8 Dicembre 2021
La versione del soldato in attesa del verdetto della Cassazione
Un anno fa la Corte d’Appello d’Assise di Milano ha assolto “per non aver commesso il fatto” il soldato ucraino Vitalij Markiv, condannato in primo grado a 24 anni di carcere dal tribunale di Pavia per il suo presunto coinvolgimento nella morte del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli, che perse la vita insieme all’attivista russo che gli faceva da interprete Andrej Mironov a maggio del 2014, in zona di conflitto militare in Donbas, Ucraina, Un conflitto che è in corso ancora adesso.
Il 9 dicembre prossimo il caso verrà esaminato dalla Corte di Cassazione a Roma. Vitalij Markiv, dopo aver passato tre anni in carcere di massima sicurezza, senza nemmeno la libertà vigilata, da un anno è tornato a casa in Ucraina, da sua moglie Diana.
Dal 2017 il caso Markiv è stato discusso con toni accesi nella stampa italiana e nelle aule del tribunale. In tutta la matassa mediatica la voce di Vitalij Markiv non è stata sentita al di fuori dell’aula, per questo Q Code ha contattato Vitalij Markiv e gli ha chiesto di rispondere ad alcune domande. Per come è andata la conversazione, i redattori preferiscono da qui in poi, lasciare lo spazio alle parole dell’intervistato senza interromperlo.
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Non mi aspettavo di essere assolto in secondo grado. Dopo la sentenza di primo grado, mi aspettavo di tutto. Subito, dalla mattina, avevo un brutto presentimento, perché non potevo partecipare di persona all’ultima udienza per via delle restrizioni della pandemia. Il giorno prima vennero a trovarmi i miei avvocati, l’avvocatessa Rappetti aveva le lacrime agli occhi, gli avevo chiesto una sola cosa: di poter pronunciare l’ultima parola.
Ho puntato tutto su quel discorso, perché finalmente potevo parlare io per conto mio e non attraverso i miei avvocati. L’ultima chiamata decido di farla a mia madre che era presente in aula.
Nella mia testa costruivo già il piano per le future battaglie, ma Fortis fortuna adiuvat.
Sentire le parole della sentenza di assoluzione è stato come respirare finalmente a pieni polmoni dopo aver trattenuto il respiro per tanto tempo, sottacqua. Era come arrivare in cima dell’Everest, con lo zaino pesante sulle spalle, senza ossigeno, spinto solo dalla fede e dal sostegno delle persone che ti stanno vicine.
Mi sono fatto due promesse in carcere. La prima era di fare la strada dal carcere fino al cancello, che ho fatto sempre in gabbia, da uomo libero, avvolto nella bandiera ucraina. La bandiera ucraina rappresenta per me un grande simbolo.
La seconda era di riabbracciare mia moglie, rimasta in Ucraina. Ci scrivevamo le lettere, lei dice che erano 260, io dico che erano circa 240. Non tutte le lettere sono arrivate a destinazione. Il tempo tra una lettera e l’altra era circa di due settimane. Ogni volta era come aprire un così tanto atteso regalo di Natale. Le avevo chiesto di non venire mai a trovarmi, anche l’umiliante processo del primo grado le ho voluto risparmiare, dopo averla vista un’unica volta ancora subito dopo il mio arresto e lo spostamento nel carcere di Pavia. Anche a mia madre e a mia sorella ho chiesto di non venire in carcere, volevo risparmiare loro le umiliazioni e i controlli del carcere. Mia madre era venuta qualche volta lo stesso.
Ho riabbracciato mia moglie il giorno dopo la scarcerazione, all’arrivo all’aeroporto a Kiev. Menomale che ho tenuto la mascherina, perché con tutta l’accoglienza che mi hanno fatto, mia moglie, l’inno ucraino che suonava, era troppo difficile trattenere le lacrime, ma io sono un soldato, mi sono ricomposto in fretta.
Mi sono detto, ricomponiti, ci sono le videocamere che ti riprendono. Non hai mai ceduto durante tutti questi anni, non vorrai cedere proprio adesso, quando l’intero paese ti guarda.
Era venuto il comandante della Guardia nazionale ucraina ad accogliermi ed io prima non avevo mai incontrato il comandante in persona, ero un soldato semplice.
Nella folla ho fatto presto ad identificare i miei compagni e non mi sono più sentito perso.
Non sono mai stato esonerato dal servizio militare. Anche in prigione continuavo ad essere un militare che segue il codice. Quindi ero semplicemente rientrato in servizio dopo lungo tempo di attesa. Nel frattempo però sono stato sospeso dai miei studi all’università e ho subito rinnovato la mia iscrizione. Ora sono al quarto anno della facoltà di giurisprudenza all’Accademia nazionale del Ministero degli Affari Interni. Vorrei proseguire con la carriera militare come ufficiale e per questo vorrei avere l’istruzione adeguata.
