13 Aprile 2021
La seconda puntata del reportage di Martina Ferlisi, scelto nel 2020 dalle giurie dei pitching di Meglio di un romanzo
La seconda puntata del reportage di Martina Ferlisi, scelto nel 2020 dalle giurie dei pitching di Meglio di un romanzo.
In Valtellina, nei primi decenni del ‘900, vengono poste le basi di quello che diventerà uno dei più grandi complessi sanatoriali d’Europa, specializzato nella cura della tubercolosi ma soprattutto segno di un diritto universale alla salute perseguito con determinazione da medici e architetti, convinti della necessità di strutture ospedaliere radicate nel territorio, funzionali e accessibili a tutti. Cosa resta di quella visione in tempi segnati da una nuova pandemia e dal bisogno fondamentale di cure? ll Villaggio Morelli di Martina Ferlisi è uno dei due reportage scelti a Festivaletteratura 2020 dalle giurie dei pitching di Meglio di un romanzo per essere sviluppati a puntate sul sito del Festival e qui. La prima puntata si addentra nella storia del sanatorio e nelle sue architetture, attingendo anche alle fonti conservate presso il Museo dei Sanatori di Sondalo.
2 puntata.
di Martina Ferlisi
Il 24 marzo, per molti, è un giorno come un altro. Il 24 marzo del 1882, per i più, non è una data da ricordare. Una di quelle che si imparano a scuola, si sottolineano sulle pagine consumate del libro di storia o che la professoressa potrebbe chiedere durante l’interrogazione. Eppure, non è una data qualunque.
Il 24 Marzo del 1882, il Dottor Robert Koch, medico batteriologo e microbiologo prussiano, svela finalmente la causa della malattia più temuta e pericolosa di tutto il secolo: la tubercolosi. Fino ad allora, gli studiosi si dividevano tra chi sosteneva che la malattia fosse ereditaria e chi invece era convinto che fosse contagiosa. Le ipotesi erano molte, ma le cause rimanevano ignote. La sua scoperta non lasciò più spazio a dubbi: il responsabile di tante, tantissime morti e di secoli di superstizioni, paura e fantasie romantiche, è un batterio, il mycobacterium tubercolosis, rinominato “Bacillo di Koch”. Proprio in ricordo di quella data, ogni anno, il 24 marzo si celebra la Giornata Mondiale contro la Tubercolosi, un invito a fermarsi a riflettere e, come si legge sul sito dell’OMS, “ad aumentare la consapevolezza sulle devastanti conseguenze sanitarie, sociali, economiche della malattia e intensificare gli sforzi per porre fine all’epidemia di tubercolosi”. Sì, proprio lei, la tubercolosi.
Ma come? La tubercolosi? Ma non era scomparsa? Com’è possibile che ancora si parli di epidemia nel 2021? Qualcuno si domanderà. La verità è che la tbc non solo non è scomparsa, ma è ancora oggi una delle più diffuse malattie infettive al mondo e una delle prime cause di morte da singolo agente eziologico (cioè da singolo agente che causa la malattia). I paesi più colpiti sono India, Cina, Sud Africa e nel 2019 sono stati 1.400.000 i morti di tbc a livello globale su 10.000.000 di ammalati circa. Certo scoprirne le cause, come spesso si dice, è il primo passo per la guarigione e infatti, grandi passi avanti sono stati fatti dopo la rivelazione di Koch. Purtroppo però non è bastato. Purtroppo non è così semplice. La tubercolosi è una malattia complessa. Non è sufficiente essere stati infettati dal bacillo per ammalarsi. Ci sono anche altri fattori che favoriscono lo sviluppo della malattia, come la povertà, la malnutrizione, la scarsa igiene, lo stato immunologico. Una multi-fattorialità teorizzata da un altro grande medico prussiano dell’epoca, forse il più grande e saggio di tutti, Virchow. Era presente anche lui alla conferenza della Società Fisiologica di Berlino, il giorno dell’annuncio di Koch, ma invece di complimentarsi con il collega per l’importante progresso scientifico, si alza e abbandona la sala. Aveva capito che quello era solo un punto di inizio e non di arrivo, un’altra delle tappe fondamentali di una storia lunga quanto quella dell’uomo, anzi di più.
Una lunga storia
“Il batterio della tbc è uno dei primi organismi viventi, forse in assoluto uno dei primi organismi complessi con cui l’uomo ha sempre dovuto convivere. È nato l’uomo e la malattia c’era già”, dice il Dottor Giorgio Besozzi, medico pneumologo in pensione che ha dedicato la sua intera carriera allo studio della tbc. Dal 2000 al 2010, è stato il primario del reparto di tisiologia proprio dell’ospedale Morelli di Sondalo: “Dal punto di vista professionale l’esperienza più bella della mia vita”. Oggi non ha smesso di occuparsi della tbc, è infatti il presidente di StopTb Italia, un’associazione che si occupa di diffondere ed esportare informazione e formazione sulla tubercolosi, due delle armi più potenti per combattere qualsiasi malattia.
