al numero di costituenti dei popoli originari, alla partecipazione degli indipendenti, all’inclusione e partecipazione di alcune categorie (come i residenti all’estero, i quali purtroppo sono stati esclusi).
Il dibattito, a più di un mese dal voto, va avanti e verte anche sul tema e dilemmi della reale partecipazione degli attori rappresentativi della cittadinanza, e sul contenuto strutturale della nuova carta che dovrà essere plurinazionale, paritaria, solidale, e costruita attorno a nuovi vincoli e diritti sociali.
Di fronte a questo potere decisionale di democrazia diretta partita dal basso, la repressione a cui s’assiste oggi ancora durante le manifestazioni indica che non vi è stato un cambiamento dei metodi utilizzati da parte delle FF.EE. di carabineros, e che anzi con il passare del tempo questi sono stati implementati e intensificati.
Dopo lo scandalo del giovane di 16 anni spinto nel fiume Mapocho dal ponte Pío Nono e gli spari ai due minori all’interno di un centro Sename di Talcahuano, il 19 di novembre il generale dei carabineros Mario Rozas ha rinunciato al suo incarico.
Sotto il suo operato dal 18-O più di 30 persone sono morte, 460 presentano lesione oculare (2 delle quali sono rimaste cieche e 35 con la perdita totale di uno degli occhi. Assieme a questo triste primato, sono state presentate più di 2.250 querelle contro le FF.EE per violazioni dei diritti umani le quali, nella maggior parte dei casi, si stanno chiudendo con pene lievi per i responsabili e persino s’assiste a casi d’impunità per fatti di dominio pubblico.
Ricardo Yáñez, il suo successore e braccio destro, ex soprintendente, nonostante le raccomandazioni di attivare un processo di riforma ed educazione dell’arma al rispetto dei diritti umani, sembra non volere cambiare strategia, viste anche le ultime pesanti accuse di presenza di sostanze tossiche nell’acqua lanciata dai guanacos.
L’1 di novembre in un’intervista, alla domanda sul progetto d’indulto per le persone detenute dalle proteste dell’ottobre del 2019, il presidente Sebastián Piñera ha dichiarato che in Cile “non ci sono prigionieri politici”, che “il Governo non fa prigioniero nessuno” e che liberarli sarebbe come “passare sopra ai tribunali di Giustizia”. Poco dopo un mese, il 4 di dicembre una sentenza in seconda istanza assolve a 61 agenti della DINA e condanna ad altri 42 senza carcere per la Operación Colombo, che portò alla scomparsa di 119 persone.
Sul concetto di prigioniero/a politico/a
Dopo 326 giorni di custodia cautelare, di cui 8 mesi senza potere ricevere visite, l’1 di dicembre la Procura ha condannato a 5 anni (e a un’ammenda di 300 milioni di pesos per danni, circa 333.000€) Marcelo Mandujano. Mandu, uno studente all’ultimo anno d’Ingegneria Civile Meccanica nell’Università di Magallanes, è l’unico accusato dell’incendio di una AFP Habitat in Punta Arenas, durante le di proteste del 12 di novembre 2019.
E, nonostante il suo avvocato difensore abbia sostenuto fino alla fine le forte irregolarità presenti nelle indagini, Mandu dovrà scontare la sua condanna sotto arresto domiciliario intensivo.
Diversa la sorte di Diego Contreras Bustos, 20 anni, condannato il 6 di ottobre a 3 anni e un giorno per il lancio in via pubblica di una molotov in Tarapacá. Detenuto nel centro penitenziario dell’Alto Hospicio, dopo quasi 7 mesi senza ricevere visite e aiuto psicologico, il 3 di novembre ha tentato il suicidio. Episodi simili, dovuti alle misure di isolamento del regime carcerario, si sono verificati anche ad Antofagasta e Concepción.
E anche di Jesús Zenteno Guíñez, 23 anni, studente di pedagogia in musica, dal 15 novembre in custodia cautelare in Santiago 1, accusato assieme ad altre due persone (Matías Rojas Marambio e Benjamín Espinoza Gatica) per lancio di molotov e incendi contro beni immobili, tra i quali l’Hotel Principato, vicino Plaza Baquedano, tra il 12 e il 14 di novembre. Le prove contro di loro provengono da due carabinieri infiltrati nelle manifestazioni, in operazioni chiamate in gergo “marchas preventivas”, e rischia una pena di 18 anni.
La cosa certa è che dal 18-0, migliaia di persone sono ancora in attesa di giudizio e la maggior parte di queste furono arrestate durante le manifestazioni. Detenzioni arbitrarie, misure cautelari al di là dei termini di legge, processi giudiziari lenti, montaggi e accuse false, pene non commisurate alla gravità del fatto, visite proibite per famigliari e amici, sono alcune delle tante situazioni e problemi in cui si trovano i carcerati/e della rivolta e che le organizzazioni in difesa dei loro diritti contestano al governo di Piñera.