Quando avevo fatto la proposta di matrimonio a mia moglie le avevo detto che essere un militare per me non è assolutamente un impulso temporaneo o uno svago, è una scelta pensata e cosciente anche nell’apprendere il fatto che avrei potuto perdere la vita, difendendo la patria, o sarei potuto tornare invalido e lei comunque mi ha risposto di sì.
Ora sono in servizio all’interno dell’amministrazione generale della Guardia nazionale ucraina. Sono sergente di stato maggiore presso il dipartimento della strategia e collaborazione con le strutture militari della NATO. Siamo impegnati nell’elaborare la visione della Guardia nazionale ucraina per i prossimi 15 anni.
La mia giornata inizia la mattina presto alle 5:50, che sia il lavoro di ufficio o le trasferte per vari esercitazioni militari. Cerco di affrontare con il massimo impegno le nuove sfide che mi trovo davanti.
Due ore al giorno le passo in palestra, perché mi attengo all’idea che mens sana in corpore sano. Lo stesso principio lo rispettavo anche dietro le sbarre, mi aiutava a rafforzare il mio spirito. Ma non c’è muscolo migliore che il cervello. Per questo oltre ad allenare il mio corpo, ho passato tanto tempo a leggere. Mia moglie mi mandava i libri, sapeva esattamente cosa poteva piacermi. Ho letto tanti libri sulla storia dell’Ucraina. Perché credo che senza conoscere bene il passato è difficile costruire un futuro.
Quando la tua faccia era appesa in ogni distretto militare in Ucraina è difficile rimanere il Markiv che eri prima dell’arresto, ma nonostante tutto cerco di continuare ad essere ciò che sono. A volte mi riconoscono per le strade, ma spesso mi trovo in imbarazzo e di nuovo è la mascherina che mi salva e mi aiuta a mantenere l’incognito.
Adesso le mie giornate sono cambiate un po’ con l’arrivo del nostro primogenito Orest. La scelta del nome all’inizio era di mia moglie. Ma dopo aver approfondito sul significato è stata anche mia, perché significa ‘colui che scala le vette’. Volevamo iniziare a cercare di avere un figlio durante la vacanza in Italia nel 2017, ma la vita ha preso un’altra piega.
Rispetterò tutte le scelte di mio figlio, se vorrà prendere la mia strada o no, basta che sia un cittadino onesto e partecipe della nostra comunità.
Il mio indicativo di chiamata è l’italiano. Perché sono anche un cittadino italiano. Mi piace molto cucinare i piatti italiani, a dire la verità mi escono anche bene. L’Italia resterà per sempre la mia seconda casa. Il paese che mi ha aiutato a crescere e a formarmi. Qui ho percepito i principi democratici, cosa significa essere un cittadino europeo. Ma allo stesso tempo il periodo passato in Italia mi ha aiutato a capire cosa significa tornare a vivere nella propria patria. Più volte mi sono scontrato con il razzismo verso gli emigrati, ma sono le cose che capitano a tante persone che decidono di emigrare.
Per me l’Italia è il mio patrigno, la persona che ha accolto me e mia sorella come figli suoi e ci ha dato tutto. È stato sempre vicino a mia madre, alle nostre scelte e al popolo ucraino. Per l’Italia sono i cittadini italiani, volenterosi ad aiutare il prossimo nonostante la razza e la provenienza, che mi sono stati vicini nel periodo della mia crescita e formazione. L’Italia per me sono il Partito Radicale e la Federazione Italiana dei Diritti Umani che venivano a darmi il supporto durante i processi. L’Italia per me è la grande comunità ucraina che ha fatto entrare me e la mia famiglia nelle loro case e nelle loro famiglie. L’Italia per me sono le persone che hanno creduto in me e non in quelle cose che scrivevano contro di me, citando le fonti messe in internet dalla propaganda russa. Finché i carri armati russi sono lontani, sono al confine ucraino e non italiano, è facile ripetere ciò, che nel modo velato o non proprio, viene dettato da Mosca.
Non mi sto preparando in particolare per la Cassazione, perché non dovrei partecipare in presenza, ci saranno solo gli avvocati delle due parti e gli onorevoli giudici della Corte di Cassazione. Per esperienza, non voglio fare alcun pronostico per la sentenza . So per certo che io non ho commesso niente e non avrei potuto farlo fisicamente.
In ogni caso dopo la Cassazione lavoreremo sulla causa alla Corte Europea dei Diritti Umani. Chi non ha rispettato la legge nei miei confronti, dovrà rispondere davanti ai giudici.
In carcere spesso pensavo al film con Denzel Washington Hurricane – Il grido dell’innocenza che racconta la storia vera del pugile Rubin Carter, noto anche con il soprannome Hurricane (L’Uragano). Dopo essere ingiustamente condannato a tre ergastoli per triplice omicidio, continua a combattere per la sua innocenza e alla fine – con l’aiuto di un ragazzino appassionato e amici canadesi – giungerà la liberazione. Mi sembra che in questo film avevo sentito la frase che mi sono ripetuto spesso: “Non si può sconfiggere colui che non si arrende mai”.