“Le tracce più antiche del batterio sono state individuate nei resti di un bisonte di circa 18mila anni fa”, continua il Dottor. Besozzi, “anche se pare che recentemente siano state trovate anche nello scheletro di una specie di serpente piumato risalente a milioni di anni fa.” Non è ancora chiaro se il batterio sia mutato trasmettendosi dagli animali agli umani o se sia derivato da un antenato comune, in ogni caso gli uomini preistorici avevano già la tubercolosi nel 4.000 a.C. La prima “morte celebre” di tubercolosi è stata probabilmente quella della regina Nefertiti, moglie del faraone Akhenaton nel 1350 a. C. Vi sono inoltre riferimenti a sintomi della tbc nell’antica medicina cinese, in quella indiana e negli scritti di Ippocrate – il termine tisi deriva proprio dal greco phthisis, consunzione. Tubercolosi deriva invece dal latino tuberculum, diminutivo di tuber, bozzo, rigonfiamento.
Eppure, per molto tempo ancora la tubercolosi rimarrà un grande mistero, tanto che saranno la superstizione, le credenze popolari, le leggende e la fantasia ad accompagnare la sua narrazione facendo cambiare a malati e malattia più volte nome e forma. Nel Medioevo, la tubercolosi assume le sembianze di un demone dall’aspetto di un cane che si impossessa del corpo degli ammalati per mangiarne i polmoni. La tosse dell’ammalato è l’animale che sta abbaiando e il sintomo che la morte è ormai vicina. Si diceva anche che gli ammalati fossero usati dalle streghe per raggiungere i Sabba ogni giovedì notte. “Cavalcati dalle streghe”, per il grande sforzo di trasportarle sulle loro spalle durante la notte, erano sempre stanchi, smunti ed emaciati.
Con l’affermarsi della cristianità, si diffonde la credenza che i re taumaturghi, re capaci di curare grazie alla loro natura divina, potessero guarire gli ammalati di scrofola con la sola imposizione delle mani, il cosiddetto “Tocco reale”. La scrofola non era altro che l’adenite tubercolare, un’infezione dei linfonodi del collo dovuta al Mycobacterium e verrà poi ribattezzata mal du roi (il male del re) in Francia e king’s evil in Inghilterra. Pare che Carlo II, re d’Inghilterra, Scozia e Irlanda, nel corso della sua vita sia arrivato a toccare 100.000 malati e perfino Shakespeare la racconta nella terza scena del quarto atto del Macbeth: “C’è una folla di pover infelici che aspetta la sua cura. La loro malattia sfida ogni sforzo dell’arte. Ma il cielo ha dato alla sua mano tale santità, che al suo tocco subito guariscono”. Oppure ancora, i malati di tbc venivano accusati di vampirismo: succhiavano la vita dei propri familiari in cerca di sangue, infettandoli e facendoli ammalare a loro volta; una fantasia alimentata dalla contagiosità della malattia e dall’aspetto degli ammalati, dai loro corpi scheletrici, dal loro colorito pallido, dagli occhi rossi, gonfi e sensibili alla luce.
È la rivoluzione industriale a riportarci alla realtà, quella più dura e più difficile. I lavoratori dei campi si trasferiscono nelle città, nasce il proletariato urbano, costretto a vivere in condizioni igieniche precarie, in alloggi piccoli e sovraffollati. È così che la tbc esplode e i casi di malattia subiscono un’impennata. A Londra, all’inizio del Settecento, moriva di tubercolosi una persona su sette, alla fine del secolo una su quattro. La tubercolosi si afferma come malattia sociale.
L’Ottocento
“Il male del secolo”, è così che viene rinominata la tubercolosi nell’Ottocento, ma anche “mal sottile” o “mal di vivere”. La malattia entra infatti a far parte dell’immaginario culturale e letterario collettivo, come una malattia romantica che si credeva concedesse al malato sensibilità, purezza spirituale e un’occasione di redenzione e nobilitazione dell’animo. Le donne dei ceti più alti arrivarono a impallidire volutamente il loro viso, per avere un aspetto malato. La tubercolosi divenne di moda, quasi una condizione desiderabile e invidiabile.