In carcere sono finiti minori, ragazzi, adulti, uomini, donne, studenti/e, lavoratori, padri, madri; nella maggior parte usciti/e per le strade a manifestare la propria opinione e il proprio pensiero e dissentire delle politiche socio-economiche imposte dal governo, chiedendo in piazza un cambiamento per vivere in una società più equa e giusta.
Dal diritto alla libertà di opinione ed espressione, al diritto a manifestarsi, i diritti umani universali sanciti dall’ONU nella Dichiarazione Universale del 1948 sembrano essere il punto debole del sistema democratico cileno. Infatti, al diritto a manifestare il proprio dissenso non corrisponde un atteggiamento da parte delle forze di polizia di rispetto dei diritti umani e non esistono limiti affinché l’arma non abusi del potere dell’uso della forza. Il caso cileno evidenzia, infine, un altro elemento fondamentale, da dove risulta ancora più evidente la crisi strutturale dei diritti umani, e riguarda la necessità dell’esistenza di un potere giudiziario indipendente che agisca in funzione della loro salvaguardia, facendoli rispettare in un contesto di Stato di diritto.
Secondo i dati della Procura Generale, finora sono state formalizzate 5.084 persone per presunti delitti commessi durante le manifestazioni, delle quali 648 si trovano sotto custodia cautelare e 725 sono stati già condannati. Gli imputati in generale sono relazionati con attentati contro le stazioni delle metro di Santiago, saccheggi, incendi, possesso o lancio di bombe molotov, disordini pubblici e violenza istituzionale. A loro volta, molti degli imputati contestano che le prove d’accusa sono opera di montaggi, false testimonianze e dichiarazioni di colpevolezza storte con la violenza durante l’arresto.
In questo senso, secondo il Report della Commissione dei Diritti Umani di Que Chile Decida Extranjero affinché ci sia la liberazione dei prigionieri/e politici/che è fondamentale che ci sia un sistema giudiziale che rispetti in primo luogo gli standards del diritto internazionale dei diritti umani.
Gli standards cui fa riferimento sono molti, tra i quali figurano il “Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici” (ONU 1966, ratificato dal Cile nel 1972) e la “Convenzione americana sui diritti umani”.
In particolare, l’art. 9 del PDCP dichiara che nessuno può essere arrestato o detenuto arbitrariamente; se ciò avviene, deve essere informato del motivo dell’arresto e delle accuse contro di lui; se l’accusa è penale deve essere portato al più presto dinnanzi a un giudice ed ha il diritto di essere giudicato entro un termine ragionevole, o rilasciato.
Il Report fa anche riferimento alla risoluzione 1900 (2012) dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) sul concetto di prigioniero politico e ai casi nei quali la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha affrontato la privazione della libertà attraverso la custodia cautelare e specificato che questo provvedimento di natura eccezionale non può avere carattere punitivo e può avvenire solo se vengono rispettati determinati elementi e requisiti, quali la finalità legittima della prigionia, l’idoneità, la necessità e la proporzionalità (Norín Catrimán Vs. Chile, 2014).
L’appello
La situazione critica dentro le carceri e la liberazione dei detenuti/e, ritenuti/e “luchadores/as sociales”, ha attivato fin dal principio una rete di appoggio da parte di associazioni e movimenti di base che hanno assistito e garantito l’accesso a un equo giudizio e protetto i detenuti/e politici/che in questi mesi, nei limiti del Estado de Excepción Constitucional imposto dal governo; e molte sono state le iniziative di solidarietà nazionali e internazionali che si susseguono con maggiore intensità a partire da novembre.
Manifestazioni di solidarietà per i prigionieri/re si sono avute tutti i giorni in tutto Cile, raccolta fondi per le spese legali, colletta di beni di prima necessità e tombolate, biciclettate solidali, incatenamenti di studenti per protesta, scioperi della fame dei famigliari dei detenuti/e, adozioni e appoggio legale a distanza, fino ad arrivare alla presentazione di un progetto di Ley de Indulto General.
Tutte queste iniziative hanno creato una rete di protezione e tutela, che oggi convergono, scegliendo simbolicamente la Giornata internazionale dei Diritti Umani, per lanciare un nuovo appello per la liberazione e l’amnistia dei prigionieri/e politici/che della rivolta sociale.
A partire dalla Coordinadora 18 de octubre (associazione di famigliari dei detenuti/e politici della rivolta sociale), l’appello di solidarietà è stato accolto da organizzazioni e associazioni territoriali nazionali e internazionali, quali la Coordinadora Libertad y Justicia por lxs presxs politicxs, l’Organización de Familiares y Amigos de Presos Políticos (OFAPP), Londres 38, Defensoría Popular, la Comisión de Derechos Humanos di Que Chile Decida Extranjero, la rete Chile Despertó Internacional e Italia, Red europea de chilenos por los derechos cívicos y políticos, artisti e figure pubbliche, una rete immensa che vuole sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale delle condizione in cui si trovano i detenuti/e a partire dal 18-O ed esigere una legge di amnistia o indulto immediata, che metta fine al regime carcerario a cui sono sottoposti, contrario al rispetto dei diritti universali dell’uomo.