Un affare di famiglia

di

21 Settembre 2018

Il Giappone delle convenzioni sociali nel nuovo film di Hirozaku Kore-Eda

Un film di Hirozaku Kore-Eda, con Lily Franky, Sakura Ando, Mayo Matsuoka, Kirin Kiki, Jyo Kairi, Miyu Sasaki. Palma d’oro a Cannes 2018. Nelle sale

Kore-Eda è tornato con un film che rischia di essere il più bello di tutto il 2018.
Un’opera che solo in apparenza ripercorre binari abituali, le tematiche dei rapporti familiari, perché guarda al sociale e alle sue amare disuguaglianze come l’autore non faceva da tempo.

In un umile appartamento vivono quasi uno sopra l’altro i membri di una famiglia ai margini della società. Osamu Shibata, l’unico maschio adulto, fa l’operaio edile a giornata e rubacchia nei supermercati con Shota, un ragazzino di una decina d’anni che vive  con lui e sua moglie  Nobuyo, dipendente di una lavanderia, la vecchia nonna Haysue e la zia Aki, che lavora in un sexy bar come una volta faceva anche Nabuyo.

Una sera, mentre Osamu e Shota tornano con le borse della “ spesa” , vedono una bambina chiusa fuori di casa su una terrazza, sola e infreddolita dal gelo dell’inverno. Era lì anche la mattina, quando sono usciti.

Impietosito, l’uomo la prende in braccio e la porta dalla sua famiglia, dove almeno per una notte troverà qualcuno che l’accoglie. Ma la piccola resterà molto più a lungo: è spaventata, teme di essere picchiata se accetta regali e ha lividi e bruciature sul corpo. Cosi nessuno di quel piccolo, strano microcosmo se la sente di riportarla dove è stata presa.

Il film continua per gran parte con il racconto della vita quotidiana degli Shibata che hanno legami di parentela  un po’ nebulosi e vivono di espedienti,  ma si comportano con l’affetto e l’intimità delle migliori famiglie. Sono addirittura commoventi le due scene in cui tutti e sei si divertono a guardare a testa in su la cascata di fuochi d’artificio, dal giardino della loro casetta al pianterreno, e a fare una povera ma allegrissima gita al mare, che non per nulla è sul manifesto italiano del film.

Poi, all’ improvviso, una svolta narrativa svela segreti che  rimettono tutto in discussione.

Quella famiglia, sulla carta e per la legge, non è una famiglia: non tutti i legami sono come appaiono.  La verità però è meglio scoprirla al cinema.

Basti dire che arriveranno polizia e servizi sociali a rimettere tutto a posto e niente in ordine con una giustizia che chiude occhi e orecchie.

Perché se qualcuno ci descrivesse il nucleo degli Shibata e non stessimo vedendo questo film, penseremmo a un arresto immediato. Ma è qui la forza del film e l’amara critica sociale: il grande regista giapponese di Father and Son e Little sister riesce con grazia, delicatezza e una meravigliosa sceneggiatura a farci amare questa aggregazione di ladruncoli & co.

Il motivo?  Al di fuori della normalità e dell’ordine delle città giapponesi, delle belle casette, delle strade pulite e soprattutto delle leggi ,delle convenzioni e del formalismo nipponico, loro si comportano come una famiglia modello dal punto più importante: quello affettivo.

Contrariamente alle famiglie con tutti i crismi legali coinvolte nel film. Gli Shibata, infatti, sono poveri e felicemente fuori dalle regole della rigida società giapponese, ma per gli spettatori è difficile non tenere per loro anche quando tutti i nodi vengono al pettine.

Non sono persone “ perbene” , non sono sempre tutti felici rispetto a quelle dei genitori veri, a prevalere sui problemi e le insoddisfazioni, nella casa irregolare che non sa neanche di chi sia regna un tono caldo e affettuoso.

La famiglia non si sceglie, per definizione. O forse la famiglia è quella che, raramente, si ha la possibilità di scegliere. Non importa dove e come. With compliments, mr. Kore- dea: con il suo splendido film ha toccato un tema universale, che può far riflettere ed emozionare spettatori di Oriente e di Occidente.