In parte furono artisti, pensatori, intellettuali a plasmare il sentire comune. Quelli che si ammalarono, quelli che accompagnarono la malattia di persone a loro care, quelli che ne scrissero, che la rappresentarono nelle loro opere. La lista è davvero lunga. Pare che Chopin da bambino cominciò a soffrire di una tosse incessante che lo accompagnò fino alla morte. “Tu pria che l’erbe inaridisse il verno, da chiuso morbo combattuta e vinta, perivi, o tenerella. E non vedevi il fior degli anni tuoi”. Sono i versi dedicati da Leopardi A Silvia, nella realtà Teresa Fattorini, morta per il chiuso morbo, la tubercolosi. “Matilde figlia di Alessandro Manzoni. Qui riposa spenta da lento morbo”. Sono invece le parole dell’epigrafe mortuaria dettate da Manzoni per la tomba della figlia Matilde, malata anch’essa di tbc.
Alla visione romantica delle malattia contribuirono anche le protagoniste delle grandi opere, come Violetta de La traviata di Giuseppe Verdi, la rappresentazione musicale della tbc per eccellenza, a sua volta ispirata a La signora dalle camelie di Dumas o Mimì e la sua “gelida manina” de La Bohème di Puccini. Senza dimenticare poi nei primi del Novecento, La montagna incantata di Thomas Mann che è ambientata nel famoso sanatorio di Davos (lo stesso in cui Sorrentino girerà il suo film Youth) e fece guadagnare il Nobel per la letteratura al suo autore o l’Urlo di Munch e il rosso del suo tramonto che rievoca il sangue, forse quello della madre malata di tbc.
Ma c’è dell’altro. Susan Sontag direbbe che “il modo più sano di essere malati è quello che meglio riesce a purificarsi dal pensiero metaforico e a opporvi resistenza”. Tuttavia, nel caso della tubercolosi, risulta molto difficile non identificarsi con i propri sintomi, pensare alla malattia come “un’alterazione organica, casuale del vivente” come dice Francesca Mannocchi nel suo ultimo libro Bianco è il colore del dann”. “L’ho osservata per molto tempo è ho capito che il “fascino” della tubercolosi c’entra molto con il tempo” dice il Dottor Besozzi. La tbc è infatti una malattia lenta, che consuma l’uomo lentamente e durante questa lenta consunzione (oggi per fortuna guarigione), la persona ha tutto il tempo di rielaborare la sua condizione, di essere mortale, di malato, di uomo; di fermarsi, per forza fermarsi, e pensare. Kafka era convinto di essere affetto da una “malattia spirituale”. “Sono malato di mente, la malattia polmonare non è altro che lo straripare della malattia mentale”, scrisse a una delle sue amanti. Moravia disse che senza la tubercolosi forse non avrebbe mai iniziato a scrivere.
L’Ottocento è anche il secolo delle scoperte, scientifiche e mediche, come quella di Koch e di Virchow, come lo stetoscopio per l’auscultazione polmonare o il radiografo per “vedere” finalmente la malattia, ma soprattutto è il secolo in cui nasce l’idea di sanatorio. L’intuizione è dell’erborista prussiano Brehmer che, malato lui stesso, decide di partire per conoscere il mondo prima che fosse troppo tardi. Arriva addirittura in Himalaya, dove si ferma e tra le vette del “Tetto del mondo” ricomincia lentamente a respirare. Tornato in Germania fonda a Görbersdorf sui monti della Slesia, il primo ospedale dove i pazienti vengono curati con l’esposizione all’aria d’alta montagna e un’alimentazione nutriente ed abbondante. L’istituzione dei sanatori inizia a diffondersi in tutta Europa.
I sanatori in Italia
La storia della tbc si intreccia dunque con quella dell’uomo che a sua volta si intreccia con quella delle strutture sanatoriali. L’Italia arriva un po’ in ritardo, ma già nei primi del Novecento si rimette al passo. È infatti in questi anni che ha inizio la battaglia contro la tubercolosi in Italia. È una battaglia contro 60.000 morti all’anno. È una battaglia non scevra da toni pomposi, propagandistici e populisti. Il fascismo la definisce infatti “La bonifica del popolo”, l’estirpazione della malattia che rendeva l’uomo debole e incapace di prendere parte alle gesta belliche per l’Impero. Nel 1927 viene promulgata La Legge per l’Assicurazione Obbligatoria contro la tbc e avviata un’imponente campagna di costruzioni sanatoriali. Dal 1928 al 1940, vengono costruiti 63 nuovi sanatori sparsi su tutto il territorio nazionale, tra questi anche il Villaggio Morelli di Sondalo.
Costruirlo è un’opera senza precedenti. I lavori sono affidati all’impresa Daniele Castiglioni di Milano e nel corso del 1932, arrivano a Sondalo 1.400 operai e tecnici da tutta Italia per unirsi alla manovalanza del posto. Il cantiere risulterà essere uno dei più imponenti del tempo. Bisognava ridurre la montagna a gradoni, deviare il corso di un fiume e costruire una strada che collegasse gli edifici, il tutto con i pochi macchinari a disposizione del tempo. La maggior parte del lavoro verrà infatti eseguita a mano, con i picconi, dagli operai in camicia bianca, simbolo di dignità ma anche indumento per essere più visibili, riconoscibili e controllabili. L’organizzazione del cantiere è dunque molto rigida e razionale, e permette non solo di rispettare ma anzi di ridurre i tempi previsti per la costruzione.
