9 Ottobre 2018
Diventa un libro la selezione delle storie raccolte dall’Archivio Diaristico Nazionale
«Scrivere è qualcosa per cui mi sento nata, è un luogo in cui mi sento a mio agio». Con queste parole Azzurra, nata in Nigeria 22 anni fa e arrivata in Italia nel 2016, ha descritto che cosa è stato per lei raccontare la sua storia e – nel momento in cui l’ha inviata al concorso DiMMi –Diari Multimediali Migranti dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (AR) – affidarla al mondo. Nel 2017 il concorso ha ricevuto 99 storie migranti e ne ha scelte 10, che oggi sono riunite in un volume pubblicato da Terre di Mezzo: Parole oltre le frontiere (euro 14).
Trovare un aggettivo per la storia di Azzurra, un aggettivo che contenga tutta la brutalità, l’ingiustizia, il dolore che ci sono dentro, senza banalizzarli, è operazione difficile. E lei lo dice chiaramente, quanta fatica le sia costato ricordare. Ma aggiunge che: «Scrivere mi porta via il dolore e mi dà pace».
Azzurra è nata albina in un Paese africano, la Nigeria, che considera l’albinismo una maledizione, per espiare la quale c’è solo un modo: il sangue.
Per proteggere lei e sua sorella, nata con la stessa anomalia congenita della pigmentazione della pelle, i suoi genitori hanno fatto di tutto. Ma non è servito. Azzurra, durante la sua vita di adolescente, ha sperimentato l’odio, la discriminazione, il bullismo, le botte, lo stupro. Finché è riuscita ad arrivare in Italia, dove ha iniziato una nuova vita, finalmente normale, dove c’è spazio anche per sogni ambiziosi: «Sono determinata a diventare la prima donna presidente della Nigeria», scrive. E se non sarà questo, il suo destino, ne troverà un altro: perché chi è passato attraverso l’inferno e ne è uscito vivo, sa che può fare qualsiasi cosa.
«Sono nato durante l’ultima guerra civile della Liberia, nel 1999», scrive Ibrahim Khaleel Jalloh, arrivato in Italia nel 2016. Il suo, di inferno, inizia quando il padre lascia il Paese, affidandolo alla seconda moglie, che non ha nessuna intenzione di occuparsene.
Ibrahim abbandona gli studi, inizia a lavorare duramente. Finché capisce. «Mio padre non poteva aiutarmi, mi rendevo conto tuttavia che con lui non avrei avuto futuro».
Futuro è la parola chiave in tutte le storie di migrazione.
È quella che fa nascere la consapevolezza, anche in persone giovanissime, che c’è una differenza tra sopravvivere e vivere.
Ibrahim, dunque, intraprende il Viaggio. Costa d’Avorio, Burkina Faso, Niger. Infine, Libia. Dove l’inferno si fa ancora più tetro, perché viene rapito per due volte dal gruppo armato degli Asma Boys. Riesce a fuggire, gli sparano a una gamba, perde molto sangue.
Chi lo soccorre gli consiglia di partire per l’Italia. E lui, a questo proposito, ricorda: «… questa soluzione era allora per me impossibile e pericolosa: ero troppo debole! Mi rendevo conto però che non avevo alternativa: Venire in Italia era l’unica possibile soluzione, dovevo assolutamente farmi coraggio e correre tutti i rischi che la decisione comportava!». Ci riesce.
A conclusione del suo racconto, al nostro Paese dedica queste parole: «Penso che l’Italia è la mamma che ogni bambino sarebbe fiero di avere, una mamma che lo accarezza con amore dolcezza! Una mamma che asciuga le nostre lacrime, dà riposo alle nostre sofferenze, ci dà un alloggio se siamo soli senza un tetto sotto il quale riposarci, una mamma che si preoccupa se siamo deboli e ci dà da mangiare se abbiamo fame…». E forse non occorre, davvero, aggiungere altro.
Nel volume ci sono anche le storie di Faiz Farag, egiziano. Elona Aliko, albanese. Hassan Osman Ahmed, somalo. Judith, camerunese. Ghayas Uddin, pakistano. Mohammad Reza Hosseini, iraniano. Melanny J. Hernandez R., venezuelana. E Dominique Boa, ivoriano.
Parole che – essendo scritte in prima persona – consentono di ridare pieno significato alla parola migrante che, come dice bene la scrittrice italosomala Igiaba Scego nella postfazione al volume, si è ormai svuotata di significato. «Ne vediamo finalmente la consistenza. Tutto diventa materia, tutto diventa reale», afferma.
Il 14 settembre scorso, a Pieve Santo Stefano, sono stati annunciati i vincitori del concorso del 2018: il Comitato Scientifico ha deciso di premiare “ex equo” sette storie e di segnalarne altre quattro. Tutte saranno pubblicate nel 2019 nel secondo volume della collana DiMMi, sempre da Terre di Mezzo.
«Abbiamo ricevuto 88 racconti provenienti da quattro continenti: America Latina, Asia, Europa, Africa», spiega Natalia Cangi, direttrice dell’Archivio Diaristico Nazionale. «E sono tutti molto diversi tra di loro. C’è quello di una ragazza rumena che parla della sua vita dopo la caduta del dittatore Ceausescu; di un’argentina giramondo che arriva in Italia per amore e si impegna nel teatro sociale a favore dell’integrazione; di un’ivoriana che compie il viaggio attraverso la Libia e descrive l’angoscia di lasciare il suo Paese.
E c’è la vicenda sorprendente di un ragazzino che a 10 anni (oggi ne ha 14) decide di lasciare la Guinea perché – come ci ha raccontato – nonostante la sua giovane età sapeva che, restando, sarebbe stato schiavo. Un giovane che ha un talento innato per la scrittura. Storie diverse, molte delle quali accomunate da un unico tema: il dramma della separazione dalla famiglie».
DiMMi continua la sua strada: il bando per il concorso del 2019 sarà a breve online, lo si potrà trovare sul sito dell’Archivio.
È aperto a migranti che vivono o hanno vissuto in Italia e che vogliano raccontare la propria vicenda in forma scritta, ma anche attraverso la fotografia, il disegno, la musica.
A questo progetto se n’è aggiunto un nuovo e più ampio, DIMMI di Storie Migranti finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e promosso dalla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale, che vedrà coinvolte 47 organizzazioni guidate dalla Ong Un Ponte Per… e di cui Q Code Magazine è partner.