Nel 1940, il Villaggio con tutti i suoi impianti all’avanguardia è pronto, mancano solo gli arredi e le attrezzature mediche. Il sanatorio tuttavia, accoglierà i suoi primi pazienti, per lo più reduci dai campi di concentramento, solo dopo la seconda guerra mondiale e grazie alle donazioni di un ente benefico internazionale il “Dono Svizzero”. Sarà poi attivo come sanatorio, esclusivamente maschile, dal 1946 al 1971 anno in cui verrà programmata la sua dismissione. “Il Villaggio Morelli è stato un sanatorio capace di guidare la ricerca antitubercolare a livello nazionale e internazionale fino agli anni ‘70, quando i sanatori sono stati chiusi. Non servivano più – non c’erano più tanti malati – erano diventati cattedrali nel deserto”, dice il Dottor Besozzi. “Il Morelli viene dunque trasformato in ospedale e, grazie alle competenze sviluppate dalla cura della tbc diventa un gioiellino dal punto di vista del funzionamento, costoso ma estremamente efficace”. La malattia colpisce infatti tutti gli organi e dunque tutte le specialità hanno risentito della cultura ed esperienza medica che si era sviluppata al Morelli. La storia del Villaggio però non sarà a lieto fine. “Purtroppo era così grande che la sua grandezza è diventata anche la sua debolezza”. Conclude il Dottor. Besozzi.
La tbc oggi
Oggi, la tbc in Italia è poco rilevante dal punto di vista epidemiologico, rassicura il Dottor. Besozzi. I casi in Italia si attestano intorno ai 4.000/5.000 all’anno, con una situazione epidemiologica tra le migliori al mondo. Questo ottimo risultato è la conseguenza di una cultura della tbc diffusa in Italia che ha portato risultati eccezionali in poco tempo ed “è legata a tutta una serie di grandi cose che sono state fatte ma anche e soprattutto a grandi persone”. Basti pensare che il primo a sperimentare una tecnica di cura della tbc è stato nel 1885, Forlanini, maestro di Morelli; il primo a realizzare un vaccino antitubercolare è stato Maragliano nel 1903; il primo a proporre una terapia preventiva, allora chiamata chemio profilassi, è stato Zorini nel 1956; chi ha scoperto la Rinfampicina, il principale farmaco con cui ancora oggi si cura la tbc, è stato Sensi nel 1986. “Sono i paletti, sono i veri paletti della storia della lotta alla tbc. C’è stato un impegno anche politico, organizzativo e sociale”, aggiunge il Dottor Besozzi. “C’erano grandi campagne di informazione della popolazione che diffondevano le norme igieniche basilari e creavano la conoscenza della malattia, e conoscere la malattia è un elemento primario di prevenzione: se la conosci puoi combatterla. C’era la formazione del personale e soprattutto la medicina territoriale. Quella che si muove, quella che va verso il soggetto, che non aspetta, che propone che invita a fare screening, che sta attenta, vigila e che non c’è più perché tutto è stato concentrato negli ospedali. C’era anche un bell’impegno economico ma anche le campagne antitubercolari. Per esempio, si vendevano i francobolli per finanziare la costruzione degli ospedali”.
Non bisogna tuttavia abbassare la guardia, la tbc continua a essere una malattia contagiosa che può sfuggire facilmente di mano. Riuscire a ricostruire la catena di contagio della tubercolosi è molto complesso, perché la malattia può rimanere silente per tutta la vita. Sempre di più inoltre, si presentano casi di multi-resistenza ai farmaci dovute a mutazioni dei batteri. Mutazioni lentissime ma che richiedono continua ricerca e capacità di isolamento e tracciamento dei casi. Per questo, l’associazione StopTB Italia organizza ogni anno il 24 marzo il TBDay, due giorni di conferenze e interventi degli infettivologi, pneumologi e tisiologi più attivi in Italia e un momento di confronto aperto a tutti. Per questo abbiamo ancora bisogno di ricordare il 24 marzo 1882.
Testo di Martina Ferlisi. Il ritratto di Robert Koch e la riproduzione dell’opera “La Miseria” di Cristóbal Rojas sono di pubblico dominio. Il documentario “Solidarietà svizzera: dono ai sanatori di Sondalo” è pubblicato nel canale YouTube dell’Istituto Luce-Cinecittà. Le foto storiche di Sondalo e del cantiere del Villaggio Morelli, del manifesto informativo e della copertina del settimanale “La scienza per tutti” sono state gentilmente concesse dal Museo dei Sanatori di Sondalo. © Tutti i diritti riservati.